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Cessione di selfie a sfondo pornografico fra minori

Cessione di selfie a sfondo pornografico fra minori

La diffusione di selfie a sfondo pornografico.

La punibilità della cessione di selfie è subordinata alla circostanza che il materiale pornografico sia stato realizzato da terzi. La costante diffusione di “selfie a sfondo pornografico fra minori” ha richiamato l’attenzione della Cassazione Penale che, con sentenza n. 11675/2016, si è espressa sul punto.

In particolare, sul caso di una minorenne che di propria iniziativa, tramite il cellulare, aveva inviato alcuni autoscatti dal contenuto erotico a due suoi coetanei, i quali non si limitavano a ricevere le immagini ma le inviavano ad altri amici. Ora, i due minorenni venivano indagati per il reato di “cessione di materiale pedo-pornografico”.

La Cassazione, con la richiamata sentenza, ha assolto i due minori seguendo l’iter argomentativo qui riportato; partendo dall’art. 600ter. c.p. (pornografia minorile) che è stato introdotto (unitamente a molte altre norme) dalla L. 269/1998 al fine esplicito di combattere lo “sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”. Come evidenziato dalla rubrica della legge.

La norma sulla Cessione di Selfie.

Nella formulazione originaria, il comma 1 della norma sanzionava:

  • “chiunque sfrutta minori degli anni diciotto, al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico”.
  • Il comma 4, invece, puniva “chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto”.

Queste locuzioni avevano suscitato incertezze (ad esempio, in ordine al concetto di sfruttamento al fine di lucro sottostante, nonché alla necessità o meno di impiegare una pluralità di minori per configurare il delitto di cui al comma 1), sì da rendere opportuno un nuovo intervento del legislatore al fine di soddisfare l’esigenza (fortemente avvertita nell’ opinione pubblica) di predisporre una tutela del minore ancora più forte e priva di zone grigie.

Con la L. 38/2006, le medesime lettere dell’art. 600ter. c.p. sono state mutate sanzionando:

  • comma 1, “chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori degli anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche”;
  • comma 4, “chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma”.

Da ultimo, con la L. 172/2012, il comma 1 della norma è stato ulteriormente modificato (sia pure in modo non radicale) sì da giungere al testo attuale che sanziona:

  • “chiunque, utilizzando minori di anni diciotto, realizzi esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produca materiale pornografico;
  • oppure recluti o induca minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici;
  • o tragga altrimenti profitto dai suddetti spettacoli”.

Il comma 4 della norma, invece, è rimasto immutato.

Il fondamento dell’intera revisione deve essere rinvenuto nel comma 1, decisivo per l’interpretazione anche dei successivi. In altri termini, non si potrebbe perseguire chi fa commercio di materiale pornografico -realizzato utilizzando minori (comma 2) chi lo distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza (comma 3) oppure lo offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito (comma 4) – se a monte non vi fosse chi ha prodotto il materiale medesimo.

Ciò è ben sottolineato, peraltro, dalla lettera dei commi 2, 3 e 4, il cui oggetto è costituito, per l’appunto, dal materiale pornografico di cui al comma 1. Ancora, in via preliminare, si osserva che la condotta sanzionata nell’art. 600 ter, co.1, c.p. è stata ampiamente esaminata da Cass. S.U. 13/2000 che, sebbene emessa sotto l’originaria lettera della norma, costituisce un baluardo interpretativo imprescindibile anche per le versioni successive, compresa quella vigente.

In particolare, la sentenza (interpretando la portata del verbo “sfruttare” allora impiegato) aveva evidenziato che lo stesso doveva intendersi nel significato di “utilizzare a qualsiasi fine” (non necessariamente di lucro), con la conseguenza che sfruttare i minori vuol dire impiegarli a mezzo, anziché rispettarli come fine e valore di sé.

Significa, insomma, offendere la loro personalità soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione, e non ancora strutturata. Una lettura che, pertanto, ha delineato la ratio e il fondamento della norma in termini strutturali e assoluti. E come tali, perfettamente riferibili anche alle (allora) eventuali evoluzioni legislative fino alla presente, con riguardo, cioè, anche all’odierna condotta di “utilizzazione”.

Di seguito, e richiamate le altre disposizioni in materia (artt. 600bis, 600 quater e 600 quinquies c.p.), le Sezioni Unite hanno evidenziato che, per contrastare il fenomeno sempre più allarmante dell’abuso e dello sfruttamento sessuale in danno di minori, il legislatore del 1998 ha voluto punire, oltre alle attività sessuali compiute con i minori (di quattordici o sedici anni) o alla presenza di minori, di cui agli articolo 609 quater e 609 quinquies c.p., anche tutte le attività che, in qualche modo, sono prodromiche e strumentali alla pratica preoccupante della pedofilia, come:

  • l’incitamento della prostituzione minorile;
  • la diffusione della pornografia minorile;
  • la promozione del così detto turismo sessuale relativo a minori.

Intentio legis.

L’articolo 1 della L. 269 proclama come obiettivo primario la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale. In adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 nonché alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996.

Significativo al riguardo è il preambolo della predetta Convenzione.

Laddove viene sottolineata la necessità di prestare al fanciullo protezioni e cure particolari a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale. Nonché, soprattutto, il testo dell’art. 34 della stessa Convenzione, secondo cui gli Stati parti si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale, adottando in particolare, misure per impedire che i fanciulli:

  • siano incitati o costretti a dedicarsi ad un’attività sessuale illegale;
  • o sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali;
  • oppure sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico.

In altri termini, oltre alla preesistente tutela penale della libertà (di autodeterminazione e maturazione) sessuale del minore, viene introdotta una tutela penale anticipata:

  • volta a reprimere quelle condotte prodromiche che mettono a repentaglio il libero sviluppo personale del minore, mercificando il suo corpo e immettendolo nel circuito perverso della pedofilia.

In tal modo si sostiene, da parte della Consulta, la qualificazione della fattispecie come reato di pericolo concreto integrato quando la condotta dell’agente, che sfrutta il minore per fini pornografici, abbia una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto.

Come ulteriormente confermato dal criterio semantico poiché non è possibile realizzare esibizioni pornografiche se non offrendo il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili.

Produrre materiale pornografico vuol dire produrre materiale destinato a essere immesso nel mercato della pedofilia.

E parimenti si conclude, così argomentando, che salva l’ipotizzabilità di altri reati, commette il delitto di cui all’art. 600ter, co. 1, c.p.:

  • “chiunque impieghi minori per produrre spettacoli o materiali pornografici con il pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico prodotto”.

Così riportato (il contenuto della fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 13/2000), il medesimo percorso argomentativo impone, quale presupposto logico prima ancora che giuridico che:

  • l’autore della condotta sia un soggetto diverso rispetto al minore (prima sfruttato, oggi utilizzato), indipendentemente dal fine (di lucro o meno) che lo anima;
  • e dall’eventuale consenso, del tutto irrilevante, che il minore stesso possa aver prestato all’altrui produzione del materiale, o alla realizzazione degli spettacoli pornografici.

Alterità e diversità che, quindi, non potranno ravvisarsi qualora il materiale medesimo sia realizzato dallo stesso minore in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto.

Il comma 4.

La medesima opzione ermeneutica merita, poi, di essere sostenuta anche con riferimento alla previsione di cui al successivo comma 4, infatti:

  • la punibilità della cessione è subordinata alla circostanza che il materiale pornografico sia stato realizzato da terzi utilizzando minori senza che, dunque, le due figure possano in alcun modo coincidere.

Tale conclusione pare imporsi alla luce della lettera della norma che, come affermato, riguarda esplicitamente “il materiale pornografico di cui al comma 1”.

Orbene, questo non può essere individuato nel materiale pornografico raffigurante un minore tout court, indipendentemente da chi e come l’abbia prodotto (quindi, anche nel caso in cui sia stato realizzato autonomamente dal minore medesimo), ma deve essere identificato in quello che sia stato prodotto da terzi, utilizzando un minore di diciotto anni.

L’utilizzo strumentale dei minori ad opera di terzi.

Più in particolare, il comma 1 (richiamato dai successivi commi 2, 3 e 4) ha ad oggetto non qualsivoglia materiale pornografico minorile ma esclusivamente quello formato attraverso l’utilizzo strumentale dei minori ad opera di terzi.

Unitamente al dato letterale dell’art. 600ter c.p., deve richiamarsi l’art. 602ter c.p. che disciplina le circostanze aggravanti relative ai delitti contro la personalità individuale:

  • talune delle quali, ineriscono alle modalità con le quali è stato perpetrato il reato a danno della persona offesa (ad esempio, violenza o minaccia, somministrazione di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti);
  • altre al rapporto tra questa e l’autore del reato (ad esempio, fatto commesso dal’ascendente, dal genitore adottivo, dal tutore ecc.);
  • altre ancora alle qualità della vittima medesima (ad esempio, minore di 16 anni, ovvero in stato di infermità o minorazione psichica).

Tutte circostanze che ribadiscono e presuppongono la necessaria alterità tra autore del reato e persona offesa.

Art. 600 ter c.p.

Tra i delitti ai quali dette circostanze si applicano vi è anche l’art. 600 ter c.p. richiamato dalle singole disposizioni in esame, non già con riferimento al solo comma primo ma nella sua integralità. Indicazione, questa, che appare di sicuro rilievo per la questione in esame.

Il legislatore ha evidenziato che, anche in tema di circostanze aggravanti, la norma va in esame va intesa come una fattispecie che, pur a fronte di condotte diverse, risponde a un’unica e comune ratio:

  • la tutela del minore da qualunque condotta (da altri tenuta) lo coinvolga nel turpe mercato della prostituzione con la punizione di tutti coloro che nello stesso si inseriscano ad ogni livello e con ogni ruolo.

Ratio, dunque, che permea di sé tutto il testo dell’art. 600 ter compreso il comma 4 in esame; e che, quindi, presuppone anche la condotta di cessione del materiale pornografico, pur se a titolo gratuito, abbia quale necessario presupposto l’utilizzazione del minore (da parte di un terzo) al fine di produrre il materiale medesimo.

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