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L’opportunità nell’inopportuno Trump

Trump

Forse è giunta l’ora dello svezzamento. La resilienza è per pochi, Darwin lo sapeva.

I cambiamenti vengono percepiti come eventi (melo)drammatici, sia dall’uomo che da tutte le forme di aggregazione da esso create. Vivere nell’ovatta, anche se in decomposizione, fa comodo.

La percezione del movimento come fenomeno negativo è usuale, ma se attingessimo alla filosofia secondo cui le difficoltà rappresentano delle opportunità, potenzialmente potremmo gestire la questione “Trump” come un’opportunità di genesi.

Palesi e manifeste non sopportazioni dei legami con gli Stati Uniti si sono susseguite nel tempo. Da più di settanta anni ci siamo dimenati tra imprecazioni e illusionistici tagli del cordone ombelicale, la cui origine è metafisicamente imputata al piano Marshall.

Cordone ibernatosi per via di eventi storici e lungimiranti, condivisibili e non, scelte politiche.

Il pathos per l’elezione di Donald Trump ha pervaso tutti noi, italiani ed europei. Abbiamo somatizzato, e continuiamo a somatizzare un “problema”, tendenzialmente, non nostro.

Forse dovremmo esser noi, un po’ più protezionistici nella scelta delle preoccupazioni a cui porre rimedio.

Consapevoli del legame passato che ci ha uniti, ma non per forza di cose debba rimanere immutato nel tempo. Il tempo ha cambiato ruoli, posizioni ed egemonie.

Legame non necessariamente è sinonimo di dipendenza, può esserne solo la radice ammalata dal e nel tempo.

C’è un’ostetrica, botoxata, “roscia” e lampadata, la quale ha scelto di tranciare questo cordone… ma che male c’è.


L’avvento di un distacco ci preoccupa: ma perché?

Anzi, perché non diamo man forte a questa cesoia?


Ultimamente questa placenta ci ha costretti ad un’incubazione forzata, fagocitandoci in conflitti internazionali logoranti, nell’abisso economico e in marginali vantaggi di mercati.

Ciò non vuol dire fazionarsi nell’anti-americanismo o nell’anticapitalismo. Ma la speranza di un “new deal”, un nuovo corso, impadronirci delle nostre scelte.

Dare forma, sia come italiani sia come europei, di una identità e pensiero nelle strade da percorrere. Siamo deboli in termini identitari, ma forse ha fatto comodo indebolirci, ha fatto comodo agli statunitensi e anche a noi (di chi ci governa).

Lasciamoli alle loro scelte, forse siamo in una nuove fase storica di rigenerazione o generazione. Badiamo a noi. Ah, se solo l’Europa abbandonasse il suo, quasi eterno, momento “ormonale” e si concentrasse nel carpe diem!

L’ho asserito in tempi non sospetti, e lo ribadisco:

  • c’è un meraviglioso nuovo baricentro… è il Mondo. Sempre mantenendo i rapporti di buon vicinato con i cugini “rozzi” d’oltreoceano, ma tessere un nuovo approccio a quel baricentro costellato di mini mondi, micro identità, nient’altro che nuove opportunità.

E inconsciamente Trump, certo del nostro immobilismo, ci sta facendo da stella cometa. E’ colui il quale sta scoperchiando il vaso di Pandora.

Il terrore pervade tutti, ma a me vien da dire “prima o poi qualcuno avrebbe dovuto prendersi questa responsabilità”. Abbiamo tutti interpretato per troppo tempo il ruolo di Stepan Trofimovic, cullandoci nell’assistenzialismo della nostra Varava Petrovna (alias Usa).

E come insegna Fedor nel suo “I Demoni“, prima o poi i demoni si svelano.

Donald è il black out di un sistema relazionale che non ci giova più, un noioso gioco di bambole vudù. I cambiamenti negli USA sono il nostro punto zero, la porta “EXIT – IN CASE OF DISASTER”.

Magari avessimo questa presa di coscienza, magari potessimo asserire “Dear Trump”, “siamo dei migranti, decidiamo di emigrare da questa torre di Babele per immigrare nel mondo”.

Leggi anche: Democrazia | Baluardo utopico

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