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Ti racconto Wimbledon: intervista a Gianluca Pozzi

Ti racconto Wimbledon: intervista a Gianluca Pozzi

Wimbledon.

Wimbledon, la cui nascita è legate alle origini del tennis, è, nel panorama Londinese, il torneo più antico e prestigioso del mondo tennistico. Campi in erba vera e soprattutto una tradizione ricca di bon ton, cultura e regole alle quali atleti e spettatori devono attenersi.

Chi meglio di Gianluca Pozzi,  barese classe ‘65 ed ex numero 40 del mondo nel 2001, a ben 36 anni, poteva commentare questo avvenimento? “E’ un sinonimo di longevità sportiva, Pozzi è come il buon vino, migliora con l’età”, ha detto di lui Andre Agassi.

Un tennis d’altri tempi ha portato Gianluca Pozzi a calcare i campi di Wimbledon per ben 15 anni, raggiungendo nel 2000 gli ottavi di finale, suo miglior risultato in un torneo dello Slam, insieme agli ottavi di finale raggiunti agli U.S. Open del 1994.

Terminata la sua carriera agonistica nel 2004, ha intrapreso quella di allenatore, partendo prima da un prestigioso club milanese e, dal 2014, continuando presso l’Accademia Tennis Bari, nella sua città natale. Da alcuni anni mette la sua esperienza al servizio degli appassionati, in veste di telecronista SKY, proprio in occasione dell’evento tennistico più atteso dell’anno.

Ciao Gianluca, giocatore allenatore e oggi cronista del torneo mediatico d’eccellenza, emozioni molto diverse tra loro?

“Si, esatto. Tre modi molto differenti di approcciarsi al tennis. Tre prospettive diverse ma tutte importanti per l’arricchimento personale. Sicuramente le emozioni più forti le ho provate da giocatore, soddisfazioni grandi che non posso scordare. Ma la vita scorre e non si può giocare per sempre.

Devi riuscire a reinventarti e la figura di allenatore mi permette di trasferire le mie esperienze e il mio vissuto ai giovani tennisti. Nel caso del cronista è un altro punto di vista. Ti accorgi di alcune cose alle quali, quando sei giocatore, fai meno attenzione. Fondamentale è cercare di spiegare, a chi è a casa, cosa significhi giocare questi tornei, quali sono le emozioni e, nel mio caso, spiegare nel modo più semplice possibile anche quei piccoli accorgimenti tecnici che possono essere utili per migliorare il proprio gioco.”

Wimbledon è sicuramente il torneo che mantiene ferme ancora molte tradizioni, basti pensare al colore bianco dell’abbigliamento sportivo imposto ai giocatori. Pensi che qualcosa sia cambiato negli anni?

“Le tradizioni rimangono il fiore all’occhiello del torneo, sono immutabili. Mentre dal punto di vista strutturale vi sono continue modifiche. Ma nel complesso, il corpo centrale è rimasto uguale e rivederlo suscita grandissime emozioni. Considerando che per 15 anni, di cui 12 in tabellone, ho avuto la fortuna di accedervi come giocatore. Gli organizzatori investono annualmente per rendere la struttura sempre più fruibile. Hanno realizzato il bellissimo nuovo centrale e i lavori per la copertura del campo 1. Inoltre, hanno migliorato le tribune di alcuni campi. Si nota che al centro dei loro progetti c’è lo spettatore.”

Quale il tuo ricordo più bello?

Tutta l’esperienza di Wimbledon è magica. Sicuramente la prima volta non si scorda mai, proprio perché è differente da qualsiasi altro torneo. Quando entrai, rimasi abbagliato dalla distesa di campi verdi e dall’eleganza della struttura. Un colpo d’occhio incredibile! Anche il 2001 lo ricordo con molto entusiasmo. Raggiungere gli ottavi di finale è stata una soddisfazione unica. Con un piccolo rammarico di non essermi potuto esprimere al meglio poiché le condizioni fisiche, a causa di una febbre molto alta, mi limitarono. L’importante, però, è stato esserci.”

Un cronista dovrebbe essere imparziale, ci riesci sempre? E anche se è difficile fare previsioni, chi vedresti sollevare il trofeo?

“Mi piace guardare il tennis in generale, per questo non mi pesa essere imparziale, ma chiaramente amo quello giocato in una certa maniera, con un certo stile e con una idea chiara alle spalle. Ovviamente mi può piacere un giocatore piuttosto che un altro. Federer sicuramente rispecchia il mio ideale: un gioco vario con soluzioni differenti. La sua vittoria, a 36 anni, sarebbe una conferma ulteriore delle sue grandi doti tecniche e,  soprattutto, mentali.”

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