Arte

INSINUARTE: Classico/Contemporaneo

INSINUARTE: Classico/Contemporaneo; il bianco, il blu e altro.

La collettiva che presentiamo accoglie le opere di quindici artisti tra i più rappresentativi dell’Arte Contemporanea, autentici fuoriclasse – nell’esclusività dei diversi linguaggi espressivi – del Disegno, della Pittura, della Scultura e dell’Incisione.

Artisti che espongono nei musei più prestigiosi d’Europa e del mondo, vincitori di premi nazionali e internazionali. La peculiarità della mostra – che raccoglie oltre sessanta opere e denota, di per sé, una forte connotazione estetico-filosofica e spirituale – è di “insinuarsi” nell’architettura del tempo, vivificante interazione e contaminazione, con l’elegante allestimento ad hoc capace di coniugare il nuovo/contemporaneo tra le opere barocche della preziosa collezione HagerSportelli di Palazzo Sforza Cesarini

Nel complesso impegno ermeneutico, attraversato dagli stilemi di ognuno, fa da cerniera la coesistenza equilibrata di tutte le opere – antiche e contemporanee – e il salto di quota si rivela eloquente oracolo poiché, sia che si tratti dell’ordine del mondo classico o delle stranezze del barocco o delle novità del contemporaneo, sia che si osservi il rigoroso realismo o si allontani fino all’astrazione, l’arte afferra e simboleggia le coscienze, e ci sfida a fermarci all’attimo fuggente o a renderlo indeterminato, infinito. Ecco, questa mostra chiede all’osservatore una partecipazione a-temporale o meglio, verticale del tempo, in cui tutto coesiste: Passato, Presente e Futuro.

Di certo il concept, ri-creato con seduttiva persuasione, conduce da una sala all’altra così come quando si sfoglia un libro di storia dell’Arte, e a chi volesse coglierne i caratteri salienti, a ogni sala sembrerà di voltare pagina, quando s’apriranno squarci scenografici e visionarie atmosfere pregne d’intenso chiarore epifanico. Le opere, nella molteplice vocazione del disegno, della pittura, della scultura e dell’incisione, possiedono il rigore ineludibile dell’armonia, ed esigono contemplazione e riflessione.

Se la mostra testimonia un’inclinazione poliedrica degli artisti, v’è tuttavia una fiamma poetica unificante: l’aver studiato tutti all’Accademia di Belle Arti, incipit ed elemento sintomatico di chi non s’improvvisa artista. Naturalmente, ognuno possiede una precisa essenza identitaria e il suo contributo nell’individuare un’attitudine estetica, un gesto, una particella pittorica, un frangente materico, si riverbera potente nell’arte del XX e XXI secolo.

Pensiamo al disegno virtuoso di Omar Galliani – di cui alcune opere sono state paragonate a quelle di Leonardo e sono presenti nella collezione degli Uffizi e in altri prestigiosi musei del mondo – già fondatore di due movimenti artistici, l’Anacronismo con Maurizio Calvesi e Italo Tomassoni, e Magico Primario con Flavio Caroli; pensiamo alla pittrice del Neo-barocco Elena Tommasi Ferroni, capace di trovare un suo personalissimo stile e di riportare in auge un certo tipo di pittura (a lungo demonizzata) con autentica verve innovativa e immaginifica; pensiamo allo stile di Carlo Rea, che unisce da sempre gli studi musicali a quelli sulla materia, trovando il punctum unificante nell’astrazione delle “spore” e nella leggerezza delle sue opere realizzate con la garza e impregnate di quell’incipit  musicale; pensiamo all’incisore Elisabetta Diamanti, che studia il DNA del segno per ex-spreme nuove e accattivanti possibilità estetiche determinate dal gesto inferto sulla lastra di metallo in cui ella restituisce, con la stampa, l’anima.

I suoi soggetti ispirati alla flora possiedono la forza della leggerezza e, per dirla con Rousseau, “E’ necessario che la natura venga rimessa al centro dell’esistenza dell’uomo (…)”; pensiamo all’artista Giorgio Galli – tra gli ideatori del movimento Neo-astrazione romana (insieme a Elio Rumma), sorto a fine anni ’80 – che ci presenta nella mostra l’indagine condotta sulla luce e sulla materia nell’ultimo decennio, ri-percorrendo i sentieri esteriori (sul Lago di Nemi) e interiori dell’artista francese Jean-Baptiste Camille Corot; pensiamo allo scultore Michelangelo Galliani che s’affida allo studio anatomico formale della statuaria classica – matrice da cui elabora efficaci commistioni tra marmo bianco di Carrara, paraffina, e metalli -compenetrato di elementi simbolici complementari e indissolubili; pensiamo allo scultore Marika Ricchi, sempre più concentrata nella ricerca analitica del particolare anatomico umano: i piedi; interpretati con elegante gusto formale ma suscettibili di stilosi e intriganti innesti col design; pensiamo al pittore e scultore Luigi Menichelli, che ha saputo coniugare la superficie modellata fittamente di foglie, di bacche e di esili ramoscelli, e la pittura, ricavando delle fascinose texture suggerite dalla delicatezza e dal vigore della natura.

Pensiamo al pittore Claudio Marini, che conduce la sua indagine “materica” – ispirata all’Informale Europeo (A. Burri ed E. Vedova) – declinata in tutte le forme, e introduce con affinata intuizione i famosi “cascami”, fili di cotone di cavi industriali – agire che rientra nella filosofia del riutilizzo dei materiali. Nelle sue opere elaborate con eloquenza poetica egli registra accadimenti sociali, politici e culturali: guerre civili, transumanze umane e tragedie  dell’umanità; pensiamo alla ricerca di Stefano Trappolini, che trova una certa corrispondenza con l’Espressionismo astratto dello statunitense Robert Rauschenberg, e nella perlustrazione dilatata nel tempo approda alla soluzione stilistica della “sagoma dinamica”, la quale sintetizza il peregrinare dell’uomo nella società, condizione ineludibile dell’esistenzialismo.

E ancora, pensiamo a Carola Masini un’artista concettualmente impegnate a rintracciare il cammino antropologico dell’uomo, indissolubilmente annodano a oggetti simbolici e significanti, come memorie identitarie e distintive di razze, popoli e civiltà.

E naturalmente in questa mostra non deve mancare la presenza di giovani artisti talentuosi.

Pensiamo al pittore Alessandro Sicioldr Bianchi, seguace di un figurativo accademico ri-portato a una dimensione surreale, tra oniriche ambientazioni e immaginifiche realtà – sempre in bilico tra conscio e inconscio di Junghiana natura – con forte e dominante inclinazione al simbolismo; pensiamo all’artista Alessandra De Sanctis, dalla sensibilità fortemente spirituale, intensamente coinvolta nella rappresentazione dell’immateriale che rende ben visibile dal tracciato del disegno formale accademico, ma incline a renderlo avvolto da un’aura spettrale, per cui ti ritrovi a scivolare con estrema naturalezza nelle umane inquietudini e nella drammaturgia dei suoi soggetti; pensiamo alla pittura Neo-realista di Emanuele Garletti, che interpreta diversi generi di donna con seduttive costruzioni ambientali – terribilmente affascinanti e verosimili – citando un gesto, un’espressione, un atto in cui tutto si consuma, e nel quotidiano vivere circostanziato ognuna delle donne rappresentate risulta essere autentica nell’immediatezza empatica.

E infine pensiamo all’opera creata ad hoc per questa mostra, Tevere, di Massimiliano Galliani, che ci invita a fare un salto di quota su spazi immensi catturati dal satellite. E quindi da una dimensione non umana. Dove non esiste la prospettiva e non esiste l’illusoria linea dell’orizzonte, anzi il bianco evocativo della terra che affianca il fiume sembra uno spazio innevato da scalare e questo provoca un sintomo di spaesamento, di estraneamento e infine d’astrazione.

Occorre una precisazione riguardo il tema della mostra, o meglio il leitmotiv, che inizialmente, quando è stata ideata, privilegiava la bicromia “Il bianco e il blu”. Ci si è resi conto, in verità, col passare del tempo, che l’“essere” sente la necessità di nutrire la propria anima con tutti i colori che la natura le dona e quindi si è scelto di liberare l’azione degli artisti da qualunque steccato in favore di un nuovo ed auspicabile equilibrium.

Di conseguenza la mostra s’è aperta alla policromia – ed è intitolata INSINUARTE: Classico/Contemporaneo; Il bianco, il blu e altro – estensione altresì interessante ed evidente durante tutto il percorso, in quanto non sarà difficile imbattersi in opere di tutti i colori.

Certamente incontrando il bianco e il blu la citazione desidera evocare i colori che più hanno avuto successo negli ultimi cinquant’anni nell’arte: seppure la loro percezione sia distinta e scientificamente opposta, essi piacciono perché danno il senso dell’indeterminato e della trascendenza. Il bianco, che in passato veniva definito un “non-colore” – a parte Filippo Brunelleschi l’architetto illuminato che nel Quattrocento in modo rivoluzionario già lo utilizza per dipingere le pareti dei suoi edifici perché capace d’evidenziare la pulizia della forma – nel Novecento viene elevato a pieno titolo a “colore”, soprattutto come reazione al soverchiante Espressionismo Astratto di Jackson Pollock e alle ingerenze serigrafiche della Pop Art di Andy Warhol. Ecco perché il bianco diventa protagonista, tra gli anni Sessanta e Settanta prima negli Stati Uniti e poi in Europa.

Ma già nel 1913 con l’opera, Un quadrato bianco su fondo bianco, di Kazimir Malevic s’avvia un processo rivoluzionario che ad oggi ci sembra insuperato e ci fa comprendere meglio il significato di “assoluto”.

Il Suprematismo, il Minimalismo, il Concettuale, lo Spazialismo, tutti conducono ad un’unica matrice: l’astrazione e l’indefinito dell’arte!

Certamente il bianco, utilizzato da alcuni artisti in questa mostra, non rientra nel concetto minimalista affermato dal pittore Frank Stella “What you see is what you see”; anzi, è ben lontano dalla loro indagine. Se il bianco è irresistibile perché ispira misticismo, il blu non è certo da meno e v’è un punto d’incontro tra i due opposti colori: essi rendono magnificamente l’idea di astratto e d’indeterminato.

E’ una seduzione che viene da lontano quella per il blu, basti pensare al blu Lapislazzuli dipinto da Giotto di Bondone nella Cappella degli Scrovegni a Padova; a Michelangelo che nel Cinquecento riprende da Giotto l’idea di utilizzare lo stesso blu Lapislazzuli per il Giudizio Universale della Cappella Sistina. Gli esempi sarebbero innumerevoli e bellissimi, per esigenza di sintesi evidenziamo che questo colore viene particolarmente rivalutato a metà ’800 dagli Impressionisti catturati dal blu indaco – vedi Monet e Renoir – passando per le Avanguardie Storiche per sfociare al più recente blu firmato Klein, che tra tutte le tonalità forse è quello che dà maggiormente il senso profondo dell’immateriale, l’idea di sconfinato, di onirico, d’inafferrabile.

Un blu oltremare che si riverbera sulla storia dell’arte degli ultimi cinquant’anni influenzando alcuni dei più importanti nomi della scena contemporanea, da Vasarely a Spoerri, da Fontana a Hartung, da Paladino a Schifano, insomma, il bianco e il blu. Ma la mostra che presentiamo – come sopra detto – è anche policroma, ulteriore apertura e cifra delle intuizioni e percezioni degli ultimi mesi vissuti in nuova dimensione esperienziale.

Resta il punctumdi “insinuare” le opere d’arte contemporanea tra quelle già presenti della collezione HagerSportelli a Palazzo Sforza Cesarini. Location dalla luminosa architettura neoclassica, perfetta per accogliere l’armonia della Collettiva in un percorso espositivo scevro di estremismi in cui complementare e fecondo si narra l’accostamento delle opere tutte. E nello scambio interagente, di raffinato gusto estetico-filosofico e animistico, l’impatto sull’osservatore risulterà immediato, empatico, capace di rapire, suscitando ideali atmosfere a-temporali.

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