Cinema

DIE HARD – Duri a morire: un action d’autore

Die Hard – Duri a Morire, 25 anni fa rivoluzionava un genere.

Sicuramente molta della fama che Bruce Willis può vantare oggi, la deve al personaggio dell’agente John McClane nella saga di Die Hard: uno dei più simpatici, scatenati, ironici e anche volendo sfigati, poliziotti della lunga e gloriosa tradizione che l’action ci ha donato.

Ispirato al Joe Leland di Nulla è Eterno, Joe del romanziere Roderick Thorp, il personaggio esordì nel famoso Trappola di Cristallo, diretto sempre da John McTiernan, nel 1988, diventando in breve tempo uno degli eroi più popolari del grande schermo.

A Trappola di Cristallo seguì un secondo episodio altrettanto fortunato: Die Hard – 58 Minuti per Morire, sempre con Bruce Willis, che permise a McClane di staccarsi dal modello creato da Thorp, prendendo una via più legata a quella di un moderno Frank Malone, attingendo moltissimo anche dalla dimensione dello spaghetti western italiano.

Samuel L. Jackson, Bruce Willis e Jeremy Irons. I tre protagonisti di Die Hard – Duri a Morire.

Die Hard Duri a Morire era anche un buddy movie?

Tuttavia il vero fiore all’occhiello della serie Die Hard, perlomeno per ciò che riguarda complessità dell’intreccio, regia e dinamismo, rimane il terzo episodio: Die Hard With a Vengeance, tradotto da noi con Die Hard – Duri a Morire, sempre diretto da John McTiernan ed uscito in Italia il 26 ottobre 1995.

Qui, al contrario che negli altri episodi, Bruce Willis non era il solo mattatore del film, ma era immerso in una dimensione simile al buddy movie, dove a fargli da spalla c’era un adrenalinico, imbufalito e simpaticissimo Samuel L. Jackson, con cui solo l’anno prima era stato sul set del mitico Pulp Fiction.

Willis e Jackson, si trovavano per una serie di fortunose circostanze alleati contro Simon Gruber, un nemico astuto, subdolo, freddo e narcisista, interpretato alla grande da Jeremy Irons. Questi era un terrorista mercenario, fratello di quell’Hans Gruber, villain del primo film della serie, che grazie ad Alan Rickman era diventato uno dei cattivi più famosi di sempre.

Un omaggio all’amicizia virile.

Hans Gruber guidava un nutrito gruppo di mercenari tedeschi, decisi ad impadronirsi con l’inganno dell’oro conservato nella Federal Reserve, creando prima però un clima di minaccia terroristica e bombarola, con cui in realtà distrarre le forze dell’ordine e dell’FBI.

Tuttavia Hans cercava anche di vendicarsi di McClane, tentando di distruggerlo prima mentalmente e poi fisicamente, sottoponendolo ad una serie di indovinelli e di una sorta di letale caccia al tesoro, dove però proprio il personaggio di Samuel L. Jackson sarebbe risultato preziosissimo.

Accoppiata classica dell’action poliziesco, un bianco ed un nero erano protagonisti in Die Hard, ma seguendo uno schema molto diverso dal solito, una sorta di alleanza sempre oggetto di tensione razziale e politica, dove però poco a poco i due avrebbero imparato a rispettarsi e ad essere amici, secondo i canoni più classici dell’amicizia virile di una volta.

Un cattivo unico nel suo genere.

Adrenalinico, scatenato, divertente, con scene di sparatorie ed inseguimenti ed esplosioni fantastiche, Die Hard – Duri a Morire aveva una sceneggiatura di Jonathan Hensleigh sostanzialmente perfetta, per complessità, colpi di scena, sviluppo dei personaggi.

Pur senza lo charme e l’eleganza di Rickman, Jeremy Irons ci donò un cattivo fantastico, se possibile anche migliore, mutevole, imprevedibile di Rickman, animato da una precisione e meticolosità degne di un Moriarty, eppure segretamente pervaso anche da una profonda rabbia ed avversione.

Non potevi mai capire cosa stava per fare, il suo piano era tanto meticoloso quanto ricco di false piste, falsi indizi, eppure egli appariva sempre misurato, quasi in un certo senso poco propenso alla violenza, con un atteggiamento da giocatore di scacchi consumato, che conosceva già in anticipo ogni mossa della polizia e dei protagonisti.

Un vero e proprio ragno della metropoli. “New York New York!” Ma più di tutto, anche della chimica perfetta tra Willis e Jackson, poté il vero protagonista di Die Hard: La città di New York.

Mai, prima di allora in un film d’azione, una città con la sua storia, le sue strade, i suoi parchi, ponti, scuole e siti storici, era stata tanto importante, qualcosa di più di una location: diventò un attore dell’iter narrativo, un deus ex machina.

Assieme era anche un contenitore dei personaggi, e la Grande Mela fu analizzata, sezionata da John McTiernan, che ci mostrò Harlem, Brooklyn, i tunnel sotterranei, Long Island…si allontanò dalla dimensione già nota e già mostrata da tanti altri registi e film.

Anche in questo Die Hard fu totalmente diverso dai suoi predecessori e dai sequel (questi ultimi veramente deludenti), perché rese il tutto una sorta di enorme labirinto in cui i prigionieri (Willis e Jackson) si salvavano solo rompendo le regole.
Alla fin fine, ciò che emergeva era soprattutto una New York in cui non potevi far altro che improvvisare, adattarti alle situazioni.

Un film che purtroppo non ha avuto eredi.

A 25 anni di distanza esatti, Die Hard – Duri a Morire rimane purtroppo un esempio alquanto isolato del genere, che negli anni ha preferito sposare effetti speciali in CGI, botti e sparatorie, senza più curarsi dell’intreccio, dei personaggi, di rendere il tutto il più possibile sì divertente e appassionante, ma anche verosimile, umano.

John McClane in realtà era decostruzione dei miti vincenti e glamour dell’action anni 80, dei super macho pieni di muscoli e corpi perfetti, con la sua aria da barbone, la sua sbornia facile e il disastro familiare.

Oggi invece siamo pieni di sex symbols sempre perfetti, che anche in mezzo a sparatorie od inseguimenti, mostrano pettinature impeccabili, hanno venti cinture nere…ma quanto era meglio avere invece un detective autoironico, sfigato, preda della calvizie, brutto, con la canottiera bruciata, che prendeva mazzate ovunque ma non mollava mai?

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