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Olimpiadi invernali 2026: tandem Milano-Cortina

Olimpiadi invernali 2026.

Al tandem Milano-Cortina fra le polemiche (se riuscirà ad aggiudicarsele in sede CIO). L’Economista torinese che è in me non è che si senta poi così tanto indotto a straccarsi le vesti per l’esclusione della Capitale Sabauda decisa dal Coni.

Le abbiamo appena avute a Torino, e pure non da molto, le Olimpiadi Invernali, e cosa ci sia di così irripetibile da aggiungere con una ripetizione non è invero peregrino domandarselo.

Qualcuno farnetica che perdere le Olimpiadi invernali 2026, per quel misero boccone che il Tridente con Milano e Cortina avrebbe “graziosamente concesso” a Torino (Slalom maschile a Sestriere, su una pista tecnicamente un po’ anacronistica – e ci potrebbe anche stare, se avesse il fascino, che non ha, di quelle di Wengen o Kitzbuehel – e ormai da tempo in disuso ad alti livelli maschili, oltre ad un paio di eventi minori sul ghiaccio nel Capoluogo) equivale a rinunciare al 3% del Pil dell’Area.

Semplicemente ridicolo. Specie parlando di un settore sportivo in netta contrazione da decenni (in 20 anni, ricorda Legambiente, i praticanti in Italia sono scesi dal 5% al 2%) per gli ovvi motivi (a cui sommare la mancanza da un quarto di Secolo in Italia di un/a atleta fuoriclasse che traini il movimento):

  • del cambiamento climatico;
  • del conseguente aumento dei costi e dell’aggressione al territorio montano per l’innevamento artificiale;
  • delle spese per la pratica divenute troppo elevate per le famiglie.

Qualora fosse stata approvata – in presenza di sostenibilità finanziaria, ambientale, d’interdizione efficiente all’infiltrazione malavitosa – la candidatura di Torino secondo il peraltro assai convincente – e ben migliore sotto vari punti di vista di quelli di Milano e Cortina – Dossier presentato, il Capoluogo subalpino avrebbe anche potuto essere nuovamente sede Olimpica segnatamente anche sfruttando le infrastrutture riutilizzabili delle Olimpiadi 2006.

Ma starne fuori (come molti altri centri che hanno tranquillamente rinunciato, come Sion e Sapporo) non è certo una tragedia.

Provo a questo punto per esercizio di obiettività a cercare di vedere la cosa da ex atleta di punteggio nazionale di Slalom Gigante, che ha corso a livello non miserrimo per vent’anni in tutte le località del Mondo (evitando di tentare un improponibile confronto con le eccellenze estere dello sci, come Aspen o Sankt Moritz), e, a livello di piste da gara “top level” dell’arco alpino italiano, non posso “tecnicamente” esimermi dall’osservare quanto segue.

Se io citassi: “Canalone Miramonti”, “Tofane”, “Stelvio”, “Sasslong”, “Gran Risa”, gli appassionati anche solo un po’ evoluiti degli sport Invernali immediatamente collegherebbero questi nomi alle tecnicamente e panoramicamente magnifiche piste da gara da sempre utilizzate e adeguate per svolgere le gare di Coppa del Mondo in Italia.

Rispettivamente si trovano a:

  • Madonna di Campiglio (Slalom maschile);
  • Cortina (Discesa femminile);
  • Bormio (Discesa maschile);
  • Val Gardena (Discesa maschile);
  • Val Badia (Gigante maschile).

Tutte nel “Lombardo-Veneto-Trento-Atesino”. Se invece domandassi di citarmi una sola pista di gara famosa in Piemonte, al massimo i più anziani ricorderebbero la Kandahar di Sestriere (quella dello Slalom maschile cui sopra) e basta.

Se, addirittura, da “bastardo dentro” domandassi chi ha vinto sulla poco adeguata pista della Banchetta di Sestriere la Discesa maschile delle Olimpiadi invernali Torino 2006? Credo che nessuno si ricorderebbe del quasi sconosciuto (sia prima che dopo) francese Deneriaz.

Epilogo: I campioni di sempre.

I Campioni con la “C” maiuscola vogliono, giustamente (e con loro le rispettive Federazioni), competere su piste in cui chi è il “top” possa far valere la differenza sui Carneadi.

Sicché non è che le Star, in questo caso della Discesa maschile, se ne avranno a male (tutt’altro) se la medaglia d’Oro della specialità se la giocheranno alle Olimpiadi Invernali 2026 sulle formidabili piste Stelvio o Sasslong di Bormio e di Valgardena.

Non è inutile ricordare che passaggi come “le gobbe del cammello” richiamano (non meno della “mausefalle” della mirica pista Streif di Kitzbühel) moltitudini incredibili di sciatori solo settimane e settimane per cimentarsi turisticamente dove poco prima lo hanno fatto o poco dopo lo faranno i campioni.


Non parliamo dello Sci nordico: obiettivamente inverosimile confrontare Pragelato e Cesana con le Valli di Fiemme e Fassa.

Al di là dell’innegabile bellezza superiore delle Dolomiti, un ulteriore limite rispetto alle diatribe politiche che ha giocato nelle scelte credo sia anche stato il non rendersi conto dell’inadeguatezza tecnica delle piste da gara del Piemonte.

Si sarebbero potuti investire, propositivamente in sede formale di candidatura, e poi proattivamente davvero non molti soldi (una frazione infinitesima del bilancio globale) per colmare il gap facendo ritracciare da dei professionisti (ne cito uno: l’ex grande Campione svizzero Didier Defago) i percorsi da gara, che sono il “core” dell’evento, anche con lo scopo di richiamare la Coppa del Mondo (driver fondamentale di richiamo turistico e di sponsor) in Piemonte negli anni futuri.

Ma il fatto è che, in Piemonte (ne ho “intervistati” amichevolmente alcuni fra i più qualificati), neppure gli operatori – che pure avrebbero dovuto in prima persona porsi il problema – hanno derogato dal principio che “ogni scarafone è bello a mamma sua”, semplicemente neppure pensando di affrontare questa questione delle Olimpiadi invernali 2026 in via preliminare.

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