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Design Vs Man: il design che complica la vita

Design Vs Man il design che complica la vita

Design Vs Man.

Il design è un elemento che aggiunge valore agli oggetti di uso quotidiano rendendoli unici, piacevoli, accattivanti e moderni. Il suo obiettivo è quello di coniugare funzionalità ed estetica. Ma è davvero sempre così?

Quante volte ci siamo sentiti degli imbranati tirando una porta dove c’era scritto spingere. Quante volte ci è capitato di trovarci spaesati e dover armeggiare di fronte al rubinetto di un elegantissimo lavandino, privo del caro vecchio miscelatore. Come si attiva? Con il sensore? Con il pedale?

A salvarci dalla frustrazione e dal pensiero di essere degli incapaci interviene Donald A. Norman, psicologo ed ingegnere statunitense. Nel suo libro “La caffettiera del masochista”, l’autore ci spiega come il vero responsabile di tutto ciò sia il “cattivo” design. Siamo vittime di un insieme di oggetti e dispositivi bellissimi ma incomprensibili che non ci forniscono indizi chiari e visibili sul loro funzionamento e ci inducono in errore, poichè sono progettati senza considerare i normali modelli concettuali e meccanismi mentali umani.

Il buon design.

Norman ci illustra un insieme di 4 principi sui quali si fonda il “buon” design:

  • Visibilità: le parti funzionali degli oggetti e i comandi dei dispositivi devono essere ben visibili e fornirci i necessari indizi sul loro corretto funzionamento.
  • Un buon modello concettuale: chiaro, preciso, coerente con i normali modelli mentali umani. Ad esempio, tornando alla problematica delle porte, una sbarra piatta orizzontale ci invita a spingere, mentre una maniglia a sbarra posta in verticale ci invita a tirare.
  • Un buon mapping: una chiara relazione fra i comandi azionabili ed i risultati che ne derivano. Per esempio per sollevare un oggetto si deve muovere il comando verso l’alto.
  • Il feedback: l’informazione di ritorno che riceve l’utente in relazione ai risultati delle proprie azioni, che deve essere immediata ed evidente.

Successivamente Norman affronta nuovamente il tema del “cattivo” design nel libro “Vivere con la complessità”.

Nello libro “Vivere con la complessità”, Norman introduce la fondamentale distinzione tra complessità e complicazione. La complessità è inevitabile poiché il nostro mondo, la vita e le nostre attività sono complesse e conseguentemente lo sono anche le tecnologie ed il design attuali. Essa però non possiede un’accezione negativa, anzi spesso è desiderabile ed appagante (le cose troppo facili non piacciono a nessuno) poiché si fonda su una struttura ed un ordine razionale e logico che una volta compreso diviene chiaro e semplice.

La complessità è quindi qualcosa che possiamo dominare e controllare e che è propria del “buon” design.  Altra cosa è invece la complicazione, basata sul caos, su meccanismi arbitrari e capricciosi, che non possiamo per questo comprendere e padroneggiare. Il risultato della progettazione complicata è una sensazione di  perplessità, confusione e frustrazione che genera in chi cerca di approcciarla.

Ritornando al tema del discusso binomio estetica/funzionalità, è interessante notare come esso abbia dato origine a degli esempi di design dal carattere ironico, fondato sul principio dell’inutilità, il cui antesignano fu Bruno Munari con le sue Macchine Inutili.

E’ il caso di Katerina Kamprani, architetto e designer ateniese, che ha sviluppato l’irriverente progetto The Uncomfortable, espressione di un design del “disagio”.

Tutto è nato sfogliando le pagine di una rivista, dove la Kamprani si è imbattuta nell’immagine di un WC sopraelevato di 2m, in cui era necessario arrampicarsi su una scala per raggiungerlo.

Da qui ha iniziato a pensare che potesse essere divertente creare qualcosa di deliberatamente fastidioso da usare e ha dato vita ad una serie di oggetti di uso quotidiano, realizzati con tecnologia di rendering e stampa 3D, che sono stati  modificati nella loro consueta forma al fine di privarli completamente della loro utilità.

Tali prodotti inutilizzabili e pertanto inutili, hanno quindi di fatto abbandonato la dimensione degli oggetti di uso quotidiano a cui si ispirano per trasformarsi in opere di design dal puro valore estetico.

L’annaffiatoio che si auto-annaffia, facendo morire di sete le piante.

Gli stivali da pioggia aperti in punta, che ci fanno bagnare i piedi.

La bellissima forchetta con il manico a catenella.

L’ombrello di cemento un pò pesante da sollevare per ripararci dalla pioggia, sedie dalla seduta inclinata, arcuata, non propriamente comode, bicchieri siamesi e con aperture improbabili o ancora pentole e pentolini con le maniglie collocate in posizioni scomodissime.

Bello ma inutile, multifunzionale e di tendenza ma complicato da utilizzare, eppure svariati prodotti di questa tipologia sono super venduti. Siamo davvero sicuri di desiderarla la semplicità?

Leggi anche: Unseen Collaborations: Triennale Milano alla London Design Biennale

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