fbpx

Strutturalismo in antropologia: la diffusione dell’Homo Sapiens

Strutturalismo in antropologia: la diffusione dell’Homo Sapiens

Antropologia: come si sono diffuse e sviluppate le popolazioni.

Le culture si sono sviluppate in relazione alle caratteristiche dei territori che le varie popolazioni hanno successivamente occupato, alle condizioni fisiche e climatiche che hanno, in parte, determinato le modalità di sopravvivenza e di sviluppo delle attività lavorative, alle vicende storiche che hanno caratterizzato il susseguirsi dei periodi di espansione e contrazione dei popoli dominanti in ogni determinata area oltre che agli scambi culturali che, con lo sviluppo delle comunicazioni e degli spostamenti dei popoli, sono diventati sempre più frequenti e radicali.

Per cercare di comprendere come le popolazioni si sono diffuse ed hanno sviluppato i loro peculiari modi di vivere e di esaminare le loro identità culturali, ci avvarremo dei mezzi fornitici dall’Antropologia strutturale.

La ricerca etnologica ha per decenni sofferto dell’Europeismo, ossia dal considerare l’uomo europeo il modello di riferimento o, addirittura, il modello di uomo relegando tutte le altre etnie ad un ruolo comprimario e, paradossalmente, considerare l’europeo come un’unica tipologia culturale e antropologica, spesso non sottoponibile ad indagine scientifica in quanto “uomo superiore”.

E’ chiaro che, con lo sviluppo delle conoscenze e delle scienze naturali storiche, l’etnologia ottocentesca è stata destituita delle sue stesse basi ideologiche.

homo sapiens
Tratto da Josiah Clark Nott, George Robert Gliddon Indigenous races of the earth. 1857

Con lo sviluppo dell’antropologia moderna ci si è finalmente resi conto che non solo ogni etnia, ma addirittura ogni popolazione è caratterizzata da una tipologia culturale differente. Ovviamente esistono dei limiti fisiologici, strutturali e sociali che costituiscono costanti presenti in ogni cultura a prescindere dalla distanza spaziale e/o temporale con qualsiasi altra.

Sono quelle che Eibl-Eibesfeldt, fondatore dell’Etologia umana, definisce le invarianti nell’evoluzione della specie.

strutturalismo in antropologia e Irenaus Eibl-Eibesfeldt
Irenaus Eibl-Eibesfeldt

Lo sviluppo, parallelo ma in gran parte autonomo, della ricerca antropologia portata avanti da Levi-Strauss, lo ha portato all’applicazione dello strutturalismo all’antropologia.

La funzione dello Strutturalismo in antropologia

strutturalismo in antropologia e Claure Levi Strauss
Claude Levi-Strauss

Lo strutturalismo, essenzialmente assegna all’antropologia il compito specifico di definire le caratteristiche formali dei vari sistemi culturali facendoli derivare da un numero ristretto di principi di struttura sociale e focalizzando le particolarità di ogni cultura in questo richiamandosi al funzionalismo.

Conseguenza di questo approccio metodologico, l’approfondimento delle diversità culturali e la consapevolezza che, dal punto di vista antropologico, perde di significato il concetto di razza, in quanto le razze umane (dimostrate poi inesistenti dalla genetica) sono infinitamente minori delle etnie e delle popolazioni. A questo punto, devo spiegare al lettore come la genetica delle popolazioni è arrivata alla constatazione della non esistenza delle razze umane.

Il concetto di razza umana

Il concetto di razza umana è stato coniato quando la colonizzazione ha portato gli europei a contatto con altri gruppi etnici. I primi antropologi, basandosi soprattutto su caratteristiche fisiche esteriori e sul grado di avanzamento tecnologico e sociale raggiunto, avevano diviso gli uomini in cinque razze, spesso classificate in maniera verticale con il bianco nord-occidentale al vertice.

Alcuni, soprattutto inglesi e francesi, avevano creato una contiguità di razza fra i neri e le scimmie antropomorfe. Alcuni studiosi più attenti, come Darwin, pur vissuti in epoca vittoriana, avevano fatto notare che non esisteva una netta separazione fra le caratteristiche fisiche, che si stemperano fra le popolazioni contigue.

antropologia e Darwin
Charles Robert Darwin

Dopo quasi un secolo e mezzo dalle osservazioni di Darwin, gli studi genetici compiuti da Cavalli-Sforza sul cromosoma Y (ossia il cromosoma maschile, il cosiddetto DNA di Adamo) e da Svante-Peebo sul DNA mitocondriale (come noto, il mitocondrio proviene dalla cellula uovo, il cosiddetto DNA di Eva), hanno dimostrato, al di la di ogni ragionevole dubbio, che la variabilità genetica all’interno delle singole popolazioni è paragonabile se non maggiore di quella presente fra le popolazioni.

Ne deriva che il concetto di razza umana non ha validità biologica. Questo dato è facilmente verificabile anche dal punto di vista comportamentale, confrontando il comportamento di persone adottate da rappresentanti di etnie diverse. Del resto i casi di bambini allevati da animali selvaggi hanno ampiamente dimostrato l’estrema plasticità ed adattabilità della nostra specie.

antropologia e Luca Cavalli-Sforza
Luigi Luca Cavalli-Sforza
antropologia e Svante Paabo
Prof. Dr. Svante Pääbo

Distribuzione degli aplogruppi del DNA mitocondriale
Distribuzione degli aplogruppi del DNA mitocondriale

Questa digressione, oltre a chiarire l’asserzione relativa alle razze umane, ci fa incamminare verso la conoscenza della diffusione della nostra specie nel mondo, fino alla della pianura padana dove, nel periodo chiamato “dell’ascia pesante”, un nugolo di nostri progenitori ha cominciato a disboscare e bonificare le foreste paludose che un tempo la coprivano, permettendo lo sviluppo dell’agricoltura ed il successivo sviluppo dell’allevamento e delle successive società, come approfondiremo di seguito.

L’origine e l’espansione della specie umana

Come ormai ampiamente documentato, la specie umana ha avuto origine in Africa orientale e si è diffusa sul resto del pianeta con migrazioni successive partendo dal corno d’Africa, soppiantando in tempi relativamente brevi le altre specie di Homo che, per un certo periodo, hanno convissuto con i nostri antenati.

Dalle ultime evidenze genetiche è ormai accertato che vi sono stati anche alcuni casi sporadici di passaggi orizzontali di geni con le specie a noi più affini, come l’Homo neandertalensis. Senza tuttavia addentrarci in questa affascinante ricostruzione, che esula dalla presente trattazione, seguiremo la progressiva espansione della nostra specie fino al territorio italiano.

Le prove genetiche, fossili e paleoantropologiche che abbiamo acquisito dimostrano che la nostra specie ha iniziato a diffondersi sul pianeta, partendo dall’Etiopia, diffondendosi in Asia, dopo aver occupato la parte meridionale della Penisola Araba e, successivamente, circa 100.000 anni fa,  per mezzo di espansioni successive, da una parte diffondendosi progressivamente in Medio Oriente, dall’altra in India, Cina, Indonesia e, in fasi successive, ha raggiunto l’Australia e successivamente le Americhe.

Appare ovvio al lettore che non si tratta di un’unica popolazione, ma di varie espansioni che sono durate alcune migliaia di anni.

L’inizio della colonizzazione europea è databile circa 40.000 anni fa e coincide con l’ultimo periodo di esistenza dell’Homo neandertalensis, come più sopra descritto. L’uomo moderno ha raggiunto significative capacità tecnologiche già 60/70000 anni fa (cfr. Cavalli-Sforza), questo gli ha permesso di affinare sia i metodi di spostamento che le tecniche di caccia e raccolta del cibo, della sua conservazione, e le capacità di sfruttare le pelli per coprirsi dalle avversità atmosferiche, mentre l’utilizzo del fuoco è databile in epoca più recente.

Le capacità acquisite gli hanno consentito di spostarsi anche in condizioni disagevoli e su substrati altrimenti non superabili, come tratti di mare, territori coperti da ghiaccio e neve, ecc. Anche la densità raggiunta dai gruppi umani ha subito un continuo incremento, partendo da poche decine di individui dei clan familiari a più numerosi clan formati anche da centinaia di individui capaci di cooperare.

Come fa notare Cavalli-Sforza, la maggiore velocità di crescita della popolazione comporta un raddoppio della stessa ogni vent’anni circa. Questa causa un incremento demografico che diviene insostenibile in pochi secoli: si assiste ad incremento di trentadue volte in un secolo, di mille in due secoli di un milione ogni quattro secoli.

Questo incremento causa una pressione sulle risorse, che diviene in breve insostenibile. Certamente l’incremento demografico ha comportato un’espansione che è divenuta sempre maggiore con la crescita demografica, espansione che sarà mitigata, ma non eliminata, solo con l’avvento dell’agricoltura, avvenuto contemporaneamente circa 14000 anni fa in cinque parti del pianeta.

L’espansione dal Medio Oriente avvenuta, come più sopra riportato, in concomitanza con le ultime fasi di esistenza dell’Homo neandertalensis si è verificata in una fase interglaciale, prima del massimo glaciale, ossia il periodo di massima espansione glaciale del quaternario, durato da 25.000 a 18.000 anni fa, conosciuto come LGM (Last Glacial Maximum).

Questo ha permesso a gruppi di cacciatori-raccoglitori di spostarsi progressivamente in Europa, riuscendo ad attraversare le Alpi e cominciando ad occupare anche la Pianura Padana, caratterizzata allora da foreste paludose inframmezzate da estesi acquitrini.

Diffusione dell'uomo sulla Terra. Le M indicano marcatori genetici
Diffusione dell’uomo sulla Terra. Le M indicano marcatori genetici

Specie cugine

L’Homo sapiens si è diffuso nel pianeta progressivamente partendo dal Corno d’Africa. Precedentemente, altre Specie di Homo si erano diffuse in gran parte del continente Eurasiatico, ed alcune di esse hanno convissuto per un certo periodo con il sapiens. Recenti analisi genetiche hanno dimostrato che queste Specie cugine hanno avuto qualche scambio genetico con il sapiens, per mezzo di incroci occasionali. Recenti scoperte di fossili hanno dimostrato che alcune Specie hanno convissuto con il sapiens addirittura dopo l’ultima glaciazione.

E’ di pochi anni fa la scoperta, nell’Isola di Flores, dei resti scheletrici di una Specie di Ominide nano, chiamato Homo florensis, vissuto circa 18.000 anni fa. Questa scoperta ha suscitato vasta eco, anche perché lo scopritore lo ha definito furbescamente Hobbit, richiamandosi ad una fortunata serie di film. Ancora più recentemente, si è scoperta un’altra Specie che ha convissuto con i nostri antenati, l’Homo denisova. Tralasciando comunque di seguire la diffusione e lo sviluppo delle altre Specie di Ominidi, ci concentreremo sulla diffusione della nostra Specie in Eurasia, ed in Italia.

La diffusione dell’Homo sapiens in Italia

Le analisi genetiche hanno dimostrato con un elevato indice di confidenza (ossia con altissimo grado di affidabilità), coadiuvate anche dalle evidenze fossili, che la diffusione di Homo sapiens è avvenuta attraverso tre ondate successive di migrazione, a partire dal territorio dell’attuale Etiopia.

La migrazione che ha portato alla colonizzazione del territorio italiano è avvenuta prima dell’ultima glaciazione e, partendo dal Medio Oriente, ha portato l’Homo sapiens ad attraversare le Alpi ed ha penetrare progressivamente nella Pianura Padana, al tempo coperta da foreste paludose ed acquitrini. I primi abitanti erano cacciatori-raccoglitori che vivevano in piccoli gruppi dediti al nomadismo. Ciò ha consentito ai loro discendenti di adattarsi e sopravvivere anche quando il periodo glaciale ha modificato il territorio.

Dalle evidenze geologiche sappiamo che, dove sono ubicati i laghi di maggiore dimensione che caratterizzano il territorio, esistevano precedenti bacini fluviali che erano già frequentati da popolazioni che, oltre che di caccia e di raccolta, vivevano anche dei prodotti della pesca. Dopo lo scioglimento dei ghiacci, il territorio ha assunto progressivamente l’aspetto che ha mantenuto sino allo sviluppo dell’agricoltura industriale e dello stravolgimento causato dall’industrializzazione selvaggia.

Le popolazioni sopravvissute alla glaciazione erano dedite ancora alla caccia ed alla raccolta mentre le coste dei laghi erano occupate da popolazioni che sfruttavano le risorse acquatiche.

Successivamente, altre popolazioni più progredite, anch’esse provenienti dal Medio Oriente, sfruttando nuovi strumenti che avevano messo a punto o mutuati da altri popoli con cui erano venuti in contatto (per mezzo soprattutto di quella che è stata definita “ascia pesante”) cominciarono (circa 16/15.000 anni fa) a disboscare e trasformare il territorio cominciando ad importare animali allevati (che accompagnavano i loro spostamenti)  e coltivando in maniera occasionale e temporanea il terreno (cosa che avveniva nello stesso periodo ed anche precedentemente in Asia).

Il tipo di agricoltura di sussistenza, applicato dando fuoco a piccole radure e coltivandole al massimo per un paio di stagioni, avviene ancora in popolazioni che vivono in America meridionale ed Africa, per cui abbiamo un’idea abbastanza chiara di come funzionava.

La nascita dell’agricoltura

Successivamente, popolazioni più progredite, provenienti anch’esse dal Medio Oriente, importarono l’agricoltura vera e propria, nata contemporaneamente ed indipendentemente in cinque zone del Pianeta, fra cui il Medio Oriente. La nascita dell’agricoltura è stata la prima vera rivoluzione causata dalla tecnologia. Rivoluzione che ha causato un cambio radicale del modo di vivere di una parte dell’umanità.

Infatti, l’agricoltura ha costretto l’uomo a trasformarsi da nomade a stanziale e, conseguentemente all’allargamento dei gruppi tribali (prima poco più che familiari), con il conseguente sviluppo della cooperazione non più temporanea fra più clan (come in caso di guerre tribali) ma sistematica, con la divisione dei compiti e la nascita delle specializzazioni delle competenze.

Il successivo incremento della dimensione delle comunità ha trasformato i primi insediamenti in gruppi interconnessi, successivamente sviluppatisi in grosse concentrazioni e successivamente città con la nascita del commercio e la creazione di eserciti che avevano il preciso compito di difendere gli insediamenti (ma anche di conquistare nuovi territori), portando alla nascita dei primi regni ed alla riduzione in schiavitù delle popolazioni sottomesse.

Ovviamente, non tutte le popolazioni erano dedite all’agricoltura. Molte di queste vivevano ancora di caccia e raccolta, praticando il nomadismo e le guerre tribali, spesso attuate per mezzo di incursioni ladresche. Per non soccombere di fronte alle popolazioni concentrate in insediamenti stabili, con il tempo le popolazioni nomadi si sono concentrate in orde che, per migliaia di anni, hanno continuato questa tipologia di vita.

Come tutti sappiamo dai tempi della scuola, quando le popolazioni stanziali hanno continuato ad espandersi ed hanno formato veri imperi (pensiamo a quello Romano), molte popolazioni sono state sottomesse e, dopo la caduta degli imperi, hanno occupato e saccheggiato le città ed i Paesi, senza però riuscire a costruire dei veri domini stabili in quanto legate al modo di vivere nomade.

Alcune popolazioni, soprattutto asiatiche, sono però riuscite a creare imperi vastissimi che, solitamente, con la morte del condottiero che aveva guidato le orde, ormai divenute veri eserciti, finivano per disgregarsi, sia per guerre legate alla successione, sia per mancanza di un sistema amministrativo valido. Questo però esula dalla presente trattazione.

Mi sembra importante soffermarmi sullo sviluppo dell’agricoltura perché quest’ultima ha determinato il maggior cambiamento nello sviluppo dell’umanità, superiore perfino allo sfruttamento dell’energia chimica e fisica (avvenuto negli ultimi due secoli), che ha consentito all’umanità di affrancarsi dal lavoro animale e di attuare uno sviluppo eccezionale delle tecnologie, con il conseguente stravolgimento dell’intero pianeta.

Lo sviluppo dell’agricoltura

La distribuzione delle piante coltivate corrisponde a quella delle lingue - Vedi figura prec
La distribuzione delle piante coltivate corrisponde a quella delle lingue – Vedi figura prec.

La nascita e lo sviluppo dell’agricoltura e dei primi allevamenti non transumanti, sono stati permessi dalla tecnica dell’ibridazione e dalla concimazione dei terreni. A noi queste tecniche, per millenni attuate in modo empirico, paiono banali ma non deve essere considerato banale accorgersi che, accoppiando selettivamente le piante e gli animali di cui si nutrivano i nostri predecessori, si potevano scegliere i discendenti che presentavano i caratteri migliori sia dal punto di vista alimentare che di resa o di facilità di coltivazione e di allevamento.

Solo dagli anni settanta dello scorso secolo possiamo modificare le piante alimentari per mezzo di radiazioni (citiamo il Grano creso, sviluppato dal Gruppo di ricerca di Scarascia Mugnozza dell’ENEA), mentre la modifica del patrimonio genetico è frutto della ricerca effettuata in anni più recenti.

Spiga di Teosinto a confronto con quella del suo discendente ottenuto dall'Uomo il Mais
Spiga di Teosinto a confronto con quella del suo discendente ottenuto dall’Uomo il Mais
Agricoltura preistorica
Agricoltura preistorica

Alcuni caratteri selezionati non avrebbero permesso alle specie coltivate di sopravvivere in natura. Pensiamo solo alle Graminacee che mantengono attaccate alla pannocchia i semi, viceversa immaginate come sarebbe scomoda e scarsamente produttiva la raccolta, attuata dagli agricoltori, dei singoli semi dal terreno.

Un altro problema che hanno dovuto affrontare i primi agricoltori è rappresentato dai parassiti delle piante coltivate e di quelli che attaccavano le sementi e gli alimenti conservati in genere. Molte problematiche, compreso lo stesso dissodamento del terreno, hanno “costretto” l’uomo a sviluppare tecnologie adeguate contribuendo certamente allo sviluppo dell’artigianato e, successivamente, alle categorie specializzate di lavoratori.

Anche l’approvvigionamento di acqua e la fortificazioni, rese necessarie dalle incursioni e dalle guerre, hanno portato cambiamenti notevoli nella stessa struttura delle società. Ciò ha portato alla nascita delle diverse figure professionali ed alla nascita delle classi sociali mentre i capoclan si sono successivamente mutati in sovrani che, spesso, specialmente se dotati di carisma ed appoggi, si tramutavano in dittatori.

Leggi anche: Antropologia delle religioni

Avatar photo
Ettore Ruberti

Naturalista, giornalista scientifico. Professore di Biologia, Chimica, Fisica e Geografia fisica presso il Liceo Scientifico e Linguistico “Maroni” di Varese dal 1983 al 1989. Giornalista free lance, dal 1977, con collaborazioni con le seguenti testate: La Prealpina, Il Giorno, La Stampa, Inquinamento, Il Medico e il paziente, Oasis, Geodes, Migratori Alati, Le Scienze, Petrolieri d’Italia, Ambiente, ecc. Redattore da luglio 1988 a febbraio 1990 presso la rivista Acqua & Aria. Attualmente scrive, per conto dell’ENEA e come attività intellettuale su 21mo Secolo, MuseoEnergia, L’Eco dei Laghi, ecc. Collaborazioni con Enti ed Istituti di ricerca nel campo zoologico, in particolare inserito nel Gruppo di Lavoro Uccelli Migratori dell’Organizzazione Ricerche Ornitologiche dell’RGF dal 1978 al 2010, in cui curava anche l’informatizzazione e l’elaborazione statistica dei dati validati dall’INFS di Bologna e dall’IWT di Slimbridge. Partecipazione gratuita e svolta fuori dall’orario di lavoro, dal 2011, con la Fondazione Gianfranco Realini per la valorizzazione del territorio che si occupa di Zone Umide (paludi, canneti rivieraschi, torbiere, ecc.), in relazione alla possibile partecipazione (in collaborazione con due gruppi di lavoro dell’ENEA Casaccia) ad un progetto LIFE. Collaborazione con l’Università di Pavia, in seguito ad una richiesta ufficiale di quest’ultima all’ENEA, volta alla classificazione di Aracnidi ed Insetti. Collaborazione portata a termine. Collaborazioni con vari Editori per opere editoriali nei campi suddetti e per la referizzazioni di studi e ricerche. I campi in cui ha acquisito le maggiori competenze sono: Entomologia, Aracnologia, Erpetologia, Evoluzionismo, Gestione delle Risorse naturali, Fotografia e Cinematografia Scientifica, Microscopia (sia ottica che elettronica), oltre naturalmente all’elaborazione e gestione dell’informazione, sia a livello divulgativo che scientifico Dipendente dell’ENEA dal 9 aprile 1990, Assunto per concorso per assunzione in prova, con qualifica di giornalista scientifico (7° livello) (Gazzetta Ufficiale – IV Serie Speciale – “Concorsi ed Esami” – n. 103 del 30 dicembre 1988) approvata dal presidente dell’ENEA con delibera n. 24/89/G del 21/12/89, cui si richiedevano almeno otto anni di esperienza nei settori giornalistico scientifico e didattico (provati con ampia documentazione), con graduatoria 95/100. Assunzione divenuta a tempo indeterminato dopo sei mesi (sempre al 7° livello). Inserito nella Divisione Relazioni Esterne, sede di Milano, si è occupato di diffusione dell’informazione, con interventi anche in ambito scolastico ed universitario, organizzazione di Convegni, Conferenze, ecc., spesso ha anche coadiuvato il personale della sede, in particolare Dr. Sani, Dr. Gavagnin, Prof. Bordonali, Sig. Griffini, Dr. Valenza, Prof. De Murtas. Ha pubblicato vari articoli sulla problematica relativa agli OGM sulla rivista “AgriCulture”, aprile 2003, su Migratori alati nel 2001, 2002, 2003, 2004, su La Padania nel 2005, 21mo Secolo. Dal 1991 segue le problematiche relative allo sviluppo dell’Idrogeno come vettore energetico, per conto della Divisione Tecnologie Energetiche Avanzate, che rappresenta ufficialmente al Forum Italiano dell’Idrogeno, inserito nel Consiglio Direttivo e all’AIDIC dove, dal 1993 al 1997, era stato costituito un gruppo di lavoro “CO2: riduzione, contenimento della produzione e riuso” che ha cessato la sua attività nel 1997. Nel contesto di questo incarico ha organizzato vari Convegni e tenuto Conferenze in Italia e all’estero, ha inoltre pubblicato vari articoli su riviste Scientifico-divulgative, tra cui: un articolo interno su “Le Scienze” (edizione italiana di Scientific American) del settembre 2000: “Idrogeno: energia per il futuro” N° 385, settembre 2000, pag. 90/98; un articolo concernente il sistema idrogeno sul numero monografico del 1996 dell’Organo ufficiale degli Ingegneri della Svizzera italiana, pubblicato come Atti di un Convegno sull’argomento; un numero, quasi monografico, di “Petrolieri d’Italia”, 2001; alcuni articoli su 21mo Secolo dal 1994 al 2006; ha inoltre effettuato vari interventi su televisioni italiane e svizzere; .ha partecipato, nel l’ambito del Forum, in qualità di Docente al Corso sulla sicurezza del sistema idrogeno, tenutosi nel 2002 presso l’Istituto Superiore Antincendio dei Vigili del Fuoco, sotto l’egida del Ministero degli Interni. E’ coautore del libro bianco sull’idrogeno “Linee guida per la definizione di un piano strategico per lo sviluppo del vettore energetico idrogeno”, scritto dai membri del Forum. Ha presentato, primo in Italia, un lavoro concernente l’utilizzo di nanotubi di carbonio per l’accumulo ed il trasporto dell’idrogeno (sotto forma di poster), al SolarExpo di Verona nel dicembre 2000. Nell’ambito degli incarichi portati a termine, ha seguito, per conto del Professor Umberto Colombo, gli sviluppi delle ricerche sulla Fusione Fredda, campo in cui ha anche pubblicato alcuni articoli, ed è in corso di stampa un libro che ha scritto sull’argomento. Lavorando in questo ambito, ha acquisito una significativa conoscenza della meccanica quantistica e dei fenomeni nucleari ed elettromagnetici nella materia condensata. Per questo motivo, nel 2004 è stato eletto Membro dell’International Society For Condensed Matter Nuclear Science. E’ Autore di diverse pubblicazioni concernenti la produzione energetica per mezzo della fissione dell’atomo ed i relativi problemi legati alla sicurezza ed all’impatto ambientale. Dal giugno 1996 al giugno 2010 Ricercatore nella Divisione GEM (1996-2001) e BIOTEC (2001-2010) inserito nel Board di Direzione, anche se ha continuato a dedicare una parte del tempo (valutabile al 20% del totale) all’idrogeno. In questo ambito ha lavorato in sinergia con il Professor De Murtas, con il quale collaborava anche precedentemente. Ha pubblicato, sulla rivista Energia Ambiente e Innovazione, n° 6/1997, una monografia sull’Evoluzione Biologica, campo in cui è uno specialista. Ha sviluppato una nuova ipotesi sul ruolo svolto da un debole campo elettromagnetico in argille di origine magmatiche (le montmorilloniti) nella formazione delle prime macromolecole biologiche, ipotesi che sta sottoponendo a verifica sperimentale. In particolare, la parte sperimentale sarà sviluppata presso il laboratorio del Dr. Francesco Celani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Laboratori Nazionali di Frascati. Sta sviluppando un sistema per la riconnessione di tessuto nervoso reciso, attualmente sui Molluschi Gasteropodi Polmonati (Limax ruber), ma con l’obiettivo di applicarlo ai Vertebrati e, quindi, all’Uomo (si tenga presente che non vi è nessuna differenza rilevante fra il tessuto nervoso dei Molluschi e quello dei Vertebrati). Ha sviluppato, in collaborazione con il Prof. Brera (Rettore dell’Università Ambrosiana), un Progetto di ricerca (Progetto Against Malaria) volto all’interruzione del ciclo del Plasmodio che causa la malaria nel ciclo biologico delle Zanzare del genere Anopheles. Progetto per cui ha proposto all’ENEA una collaborazione. Insieme con il Professor De Murtas, nel 1977, ha scritto un libro sulla Biodiversità. Attualmente è impegnato ad una revisione della classificazione animale, ai livelli superiori, in relazione ai principi della Nuova Sintesi, con gli apporti derivati dalla biochimica (non cladista, di cui rifiuta la teoria, i metodi e le finalità); sta realizzando un atlante di Anatomia degli Insetti, per cui ha elaborato una nuova tecnica di lavoro. Relatore, nel 2011, di una Tesi di Laurea concernente l’utilizzo del Batterio Ralstonia detesculanense per il sequestro dei metalli pesanti. Tesi presentata presso l’Università La Sapienza di Roma da Laura Quartieri che si è laureata con un punteggio di 107/110. Tale tesi è stata in seguito oggetto di pubblicazione su una rivista della Elsevier. Dal ’97 Professore a contratto di Biologia generale e molecolare all’Università Ambrosiana. Dal 25 settembre 2012 con qualifica accademica di Licentia Docenti ad Honorem per merito di chiara fama nella disciplina. Associato alla Società Italiana di Scienze Naturali, alla Società Entomologica Italiana, alla Società Herpetologica Italica, alla Società Italiana di Fisica ed alla Società Italiana di Biologia Evoluzionistica di cui è Socio fondatore. In passato associato all’Associazione Italiana di Cinematografia Scientifica e all’Associazione Fotografi Naturalisti Italiani.

Nessun commento

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Il Progresso Magazine Online Logo

 

Associazione culturale “THE PROGRESS 2.0”
Direzione-Redazione-Amministrazione
Via teatro Mercadante, 7
70022 Altamura (Ba)
mail: [email protected]

SEGUICI SU