Musica

Olivier Fernandez: intervista all’artista poliedrico

Olivier Fernandez passa con naturalezza dalla pittura alla musica.

Olivier Fernandez è un artista che definire eclettico sarebbe eufemistico. Infatti, è un musicista (cantante e bassista) che fin dagli anni ’60 ha sperimentato varie influenze e sonorità. Con il tempo, alla passione per la musica ha unito quella per le arti figurative, come la pittura, ma anche alla scultura e alla ceramica. Fernandez ha viaggiato tanto e la varietà del mondo si esprime anche nella sua arte.

L’artista ha deciso di inserire le sue fatiche da cantautore in un nuovo primo album scritto in italiano, L’Aliante, che riprende il cantautorato, il prog, il country e varie sonorità. Olivier Fernandez lo ha definito come la prima volta in cui affronta storie in cui sento di esprimermi liberamente e ritrovo una armonia in me stesso e con gli altri che mi fa sentire bene.

Olivier Fernandez, nella sua vita ha attraversato e sperimentato diverse forme d’arte, tra le quali la pittura. Come si collegano tutte questi arti tra loro? C’è un legame secondo lei fra musica e pittura? 

Nella mia pittura, scultura, ceramica e musica c’è la stessa ricerca, tensione e desiderio di rischiare. Per esempio inizio un vaso o compongo una musica senza una particolare idea e cerco man mano di proseguire, finché non scopro qualcosa che prima non avrei mai potuto concepire. Cercare quella strada che porta a trovare qualcosa di inaspettato, in altre parole, rischiando e improvvisando si può arrivare a un tesoro.

E comunque fa parte della mia natura eclettica viaggiare attraverso le diverse discipline. Ogni arte arricchisce l’altra e mi permette di esprimere stati d’animo e esperienze emotive differenti, ma legate da quel filo conduttore che sono io. La musica come la pittura può rivelare delle immagini attraverso il suono e i testi nelle canzoni.

Come nasce “L’Aliante”? 

Ho cominciato a scrivere per la prima volta in italiano e ad accostare i miei testi, ancora abbozzati, a giri di accordi al pianoforte che mi sembravano poterli accogliere al meglio. Ho fatto ascoltare le prime canzoni all’amico e musicista Pericle Sponzilli che con il pianista e compositore Fabio Liberatori hanno accettato con piacere di portare avanti gli arrangiamenti.

Le canzoni nel tempo progressivamente sono aumentate, come se avessi avuto dentro tutte queste parole e suoni che non avevo mai espresso. Si sono poi uniti il bassista Fabio Fraschini e il batterista Endy Bartolucci e Walter Martino batterista nel brano ‘Era solo un contralto’, Erika Savastani alla voce e Danilo Pao al missaggio, tutti entusiasti di lavorare a questo progetto. Assieme abbiamo volato su questo Aliante che ha fatto venire le vertigini a diversi di loro.

Fin dall’inizio l’album con la prima traccia “Il sogno” mostra una dimensione onirica e una forte introspezione. Quanto c’è in questo io poetico del suo vero io, della sua vita? 

Il ‘Sogno’ è naturalmente il racconto di un sogno vero, che stranamente mi è rimasto impresso, quando spesso li dimentico subito.

Una canzone che mi mette al contatto con l’esperienza di tristezza e malinconia, per qualcosa che scompare e va via da me, più precisamente il sogno di una persona cara, Emily, che non ho più visto e della mia giovane esperienza americana.

Nell’album sono diversi i generi riscontrabili, tra i quali il prog e il country. È eclettico, quindi, anche nella scelta dei generi. Secondo molti si tratta di un tipo di musica trascurato in Italia, lei cosa ne pensa? Ci sono artisti italiani che sono stati un suo riferimento? 

Il Prog ha oggi un assiduo gruppo di aficionados in diverse aree geografiche del mondo come in Asia e Sud America oltre all’Italia, tra l’altro Sponzilli e Liberatori con l’Accademia Reale di Musica sono da tempo esponenti di questo genere.

Il country è la musica delle mie origini, sono cresciuto in America musicalmente con diverse influenze come, e ne cito pochi, The Byrds, Crosby, Stills and Nash, Joni Mitchell, Jackson Brown, Van Morrison ecc. tutti musicisti della mia generazione, ma anche apprezzati da generazioni successive. Vorrei sottolineare una leggera tendenza a tornare ai classici del rock del prog da parte dei giovani.

Non posso dire di aver seguito molto la musica italiana anche perché spesso ero all’estero, alcuni però mi hanno colpito molto come Lucio Battisti e Franco Battiato, ma ripeto sono ascolti saltuari degli anni ’70. Ho però studiato con jazzisti italiani allìUniversità di Jazz di Siena come Mauro Grossi, Matteo Addabbo e Danilo Tarso, apprezzando Rita Marcotulli, Maria Pia De Vito e Danilo Rea e Bollani.

Nell’album sembra essere molto presente la tematica del viaggio, i luoghi, le persone. La musica ha naturalmente un potere narrativo molto grande, ma c’è stata qualche opera letteraria che l’ha ispirata per la sua arte?

Ho voluto dare un’ambientazione letteraria settecentesca alla canzone ’Nel mio giardino’, tratta dal libro ‘Point de lendemain’ di Vivant Denon, che tratta, fra l’altro, della ricerca del piacere e del sentire intensamente. Tutti temi settecenteschi che trasformo nell’amore per le ’storie brevi’ della mia vita in cui il ‘Mio giardino’ diventa un luogo ideale, quasi un paradiso d’amore.

Non mi ispiro direttamente, ma amo di sicuro la poesia romantica inglese che spesso leggo e mi commuove. Fra le mie letture ho molto amato la letteratura di viaggio, uno su tutti è Patrick Leigh Fermor, sempre molto colto e allegro anche in momenti difficili inevitabili quando si viaggia. Ultimamente sto leggendo diario russo di Steinbeck con le foto di Capa.

Sappiamo tutti che è un periodo assai difficile per la musica, ma quando – speriamo presto – si tornerà alla normalità, pensa di promuovere il disco con un tour? Quali sono i suoi progetti per il futuro? 

Mi auguro di sì, mi piacerebbe. In quanto a progetti per il futuro, aspetto di sapere meglio quando si tornerà a poter suonare col pubblico, ho l’impressione e la speranza che ci arriveremo presto. Noi siamo pronti.

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