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Hikikomori: il ritiro sociale volontario e la paura del mondo

Hikikomori: sigificato.

Hikikomori.

A Mirafiori alla periferia di Torino, un diciannovenne hikikomori si è lanciato dal quarto piano. Ha litigato con la madre che gli ha portato via il computer perché il giovane si è isolato nella sua stanza da diversi anni.

Nessuno nel quartiere dove il diciannovenne vive lo conosce. La madre compie la sola azione che ritiene potrebbe scuoterlo. Ma il suo gesto non ha un risultato positivo poiché il figlio tenta il suicidio.

Hikikomori: significato.

Con questo termine in Giappone, sin dalla fine degli anni ’90, è stata descritta una particolare condizione psicologica che riguarda soprattutto gli adolescenti e i giovani adulti.

Si caratterizza in un vero e proprio rifiuto verso la vita sociale, scolastica o lavorativa per un periodo di tempo che si protrae per almeno 6 mesi.

Chi ne è affetto non si consente nessuna relazione intima ad eccezione di quelle con i familiari più stretti.

I giovani hikikomori manifestano il loro disagio in vario modo: restano chiusi in casa tutto il giorno, oppure escono solo di notte o nelle prime ore del mattino quando hanno la assoluta certezza di non incontrare conoscenti.

Spesso fingono di recarsi a scuola o a lavoro e invece girovagano senza una meta per l’intera giornata. Questo fenomeno viene sovente associato all’internet addiction, ma da studi effettuati è emerso che solo nel 10% dei casi è stato riscontrato anche questo tipo di dipendenza.

Nel 1998 lo psichiatra giapponese Tamaki Saitō, fornisce una descrizione dettagliata del fenomeno e conia il termine hikikomori, tradotto poi dallo stesso in “social withdrawal” (ritiro sociale).

Da allora in poi numerosi studi sono stati condotti in Giappone per meglio comprendere le cause che sarebbero all’origine del manifestarsi di questo protratto rifiuto sociale. 

Da un punto di vista psicologico sono associati disturbi come la depressione. Invece, dal punto di vista sociologico si sono indagati soprattutto i fattori legati al particolare sistema culturale giapponese, basato sul confucianesimo.

Ma esiste anche un atteggiamento di anomia sociale e di rifiuto verso le severe regole morali e sociali su cui la cultura tradizionale giapponese si fonda.

E’ verosimile che questi giovani, che si sentono pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler sempre primeggiare, sia a scuola che al lavoro, non si sentano all’altezza degli standard loro richiesti.

La soluzione?

Rinchiudersi in casa per evitare di affrontare una realtà quotidiana che avvertono come opprimente.

E’ comunque emerso da diversi studi che il fenomeno hikikomori non è però legato esclusivamente alla cultura giapponese. Si registrano casi simili anche in altri paesi.

Hikikomori nel mondo.

In particolare, sono state esaminate le cartelle cliniche di giovani socialmente ritirati ed il risultato è che 239 su 247 psichiatri hanno riconosciuto il disturbo dell’hikikomori come un fenomeno clinico e sociale presente anche nelle loro popolazioni.

Questo studio del 2012 ha coinvolto psichiatri provenienti da Australia, Bangladesh, India, Iran, Giappone, Corea, Taiwan, Tailandia e Stati Uniti. Non è stato possibile fare però delle stime circa il grado di rilevanza del fenomeno nelle culture non giapponesi.

Nel Regno Unito si utilizza la sigla NEET (not in employment, education or training) per indicare quei giovani non impegnati in attività lavorative o educative.

Negli USA si utilizza il termine adultoscelent per indicare quei giovani adulti che ancora vivono con i loro genitori e che non sembrano avviarsi verso una vita propria indipendente dalla famiglia.

Da uno studio del 2014 condotto in 11 paesi europei è emerso che i giovani che usano internet, la tv o i videogame per diverse ore al giorno, che non praticano sport e dormono poco rappresentano un rischio invisibile per la società.

Il motivo? 

Queste persone nascondono in realtà dei preoccupanti segnali di rischio per lo sviluppo di psicopatologie e di comportamenti suicidari.

Si deve comunque essere cauti nell’affermare che i segnali presenti in giovani provenienti da altro tipo di società e culture siano effettivamente comparabili con il fenomeno descritto in Giappone.

Li e Wong hanno riassunto e categorizzato i fattori clinici, psicologici, familiari e sociali che guidano a questo specifico tipo di comportamento ed hanno individuato tre categorie di giovani socialmente ritirati.

1: ULTRADIPENDENTI.

La prima categoria è rappresentata dagli ultradipendenti, che crescono in famiglie ultra protettive. I giovani non riescono a raggiungere uno sviluppo psicologico che consenta loro di fidarsi delle persone e di acquisire autonomia.

Sono scarsamente motivati a raggiungere l’autonomia in quanto le loro famiglie provvedono a fornire loro le adeguate risorse materiali. Per questo motivo sviluppano un’eccessiva dipendenza dal supporto dei genitori.

2: INTERDIPENDENTI DISFUNZIONALI.

La seconda categoria è quella degli interdipendenti disfunzionali. In questo caso dinamiche familiari disadattive impediscono ai giovani di imparare le regole sociali di base a casa. Tutto questo conduce a delle relazioni sociali poco soddisfacenti con i propri pari, al rifiuto degli altri e a una tendenza ad essere vittime di bullismo a scuola.

3: CONTRODIPENDENTI.

La terza e ultima categoria è quella dei controdipendenti. I giovani vengono caricati da eccessive aspettative dei genitori nei loro confronti. A tanto si associa una notevole pressione nella vita accademica ed educativa e uno stress correlato alla carriera lavorativa.

In realtà questi giovani sembrano impiegare molto tempo nello studio e nella pianificazione del loro futuro. Accade però che la successiva disoccupazione e la mancanza di opportunità provochi in loro frustrazione che degenera in un successivo isolamento dagli altri.

I giovani diventano invisibili. La differenza tra l’hikikomori e gli altri disturbi psicopatologici è profonda. Nel secondo caso i giovani assumono comportamenti esternalizzati ben evidenti alle famiglie e agli operatori della salute, come ad esempio l’uso di sostanze stupefacenti o comportamenti sessuali a rischio.

Nel primo, invece, i giovani che si ritirano dalla vita sociale e lavorativa sembrano essere molto più invisibili e il loro disagio rischia di passare inosservato.

Hikikomori in Italia.

Secondo alcune stime sono 100mila i giovani che si isolano nel nostro Paese, per lo più maschi tra i 14 e i 20 anni. Nel 2016 erano 30mila. Si deve però sottolineare che i dati non sono ufficiali in quanto nel nostro Paese il fenomeno è ancora un po’ nebuloso.

Sicuramente è presente anche se la cause scatenati sono profondamente diverse rispetto a quelle nipponiche, che si rinvengono in un sistema sociale troppo schematizzato e veloce.

Ed anche il tipo di isolamento è diverso. Infatti se il giovane giapponese preferisce poltrire o lasciarsi andare all’inedia senza uscire dalla sua stanza per mesi, rimanendo solo in compagnia di libri e manga, in Italia si prediligono i social e la navigazione in generale sul web.

Questo disturbo viene spesso associato o confuso con la cultura nerd e geek, o più frequentemente con una semplice dipendenza da Internet, limitando il fenomeno a una conseguenza del progresso della società e non a una autonoma scelta del soggetto

E i ragazzi che si ritirano dalla scuola, dal lavoro e dalla vita sociale per rinchiudersi in casa nella nostra società sono sempre più numerosi.  Gli hikikomori vivono il rapporto con l’altro con estremo dolore e paura. Il mondo esterno e gli altri essere umani diventano minacciosi, per il timore del giudizio e della derisione.

E allora l’isolamento, il ritiro in un mondo fantastico, dove le uniche interazioni sono i familiari o pochissime persone fidate, diventano l’unico modo per fronteggiare la realtà e la sola maniera per presentarsi a questo mondo minaccioso è attraverso internet, l’unico mezzo capace di costruire un’identità accettabile e un’interazione sicura.

Fondamentale è l’ausilio degli psicologici che devono aiutare l’hikikomori a reinserirsi in un mondo sociale e in un progetto di vita.

Leggi anche: I confini della realtà virtuale e il rischio della alienazione 

BIBLIOGRAFIA:

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