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Suicidio assistito: da Tommaso Moro alla Consulta

Suicidio assistito: da Tommaso Moro alla Consulta

Suicidio assistito.

Della carità del suicidio assistito ha trattato anche Tommaso Moro nel 1516 nel romanzo Utopia; opera ispirata a La Repubblica di Platone e ambientata in un’isola fittizia abitata da una società ideale.

In un passo dell’Utopia si legge:

”Quando la malattia non è solo incurabile, ma procura al paziente continui e atroci dolori, allora i sacerdoti e il magistrato, considerato che il malato è impotente a qualsiasi lavoro, molesto agli altri e gravoso a se stesso, e come sopravvissuto alla propria morte, lo esortano a non prolungare quella funesta malattia e a non esitare dal momento che la sua vita non è che tormento, ad affrontare la morte; anzi lo invitano a liberarsi da solo, con rassegnazione, da quell’amaro carcere e da quel supplizio, oppure a consentire di sua volontà che lo liberino gli altri”.

Dopo molti secoli dall’Opera di Tommaso Moro, il pubblico ministero Tiziana Siciliano, mostrando di condividerne il pensiero, ha chiesto l’assoluzione per Marco Cappato; esponente dei Radicali, imputato per aver aiutato a suicidarsi Fabiano Antoniani. Più noto come DJ Fabo, tetraplegico e cieco a seguito di un incidente stradale, a morire in una clinica svizzera.

Il P.M. in subordine alla assoluzione dell’imputato ha chiesto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per valutare la legittimità dell’articolo 580 del codice penale che prevede l’aiuto al suicidio, per violazione degli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 3 e 8 CEDU.

La Corte di Assise di Milano.

recependo le motivazioni espresse dal Pubblico Ministero nella sua requisitoria, ha sollevato nell’ordinanza, che possiamo definire storica, del 14 febbraio 2018, Presidente Dott. Ilio Mannucci Pacini, la questione di legittimità della su menzionata norma del codice penale, nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio prescindendo dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidario.

La Corte ha ritenuto che:

in virtù dei principi dettati agli artt. 2, 13, I comma, e 117 della Costituzione, con riferimento agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’individuo sia riconosciuta la libertà di decidere quando e come morire; e che pertanto, solo le azioni che pregiudichino la libertà della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame.

Secondo la Corte, i principi costituzionali in materia, «dai quali deriva lalibertà dell’individuo di decidere sulla propria vita, ancorché da ciò dipenda la sua morte», il riconoscimento del diritto alla libertà e alla autodeterminazione e la recente approvazione della Legge n. 219 del 22 dicembre 2017 «devono presidiare l’esegesi della norma di cui all’art. 580 c.p. orientando l’interprete nell’individuazione del bene giuridico tutelato e, di conseguenza, delle condotte idonee a lederlo».

Nell’ordinanza si legge che in base ai principi di:

offensività, ragionevolezzaproporzionalità della pena, «si ritiene che le condotte diagevolazione dell’esecuzione del suicidio, chenon incidano sul percorso deliberativodell’aspirante suicida,non siano sanzionabili.

E tanto più che non possano esserlo con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, prevista dall’art. 580 c.p.,senza distinzione tra le condotte di istigazione e quelle di aiuto; nonostante le prime sianocertamente più incisiveanche solo sotto il profilo causale, rispetto a quelle di chi abbia semplicemente contribuito al realizzarsi dell’altrui autonoma deliberazione e nonostante del tutto diversa risulti, nei due casi, la volontà e la personalità del partecipe».

Nell’ordinanza, lunga ed articolata, è stato dato ampio spazio alla giurisprudenza della CEDU che ha avuto più volte modo di pronunciarsi sul tema del suicidio.

Il riferimento fa presa sulle norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che salvaguardano rispettivamente:

all’art. 2, il diritto alla vita, ed, al’art.8, il diritto dell’individuo di fronte ad arbitrarie ingerenze delle pubbliche autorità nella sua vita privata.

La Corte è giunta ad affermare il diritto di un individuo di decidere con quali mezzi e a che punto la propria vita finirà e che l’intervento repressivo degli Stati in questo campo può avere solo la finalità di evitare rischi di abuso, ovvero di indebita influenza nei confronti dei soggetti particolarmente vulnerabili, come sono le persone che hanno perso interesse per la vita.

Non c’è dubbio che la Corte di Assise di Milano si è fatta carico di una responsabilità che è propria della magistratura; ossia quella di tutelare i cittadini anche nei confronti di quelle previsioni di legge che non tengono conto dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della nostra Costituzione, perché emanate in precedenza.

Che sia la persona con le sue scelte, per una volta, al centro dei diritti.

Leggi anche: La semplice istigazione al suicidio è un reato?

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