Tax

Trusting trust

Ma cos’è veramente il trust?

Sempre più spesso, anche in Italia, personaggi dai nomi altisonanti gestiscono il passaggio della governance dell’impresa di famiglia tramite il trust. Ciononostante, lo strumento giuridico in parola continua a suscitare una certa diffidenza, quasi che il suo utilizzo celi qualcosa di losco o addirittura illegale. Le ragioni risiedono certamente nella scarsa conoscenza dello stesso alimentata dai profili di estraneità di tale istituto rispetto al sistema giuridico interno. 

Senza scendere troppo nel tecnico, possiamo iniziare col dire che si tratta di un istituto giuridico per mezzo del quale un soggetto (cd. disponente) affida un bene o un complesso di beni (cd. trust fund) ad altro soggetto (cd. trustee o trust company) affinché si occupi della relativa gestione nell’interesse di altri (detti beneficiari) o per uno scopo specifico. La particolarità principale consiste nel fatto che il bene conferito, del quale il disponente perde la proprietà, risulta solo formalmente intestato al trustee.

Quest’ultimo, infatti, pur dovendo curare gli aspetti amministrativi della faccenda – apertura di un apposito codice fiscale e predisposizione dei documenti civilistici e fiscali – non potrà considerarsi l’effettivo proprietario del trust fund, tanto che rimarrà preclusa ai suoi creditori personali di aggredire il patrimonio del trust. A queste tre figure si aggiunge, poi, quella del guardiano, soggetto preposto al controllo della rispondenza dell’operato del trustee alle volontà espresse dal disponente nell’atto istitutivo. 

Tanto premesso, rimane da capire la finalità pratica di siffatto istituto.

Il successo registrato in tempi recenti dal trust, anche nel nostro Paese, trova una prima e immediata giustificazione nella sua propensione a soddisfare esigenze non adeguatamente tutelate dalle categorie giuridiche disciplinate nel nostro ordinamento, che risultano ormai troppo datate.  

Per questo motivo, uno dei principali ambiti di applicazione del trust è quello della pianificazione successoria. Si pensi al caso di un imprenditore con quattro figli residenti all’estero e operanti in settori differenti da quello del padre, che perde la vita in circostanze impreviste. In siffatto scenario, l’apertura della successione potrebbe generare non pochi problemi dal punto di vista della continuità aziendale.

E’ presumibile, infatti, che a causa di dissidi interni gli eredi non trovino un accordo necessario alla prosecuzione dell’impresa, finendo per dismettere separatamente le quote di partecipazione così ereditate e ad un prezzo certamente inferiore a quello ritraibile in caso di cessione unitaria. Di talché ne deriverebbe uno sicuro smembramento dell’impresa, frutto del duro lavoro del de cuius, e del suo valore. 

Ora, c’è da chiedersi se l’imprenditore avrebbe potuto fare qualcosa per evitare ciò!

In effetti, un’adeguata pianificazione realizzata in via preventiva avrebbe potuto scongiurare un tale nefasto epilogo.
In quest’ottica il trust, laddove idoneamente strutturato, avrebbe rappresentato un’ottima soluzione per regolamentare il passaggio del timone nella governance all’erede più idoneo, al contempo salvaguardando l’interesse dei quattro figli. 

Da un lato, infatti, l’imprenditore padre avrebbe di fatto conservato la gestione dell’impresa fino all’ultima ora della sua vita. Dall’altro, sarebbe stata garantita la continuazione dell’attività di impresa anche negli anni a venire, con il relativo affidamento al figlio reputato maggiormente adatto a sostituirlo o ad un manager professionale.

Il tutto, sempre e comunque nell’interesse congiunto dei legittimari e senza che rilevino limiti concernenti le dimensioni dell’impresa stessa. Non a caso il trust ben si presta alla realizzazione della successione generazionale di PMI tanto quanto di grandi Gruppo societari, tramite il conferimento diretto al suo interno delle partecipazioni della holding di controllo affinché sia il trustee a curarne la gestione. 

Ancora, il trust può essere efficacemente utilizzato allo scopo di assicurare l’intangibilità di somme che, essendo destinate ad una specifica finalità (caparra confirmatoria, deposito a garanzia, anticipi per spese), vengono normalmente affidate ad un professionista ad hoc

In simili ipotesi, infatti, nessuno degli strumenti tradizionali del nostro sistema giuridico potrebbe conseguire un risultato analogo a quello del trust: evitare la confusione del deposito in parola con i fondi personali del professionista e, per l’effetto, porlo al riparo da eventuali pretese dei creditori personali di quest’ultimo.

Lo strumento, del resto, non è riservato alla sola gestione di grandi patrimoni. Il trust può, infatti, essere utilizzato da chiunque per destinare determinati beni ad alcuni familiari piuttosto che ad altri, pur senza violare le regole generali in materia di legittima. Così come potrebbe avere una certa utilità a coloro che, in considerazione dell’attività professionale (i.e. medica) o imprenditoriale svolta, risultino quotidianamente esposti a potenziali azioni di responsabilità da parte dei clienti. 

In conclusione, dunque, l’estrema versatilità fa del trust uno strumento che, in mano a professionisti esperti, si presta ad un taglio sartoriale, cucito su misura del cliente e, perciò, in grado di rispondere più efficacemente rispetto agli istituti giuridici tradizionali, alle sue concrete esigenze.

Avvocato Giancarlo Marzo, Managing Partner Studio legale e tributario Marzo Associati.

Avvocato Irene Barbieri, Partner Studio legale e tributario Marzo Associati.

Leggi anche: Apre Marzo Associati

governanceguardianoimprenditoremarzo associatitrust companytrust fundtrustee
Commenti ( 2 )
Commenta