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Il Russiagate e i nuovi venti di Guerra Fredda

Il Russiagate e i nuovi venti di Guerra Fredda

Russiagate: una rivalità destinata a protrarsi nel tempo. 

A quasi trent’anni dalla caduta dell’Unione Sovietica, le dinamiche della guerra fredda tornano a scuotere gli equilibri della politica internazionale. Al centro del Russiagate c’è la possibile ingerenza russa nelle elezioni americane del 2016 per condizionarne l’esito in favore di Trump.

Sospetti nutriti non solo da parte americana ma confermati anche da parte russa. Ksenia Sobchak, sfidante di Putin alle prossime elezioni, ha ribadito che i sospetti americani potrebbero essere fondati.

Russiagate: i sospetti!

Sospetti emersi all’indomani delle elezioni e che hanno portato Obama ad espellere trentacinque diplomatici russi nel dicembre 2016;gli stessi alimentati dalla vicenda Comey, il direttore dell’FBI licenziato dopo aver avviato le indagini sul Russiagate

Sospetti confermati da quanto scoperto dall’FBI: tredici cittadini e tre aziende russe sono stati accusati di aver interferito nella campagna elettorale favorendo Trump.

Le dinamiche della cospirazione.

Al centro delle indagini c’è la Internet Research Agency(IRA), un’azienda che avrebbe ricevuto finanziamenti da Yevgeny Prigozhin, oligarca vicino al Presidente Putin, al fine di perpetrare azioni di disturbo durante la campagna presidenziale americana.

Il Federal Election Campaign Act vieta ai cittadini stranieri di finanziare qualsiasi attività collegata ad elezioni locali, statali o federali. L’IRA, a quanto emerge dai documenti dell’FBI, avrebbe violato tale divieto sin dal 2014, coinvolgendo altri agenti oltre ai tredici sinora individuati

Attraverso i social network, gli agenti russi avrebbero favorito la diffusione di contenuti denigratori nei confronti della candidata democratica Hillary Clinton impiegando account creati sotto falso nome oppure attraverso furti di identità a danno di cittadini statunitensi. I profili rubati erano impiegati per gestire pagine con decine di migliaia di follower.

È sufficiente una goccia affinché le dinamiche dei social network possano far nascere un oceano.

Secondo gli investigatori, gli agenti russi si sarebbero recati negli Stati Uniti sotto falsa identità per impiegare server e indirizzi IP locali che mascherassero l’origine straniera delle attività sui social network. I cittadini americani sono stati direttamente coinvolti.

Attraverso gruppi Facebook come Being Patriotic gli agenti russi avrebbero promosso iniziative volte a denigrare l’immagine di Hillary Clinton, come la campagna “Hillary for Prison”.

Nell’ambito di tale campagna rientrerebbe anche la manifestazione a sostegno di Trump tenutasi in Florida il 20 agosto 2016; durante la stessa, una donna sarebbe stata pagata per impersonare Hillary Clinton in prigione. Una vera troll factory, come è stata definita dal procuratore speciale dell’FBI Mueller, cui hanno contribuito i membri della campagna Trump condividendone e ritwittandone i contenuti.

L’FBI riferisce di “unwitting individuals associated with the Trump Campaign”, ovvero di soggetti non consapevoli della reale identità dei loro interlocutori e che pertanto sarebbero vittime, piuttosto che complici.

Le indagini dovranno chiarire se vi fosse reale inconsapevolezza da parte dei membri della campagna Trump; ma i recenti sviluppi della vicenda destano ombre su due collaboratori del Presidente: Paul Manafort e Rick Gates.

La confessione di Gates.

In questi giorni Rick Gates ha ammesso di aver precedentemente mentito agli agenti dell’FBI e di essere stato coinvolto in attività di cospirazione.

L’ex braccio destro del Presidente, che ha lavorato alla campagna Trump tra giugno e agosto 2016, ha scelto di collaborare con gli investigatori dopo che a suo carico sono stati formulati 32 nuovi capi d’imputazione.

“Per la mia famiglia sarà meglio se procederò uscendo da questo processo. La conseguenza sarà un’umiliazione pubblica, che al momento sembra un piccolo prezzo da pagare rispetto a quello che i nostri bambini avrebbero dovuto sopportare”.

Gates e Manafort sono accusati di aver riciclato circa trenta milioni di dollari negli anni in cui lavoravano come lobbisti presso il governo ucraino. Nei confronti di Manafort è stata inoltre formulata anche un’accusa di evasione fiscale.

Accuse che, a prima vista, non sembrano direttamente collegate al filone d’indagine sulle ingerenze russe nella campagna presidenziale.

A destare sospetti, tuttavia, sono proprio i rapporti che Gates e Manafort hanno intrattenuto con il presidente ucraino Janukovyč, notoriamente filorusso.

Relazioni che destano sospetti in ragione di possibili contatti tra i due imputati e il Cremlino per mezzo dell’intermediazione del Presidente ucraino. Sospetti che attualmente non trovano conferma e che hanno portato la Casa Bianca a dichiararsi completamente estranea alla vicenda.

Il provvedimento emesso dal procuratore speciale Mueller afferma che:

  • Gates e Manafort avrebbero agito tra il 2006 e il 2015 come “agenti non registrati di un governo straniero e di partiti politici stranieri, ed in particolare del governo e del Presidente dell’Ucraina”.

L’attività di lobbying si sarebbe estesa anche ad altri politici europei, pagati attraverso conti offshore per condurre a loro volta attività di lobbying per conto del Presidente Janukovyč.

Sebbene il provvedimento di Mueller non avanzi ipotesi sui soggetti coinvolti, i sospetti sono ricaduti, tra gli altri, anche sull’ex Premier Romano Prodi il cui ufficio stampa ha smentito ogni coinvolgimento tramite un comunicato.

Tuttavia, l’aver pagato politici stranieri non costituisce reato per l’ordinamento americano. Le accuse mosse a Manafort e Gates vertono infatti sull’aver tenuto nascosto il piano di lobbying e sul non essersi dichiarati agenti per conto del governo ucraino e del Presidente Janukovyč.

Possibili scenari futuri.

Dopo l’autodenuncia di Gates preoccupa il rischio di un effetto domino che possa portare alla luce elementi non ancora emersi. L’impeachment sembra ipotesi remota.

Se si considerano i tre casi per i quali è prevista tale procedura (tradimento, corruzione e “altri gravi crimini e misfatti”) appare evidente come vi sia margine di interpretazione, soprattutto con riferimento all’ultima e aleatoria previsione.

Tuttavia, la maggioranza repubblicana alla Camera e al Senato rende difficile ipotizzare un voto favorevole alla messa in stato d’accusa.

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