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Stalking condominiale: il punto

Stalking condominiale

Il fenomeno dello stalking condominiale.

Ormai, tutti, non solo gli operatori di diritto ma anche i semplici cittadini, sanno che cosa è lo “stalking”. Questa parola è diventata (anche se non dovrebbe…) di uso comune; il termine, ovviamente anglofono, intende indicare un insieme di comportamenti molesti e continui, costituiti da:

  • ininterrotti appostamenti nei pressi del domicilio o degli ambienti comunemente frequentati dalla vittima, ulteriormente reiterati da intrusioni nella sua vita privata alla ricerca di un contatto personale per mezzo di pedinamenti, telefonate oscene o indesiderate.

Ovviamente lo “stalker” è colui che attua questo comportamento.

All’interno del nostro ordinamento, quanto sopra indicato integra il reato previsto dall’art. 612 bis del codice penale che recita:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un proprio congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Nel corso degli anni però, accanto alla definizione normativa, si è creata, con interpretazione estensiva contestualizzata, l’affermazione giuridica della figura dello “stalking condominiale”.

Il riconoscimento di tale fattispecie è avvenuto anche ad opera della giurisprudenza.

Infatti con la sentenza n. 20895/2011 della Sez. V Penale, la Suprema Corte precisò che “il reato di violenza privata non resta assorbito nel reato di atti persecutori, atteso che non sussiste rapporto di specialità tra le due norme.

In particolare il reato di cui all’art. 610 c.p.

… si connota per un elemento caratterizzante rappresentato dalla costrizione della persona offesa a fare, non fare, tollerare od omettere qualche cosa, ovvero obbligarla ad uno specifico comportamento.

Pertanto, il reato di cui all’art. 610 c.p. e quello di cui all’art. 612-bis c. p. possono essere contestati in concorso tra loro”. Questa sentenza fu la prima a tracciare una sorta di “strada” per il riconoscimento dello stalking anche in sede di rapporti condominiali.

Successivamente la giurisprudenza ha chiarito che lo stalking condominiale si configura come:

  • un insieme di atti ripetuti volti ad arrecare volontariamente a uno o a una pluralità di condomini un disturbo intollerabile per un periodo prolungato di tempo, tale da condizionarne la vita di tutti i giorni (Corte di Cassazione, sentenza 26.09.2013 n° 3993).

Ma quando si può parlare di stalking?

Soltanto in quei casi in cui effettivamente si possa verificare e riscontrare la presenza di un perdurante stato di ansia; con il mutamento delle abitudini di vita della persona che lo subisce. Questo perché in realtà, gli atti persecutori possono essere molteplici.

Ad esempio:

  • tenere televisori e stereo a volume alto in piena notte;
  • lasciare la sporcizia o la spazzatura sul pianerottolo;
  • piazzare bocconi avvelenati per gli animali domestici;
  • gettare liquidi scivolosi sugli usci o sui balconi;
  • telefonate mute soprattutto nelle ore di riposo notturno o diurno; fino ad arrivare al pedinamento di un condomino o alla apertura della posta personale.

Per alcuni di questi esempi si può ottenere anche una tutela civile; come ad esempio per le immissioni rumorose (televisori e stereo a tutto volume) che superano la normale soglia di tollerabilità o per le immissioni odorose (fumi, odore di cucinato ecc.).

Ma quando il comportamento scellerato del vicino avviene in maniera reiterata e sistematica, tale da comportare, come abbiamo detto, un grave stato di ansia nella vittima tale da indurla ad alterare e modificare le sue abitudini di vita, certamente la tutela più efficace è quella indicata dall’art. 612 bis del Codice Penale.

Ma, prima di arrivare ad una vera e propria “denuncia – querela” nei confronti del presunto vicino stalker, il legislatore ha pensato anche ad un metodo ultroneo per evitare che tali comportamenti continuino.

La vittima di stalking.

La vittima può presentare una richiesta di ammonimento al Questore per il tramite dell’autorità di pubblica sicurezza.

Con tale richiesta, il soggetto fa presente al Questore gli episodi di cui egli/ella è stata vittima al fine di consentire l’individuazione della fattispecie di stalking e menzionare dei testimoni che possano riferire sugli episodi verificatisi. Il Questore, preso atto della richiesta, emetterà un decreto di ammonimento.

Con il decreto di ammonimento, il questore diffida il persecutore ad avere un comportamento conforme alla legge e ad astenersi dal compiere ulteriori atti persecutori ai danni della vittima o di terzi ad essa in qualche modo legati.

L’autore dello stalking sarà convocato ed ammonito verbalmente dal questore; con la conseguenza che se lo stalker dovesse reiterare i suoi comportamenti persecutori rischierebbe di finire sotto processo con la possibilità di vedersi aumentare la pena ai sensi del terzo comma dell’articolo 8 del decreto legge n. 11/2009.

Diciamo che in “genere” l’ammonimento del Questore è utile a fermare i soggetti meno ossessivi, ma questo non sempre sortisce gli effetti sperati; in questo caso non rimane altro che querelare lo stalker.

La norma prevede la possibilità di proporre la querela nel termine massimo di sei mesi, differentemente dalle altre ipotesi di reato per le quali la condizione di procedibilità è di  tre mesi. In questo caso è bene dare dei riscontri concreti all’Autorità Giudiziaria procedente e raccogliere quanti più dati possibili sui fastidi subiti.

Ad esempio:

  • conservando lettere o email dal contenuto offensivo e/o intimidatorio;
  • registrando le telefonate ricevute dallo stalker, annotando gli orari delle telefonate moleste e quanto altro possa essere utile.

Qualora le indagini effettuate dalla Procura della Repubblica dovessero portare a riscontri concreti, il Pubblico Ministero, in base alla gravità del comportamento tenuto, potrebbe richiedere nei confronti del soggetto indagato una ordinanza cautelare, anche privativa della libertà personale.

Spetterà poi al Tribunale accertare la responsabilità penale dell’imputato, con la possibilità di emettere nei suoi confronti in sentenza, qualora risulti colpevole, anche dei provvedimenti restrittivi che impongano allo stalker di lasciare la propria abitazione e di non avvicinarsi oltre i 500 metri al condominio per un determinato periodo di tempo.

In questo particolare caso spetterà all’amministratore di condominio, informare i condomini del provvedimento emesso nei confronti del soggetto condannato.

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