Storia

I migranti e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente

La storia dell’Impero Romano d’Occidente ci insegna come gestire il fenomeno migratorio.

Corsi e ricorsi storici si inseguono continuamente, in quella ciclicità richiamata più volte da filosofi e letterati di ogni epoca. Machiavelli teorizzava un tipo particolare di ciclicità: quello che va dalla rovina alla grandezza, all’ozio, alla debolezza, per poi tornare di nuovo alla rovina; quello che va dall’ordine al disordine per poi tornare all’ordine, dal bene al male e dal male al bene: “non essendo dalla natura conceduto alle mondane cose di fermarsi”.

Da questo presupposto si può promuovere un parallelismo tra eventi distanziati di quasi due millenni: la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e quello, futuribile, della crisi economica e sociale che potrebbe investire l’Europa nei prossimi anni.

Il denominatore comune è rappresentato dalla cattiva gestione del fenomeno migratorio, un flusso enorme di popolazioni che si spostano da un territorio ad un altro, causato dalle più svariate ragioni, in grado di mettere in ginocchio il più potente e longevo impero della storia. Ma andiamo per ordine, ripercorrendo quanto accadde all’epoca.

Il 9 agosto del 378 d.C., ad Adrianopoli, in Tracia – la moderna provincia turca di Edirne – si consumava una delle peggiori sconfitte militari mai subite dai romani: il massacro di 30 mila soldati dell’Impero, guidati da Flavio Giulio Valente, perpetrato dai Goti, al seguito del re guerriero Fritigerno.

Secondo molti storici, quella disfatta segnò l’inizio della catena di eventi che avrebbe portato alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476.

Ripercorrere oggi gli eventi che portarono alla battaglia di Adrianopoli è interessante: secondo una lettura dei fatti di allora, pubblicata su Quartz, all’origine della strage ci sarebbe stata la cattiva gestione, da parte dei romani, di un’imponente ondata migratoria di Goti avvenuta due anni prima. Gli stessi Goti che si sarebbero trasformati nei carnefici delle legioni dell’Urbe.

Migranti in fuga dalla guerra.

Nel 376 d.C., come racconta lo storico Ammiano Marcellino, i Goti furono costretti ad abbandonare i propri territori d’origine (corrispondenti all’attuale Europa orientale) spinti dai terribili Unni, “la razza più feroce di ogni parallelo”, che premeva da nord sui loro confini. Il loro arrivo, “come un turbine, dalle montagne, come se fossero saliti dai più segreti recessi della Terra per distruggere tutto quello che capitava a tiro”, provocò un bagno di sangue tra i Goti che decisero – proprio come accade oggi per i siriani, non molto lontano da lì – di fuggire.

La richiesta di asilo politico.

I Goti, guidati da Fritigerno, chiesero allora ai Romani di potersi stabilire in Tracia, al di là del Danubio: una terra fertile, con un fiume che li avrebbe protetti da un’ipotetica ulteriore invasione unna. Quell’area era governata dall’imperatore Valente, al quale i Goti promisero sottomissione a patto che avessero potuto vivere in pace, coltivando e servendo i romani come truppe ausiliarie. In segno di gratitudine, Fritigerno si convertì persino al Cristianesimo, un segnale non banale per l’epoca.

L’illusione del viaggio della speranza.

Inizialmente le cose sembrarono funzionare: i Romani, nei confronti delle popolazioni sottomesse, esercitavano abitualmente una strategia inclusiva e non di mera sottomissione. Preferivano farne cittadini romani ed assimilarne la cultura, con il duplice scopo di evitare future ribellioni ed accrescere il loro bagaglio esperienziale.

Decine di migliaia di Goti (probabilmente oltre 200 mila) navigarono il Danubio di giorno e di notte, imbarcandosi su navi e scialuppe di fortuna; molti di essi, per il gran numero, annegarono, e furono trascinati via dalle correnti.

L’oppressione e la corruzione senza tempo.

In base agli accordi, i Goti arrivati in Tracia sarebbero stati coscritti nell’esercito romano ed avrebbero ottenuto la cittadinanza. Ma gli ufficiali militari che dovevano garantire loro supporto e provviste – un’antica rete di supporto ai migranti – si rivelarono corrotti ed approfittarono dei mezzi stanziati per i nuovi arrivati, vendendo le provvigioni al mercato nero. Ridotti alla fame, i Goti furono costretti a vendere i figli come schiavi e a comprare financo carne di cane dai romani.

La fine dell’Impero e la memoria (corta).

Le ostilità tra le due popolazioni, inevitabilmente, crebbero. Il risentimento covato dai Goti li portò dal desiderare di divenire romani alla inarrestabile voglia di annientarli. Fu con questa rabbia covata a lungo che, senza alcuna pietà, sterminarono gli eserciti di Valente. E la battaglia fu l’inizio della valanga che travolse l’Impero Romano d’Occidente: tanto che molti storici assumono il 9 agosto 378 come data spartiacque tra l’antichità e il Medioevo.

Esposti i fatti, non suona più così strano il parallelismo richiamato nell’incipit dell’articolo. Non più un fiume da attraversare, ma il Mediterraneo. Il cuore colmo di speranze verso una vita nuova, migliore.

Probabilmente le stesse speculazioni politiche ed il medesimo malcelato sfruttamento di quei popoli in fuga. Nella gestione dei flussi migratori, oggi, ci si prospettano due strade: quella dell’inclusione e quella del rifiuto e del respingimento. Se è vero che la storia è magistra vitae, abbiamo già visto una volta in più dove possa portarci percorrere la seconda via.

Leggi anche: Richiedenti asilo e accoglienza migranti: la lezione impartita da Israele

accoglienzacorruzionecostume e storiaimpero romanomigrantimigrazionestoria di guerra
Commenti ( 1 )
Commenta