Arte

Dino Valls: la pittura iconica dell’inconscio

Dino Valls: intervista a cura di Mariaimma Gozzi.

Dino Valls, Nasce a Saragozza (Spagna) nel 1959. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1982. Vive e lavora a Madrid, dal 1988.

Benvenuto Dino, grazie di aver accettato la mia intervista, ė un autentico piacere per me che ammiro il suo stile pittorico da anni.

Grazie a lei.

Tutte le sue opere sono autentici capolavori, un inno alla creatività, uniche.

Quando deve dare forma all’idea, realizza prima un bozzetto o dipinge direttamente preso dall’ispirazione?

Intraprendo sempre un lungo e intenso lavoro precedente, in cui realizzo decine di bozzetti. A partire da una prima o più idee germinali, inizia un processo di introspezione, di attenta sensibilità, in cui approfondisco gli argomenti da trattare, per cogliere e conoscere quelle immagini emergenti dall’inconscio, che io percepisco come messaggi speciali, in stretta relazione psicologica col tema. Parallelamente a questo processo, gli schizzi si vanno plasmando, elaborando, e le immagini esplorate costruiscono la composizione del quadro.

Nelle sue opere ricorre l’immagine puberale, quella dell’adolescente androgino. La sua sensibilità e attenzione verso il mondo della giovinezza da dove sorge?

L’immagine puberale e androgina, penso incarni un archetipo indefinito, in cui la vaghezza e l’ambiguità della figura, sia per l’età, la sessualità, e per il ruolo sociale, è in un processo di scoperta, di individuazione. È il corpo ideale per accogliere, come un recipiente, le proiezioni inconsce del contemplante, come di junghiana psicologia, serve a rappresentare l’Animus/Anima personali.

La fragilità delle sue creature, sospese fra il divino e l’umano, è disarmante nella fissità dello sguardo. Dagli occhi cristallini permea l’inquietudine, il disagio, essi appaiono imploranti, sgomenti, imprigionati in un pensiero inafferrabile.

E’ così?

In effetti, lo sguardo dei mie soggetti sintetizza l’apice, il momento più alto della comunicazione con lo spettatore. Il senso d’inquietudine e d’impotente angoscia, ci conduce a quei vertici esistenziali in sé, e rimanda a quel metafisico di cui è parte integrante la nostra coscienza di esseri umani.

I suoi personaggi sono quasi sempre intrappolati in uno spazio delimitato: scatole, armadi, trittici, polittici. A volte in una condizione da cui è impossibile tornare indietro: croci, morgue.

Vuole forse darci il senso del limite umano?

Credo che lo spazio racchiuso, delimitato, e quasi opprimente nella mia pittura, riconduca all’interno della nostra psiche, nelle recondite profondità ataviche, ancestrali, in cui l’uomo è custode di una immateriale trascendenza. Progressivamente, nelle mie opere, sono andati restringendosi gli spazi aperti, giungendo a non averne quasi più per nulla. Forse per esaltare l’angoscia esistenziale che ho citato prima.

La sua pittura figurativa, densa di particolari, è concentrata alla minuziosa rappresentazione realistica di sapiente finezza tecnica. E a renderla ancor più suggestiva sono le atmosfere metafisiche, surreali, simboliche, in cui emerge la colta ricerca.

Quando ha iniziato la sua esplorazione nell’arte e quali sono stati gli artisti che le hanno suscitato interesse?

La mia passione per l’arte, e per la cultura più in generale, è iniziata quando ero molto piccolo, ed è sempre stata una costante nella mia vita. Anche se la mia formazione educativa è stata la scienza medica, l’arte ha sempre permeato la mia attività in modo incisivo, determinante, al punto di decidere di lasciare la professione di medico per dedicarmi completamente alla pittura. Sono molti gli artisti e le discipline nell’ambito che mi interessano. Ma, sono fortemente affascinato dal significato che assume la creatività e la fantasia nell’essere umano, più che dal concetto di arte in generale.

I giovani corpi, nei suoi quadri, hanno incisioni sul viso, sono bucati da aghi, misurati da compassi, osservati alla lente d’ingrandimento, accostati ad insoliti oggetti e a fogli didascalici. Fanno pensare d’essere stati vittime di misteriose pratiche occulte. L’estrema e paradossale iconografia riferisce la contaminazione della scienza.

Ma in che misura lei ne è rimasto suggestionato?

L’influenza della scienza e della medicina nella mia pittura è evidente. In essa è presente quel mondo, rappresentato con precisione quasi clinica, che tenta di descrivere, analizzare, classificare, misurare categoricamente gli esseri umani, contrastando fortemente con l’assenza di un senso logico nella scena del quadro. L’immagine che se ne ha, è la proiezione conflittuale e dualistica del nostro pensiero occidentale, in cui forte è il tentativo di razionalizzare, intellettualizzare, classificare e comprendere la realtà ma, si scontra con l’incertezza, con l’irrazionale, caotico e imprevedibile, della propria esistenza.

Nelle sue opere ricorre l’astrazione di un fondo in oro, di squisita memoria gotica, confortato da forme a lunetta o ad ancòna arieggianti pale d’altare. Ma, formalmente riflette su quegli elementi significanti di virtuosismo rinascimentale.

Due stili conciliati nella sua pittura, ma cosa l’attrae di questi?

Questo tipo di composizione, oltre che esteticamente eloquente nella sua formale narrazione, riesce ad essere particolarmente coinvolgente nel momento in cui c’introduce verso quella ritualità celebrativa di uno spazio sacro, quasi facessimo parte di una liturgia, di una cerimonia che c’impegna mentalmente, forse per sfuggire dalla rappresentazione naturalistica della realtà. Siamo di fronte a un dramma interiore, spirituale, in cui siamo coinvolti e chiamati a partecipare. L’artista osserva sempre con profonda sensibilità il mondo che lo circonda.

La sua è una natura contemplativa e silente, o preferisce assorbire gli stimoli nel vivere quotidiano, tra la gente?

Evidentemente una natura molto riflessiva e meditativa. Intenta a calarsi in profondità dove è possibile incontrare l’immateriale spirituale dell’inconscio, quello collettivo che ci unisce e ci lega davvero tutti come esseri umani. Un atteggiamento completamente introspettivo, necessario per cogliere le immagini, fonte della mia indagine, con le sue sensazioni emozionali. Dipingo ricorrendo alla memoria visiva, immaginando, ripercorrendo, le iconografie introiettate e interiorizzate. Come quando elaboriamo i nostri sogni durante il sonno, privi di connessioni sensoriali. Lontano da qualsiasi interferenza estrema che possa deconcentrare il mio lavoro creativo e interiore, quindi più isolato possibile.

Il coinvolgimento emotivo, nella filosofica e intima visione delle cose, quanto è importante per dipingere?

Il coinvolgimento emotivo è essenziale per creare e deve essere inventato tra le righe logiche della ragione e dell’intelletto. L’identificazione con il personaggio per me è fondamentale, anzi, ritrovo nella sua essenza il riflesso della mia personale e intima natura, come uno specchio interiore, quasi fosse un autoritratto.

Quando si è reso conto che la passione per la pittura era talento ? E quali sono stati i processi interiori?

La percezione di avere talento verso il linguaggio, l’ho avuta nel corso degli anni, quando sono arrivati apprezzabili riconoscimenti da parte del pubblico, dei critici d’arte, di professionisti e galleristi. Questo mi ha fatto decidere di intraprendere l’attività artistica come professione, ed è quello in cui ho sempre investito culturalmente, come stile di vita.

Per concludere vorrei chiederle: quand’è che ritiene finita un’opera?

Nel momento in cui ho la sensazione di essere riuscito a compendiare tutti i concetti, consapevole che, come ogni cosa vivente, anche l’opera d’arte continua a trasformarsi nel tempo. Ciascuno dei miei lavori sono solo una tessera di un mio grande lavoro, costituito dall’intera produzione realizzata nel corso della mia vita. E l’opera come un’entità organica, continua a mutare ed evolvere nella mente di colui che la contempla. Il mio contributo è solo un momento limitato di questo processo inarrestabile.

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