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Casa: possibilità espressiva o trappola alla Moda?

Cosa definisce una casa

Cosa definisce una casa?

Il titolo evoca non per attrarre, bensì per aiutare a centrare il tema della discussione all’interno di un argomento molto più ampio. La riflessione è trasversale al mondo dell’architettura, dell’edilizia e dell’abitare in senso lato. Il tema, di per sé infinito, viene qui ristretto alla riuscita di una casa nell’ambito di una ristrutturazione. Quando si ristruttura un appartamento esistente, la volontà è quella di renderlo più consono alle esigenze di chi in quel momento andrà ad abitarci.

Questo percorso si snoda dalla prima bozza di progetto al cantiere. Professionisti di diversa estrazione incontrano privati con differenti background. La schematizzazione che viene proposta affinché le parti possano dialogare più efficientemente è, in breve, questa:

  • definizione delle esigenze abitative;
  • budget;
  • scelta degli impianti e delle lavorazioni edili;
  • i materiali.

Se vengono ottimizzati questi punti il processo giunge a compimento determinando la soddisfazione del cliente attraverso la risposta progettuale del professionista. Questo iter può essere declinato in molti modi differenti, ma piuttosto che analizzarli, ci interroghiamo su ciò: a progetto concluso e realizzato, cosa determina il successo o l’insuccesso di una ristrutturazione?

Successo o insuccesso, come in molti altri campi, sono strettamente legati alle aspettative iniziali. Se cerchiamo su Google il termine “ristrutturazione” ci appaiono subito le parole “bonus fiscali” per poi introdurre il tema di “ristrutturazione chiavi in mano”.

Per determinare il successo di una casa chiavi in mano le domande sono: i tempi sono stati rispettati? Le parti coinvolte sono state coordinate a dovere? Il budget finale, quindi, corrisponde a quello preventivato?

Se le risposte sono affermative, allora si continua: il cliente è soddisfatto del risultato estetico ottenuto? Coincide con le sue aspettative delineate dal render presentatogli inizialmente?

Se vi sono tutti si, la casa del “chiavi in mano” è di successo.

Casa da rivista.

Alla casa chiavi in mano, si oppone, quasi in uno scontro dialettico/comunicativo, la casa da rivista. La casa da rivista (quella che viene fotografata eliminando ogni possibile traccia umana, di quotidianità, eterea e vuota) per soddisfare l’architetto che l’ha progettata deve, altresì, rispondere a domande differenti.

Cosa ha guidato il processo compositivo? Che scelte sono state fatte in termini di layout? Hanno, queste, trovato compimento nella realizzazione finale? Quali sono gli elementi innovatori del progetto? Come si pongono con l’esistente?

Se le risposte riguardo questi temi sono in linea con la poetica del progettista, la casa da rivista è di successo.

Ma la casa del chiavi in mano e la casa da rivista non sono, forse, la stessa casa? Io dico di si. E perché le dividiamo? Perché scinderle?

La risposta, più immediata ed ovvia, è per convenienza. Ma conviene davvero? Spoglie di ipocrisia, tutte le parti coinvolte nell’abitare, dovrebbero farsi questa domanda. Conviene alla coppia stressata e tartassata da ricerca fondi economici, crescita del figlio, insoddisfazioni lavorative, etc… compiere la scelta del prodotto/rivestimento in voga e cadere, così, nella trappola della moda?

Non è necessariamente più costoso in termini pecuniari, trovare ciò che davvero fa al caso nostro e ci rappresenta. E’ dispendioso in termini di energia conoscitivo-culturale. Ugualmente il progettista pecca di pigrizia intellettuale quando ripropone il suo stile, che sa essere vincente, riconoscibile e apprezzato tra la cerchia dei suoi amici/approvatori. Anche lui, così facendo realizza la casa come trappola alla moda. Una moda, diversa magari da quella precedente, basata su riferimenti e canoni altri, ma pur sempre trappola.

Come fare per riunificare le due entità in una sola?

La casa è la nostra più intima rappresentazione architettonica, la più primitiva e la più mutevole. La casa dovrebbe rappresentarci, individuare chi siamo spazialmente. Se qualcuno entra nella nostra casa, deve poter veder noi, riconoscerci. La casa del chiavi in mano e la casa da rivista si riuniscono nella “Casa come lettura umanista dell’io”.

Questa definizione, che può sembrare solamente accademica o al massimo utopica e aristocratica, regge anche l’urto delle argomentazioni che state pensando in antitesi ad essa. Le difficoltà pratiche di una normale ristrutturazione attraverso l’individuazione di ciò che vogliamo davvero, possono essere ridotte e possiamo ottimizzare il processo.

Se evitassimo, infatti, di cambiare idea durante l’iter progettuale/di cantierizzazione, riusciremmo a ridurre gli sprechi e rimanere nel budget preventivato. E se l’idea di casa che abbiamo come clienti viene fatta propria dal progettista, quest’ultimo troverà le migliori soluzioni progettuali. Così da sognatori utopici, potremmo trasformarci in funzionali pensatori moderni.

L’approccio appena descritto non deve essere olistico e onnicomprensivo. Sta a noi capire quando necessitiamo beneficiarne. Il momento di incontro e conoscenza deve essere introdotto dal progettista quando pensa di poterne usufruire. Quando la casa diviene identificazione ed espressione dell’individuo, allora avremo la casa come libertà espressiva, ossia quando il cliente riceve l’invito a comunicare del progettista e accetta di immaginare e non di farsi compratore di soluzioni preconfezionate.

La casa è il prodotto dell’incontro di incertezze che divengono nuovi scenari.

L’ambiente domestico ha una evoluzione che può svincolarsi dai trend di città e comunità. Le storicizzazioni su scala globale di questi possono trovare conferma o smentita nella casa. La casa, quindi, diviene riproposizione o ribaltamento, giocosa reinterpretazione o ribelle rifiuto, oppure un insieme di sfumature di entrambi. Le case possono volersi isolare o possono invitare al contatto con la comunità esterna ad esse. Possono essere filtro o amplificatore.

Nel farsi concretizzatore di questi temi, la casa diviene possibilità espressiva.
La casa non può, però, evitare il confronto con la società: così anche se si pone come reazione ad essa, ne testimonia l’esistenza. Una società come quella odierna, poco incline a generare nuovi modelli alle prese con una crisi che si ripercuote come riproposizione di vecchi stili e stilemi, vede case già vecchie e stanche seppur appena terminate e pronte per essere vissute.

Quello con cui troppo spesso ci dimentichiamo di dialogare, è l’unico soggetto che determina il successo di una casa: l’uomo stesso, l’individuo abitante. Troviamo tutti un momento per comunicare con lui, con l’uomo abitante, mettiamo nel nostro cronoprogramma anche un incontro umanista quando serve: conviene ad ognuno da ogni punto di vista.

Van Gogh, La casa e camera di Vincent ad Arles
Van Gogh, La camera di Vincent ad Arles.

Di Andrea Cippitelli.

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