Omar Galliani: dal DNA del disegno l’esegesi del contemporaneo

Intervista all’artista Omar Galliani. Benvenuto Omar Galliani, grazie per avere accettato la mia intervista. E’ un autentico piacere per me. Grazie a lei. Lei è un’artista dall’idioma raffinatissimo. La sua indagine espressiva, di colta matrice, recupera la tradizione tecnica del disegno, in particolare del quattrocento, ma con sapienti innesti contemporanei. Quando è nata la passione […]

Maggio 2019
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Intervista all'artista Omar Galliani.

Intervista all’artista Omar Galliani.

Benvenuto Omar Galliani, grazie per avere accettato la mia intervista. E’ un autentico piacere per me.

Grazie a lei.

Lei è un’artista dall’idioma raffinatissimo. La sua indagine espressiva, di colta matrice, recupera la tradizione tecnica del disegno, in particolare del quattrocento, ma con sapienti innesti contemporanei. Quando è nata la passione per l’arte figurativa e per il ritratto?

Non sono un “ritrattista”, se ho scelto il volto come spesso accade nelle mie opere è perché in un volto si possono dimenticare i lineamenti che distinguono le identità per calarsi in realtà più complesse che spaziano dalla psicologia alla fisiognomica transitando nel simbolico.

La sua conoscenza storica dell’arte pervade tutta la sua pittura ed è talmente concentrata sull’equilibrio estetico e filosofico che viene ritenuto fra i più autorevoli esponenti de l’Anacronismo e Magico Primario. Cosa si sente di dire a chi pensa che per fare arte contemporanea non è necessario avere la cultura storica dell’arte?

Mi ritengo un “portatore” dell’arte, o meglio, un “naufrago” della storia dell’arte. Ho traghettato la conoscenza delle tecniche del passato mantenendole strette nel presente con tutto quello che ne consegue. Non credo in una storia dell’arte orizzontale dove la bibliografia critica ti include in una riga del tempo. Credo piuttosto in una storia dell’arte verticale dove, come in Blade Runner, tutto coesiste: passato, presente, futuro.

Anche i temi che sceglie per le sue opere e per i suoi libri denotano questa coesistenza tra classicità e contemporaneo per questo sono spunto di profonde riflessioni: Teofanie, La verità nel buio, Estasi mistica di S. Teresa d’Avila, Feminine Countenances, Angeli, Breve Storia del Tempo, La figlia era nuda, Altri segni per nuovi sogni, Berenice, Nuovi fiori nuovi santi, D’après Canova, Il Disegno nell’Acqua, Nel Segno del Correggio. E molti altri in una carriera ricca in Italia e all’Estero. Quanto è importante la commistione fra letteratura-poesia e pittura?

La mia lettura così come il mio ascolto musicale si nutre di più campionature della conoscenza che spaziano dalla storia dell’arte, alla filosofia, alla poesia, alla botanica, alla mistica.

Sovente il suo sguardo è rivolto alla donna con eleganza, sensibilità, cautela. Che si tratti di donne seduttive, o di creature angeliche, emerge l’immateriale, l’etereo. Sono iconografie di donne ispirate a un’ideale rinascimentale e sublimate o donne reali viste con occhi gentili di chi sa cogliere altro?

Sono donne che appartengono tanto alla cronaca come alla storia dell’arte. La mia memoria iconografica si mischia all’erranza e rapidità delle immagini di oggi in cui la pioggia costante, dovuta a internet, ci stanca gli occhi lasciandoci orfani di quello che abbiamo visto un attimo prima. E’ a questi volti che non conoscerò mai che dedico il mio tempo, un tempo lungo, quello del disegno.

Omar Galliani, Lei crea spesso la dualità, il doppio delle cose, i contrari, l’immateriale che si contrappone al materiale. Penso alle opere, ai temi, alle tecniche: Siamesi, Occidente e Oriente, Presente e Passato, Acqua e Legno. Cosa vuole comunicare nella forza dei contrari?

Ciò che genera il “doppio” è la consapevolezza dello smarrimento, della perdita del “SE” che genera la domanda identitaria come avviene nel ciclo dei “Disegni Siamesi” o nella polarità che circoscrive il ciclo dei “Mantra”, in cui soggetti d’occidente si contrappongono a vaste superfici dorate in cui campeggiano antichi Mantra tibetani. Così come l’uso costante del bianco e nero, grafite e legno, geologia e botanica ci introducono a più complesse letture alchemiche.

Il suo virtuosismo nel disegno viene spesso avvicinato a quello di Leonardo. Tant’è che nel 2005, all’Archivio di Stato di Torino, presenta l’installazione Grande disegno italiano, evento in cui un suo disegno – grafite su pioppo – viene messo a confronto con uno studio preparatorio per la Vergine delle rocce di Leonardo esposto dalla Biblioteca Reale. Cosa ha provato in quel frangente?

La scelta di “espormi” a questo grande rischio nacque dal desiderio di riaffermare un primato, quello del disegno italiano che ebbe con il Rinascimento in tutta Europa la sua più vasta diffusione conquistando i gusti e gli orientamenti culturali del tempo. La globalizzazione dell’economia e delle culture nelle arti visive dettate dal web hanno omologato i linguaggi dell’arte dove è ormai difficile distinguere le originalità nel mondo dell’arte. La scelta del “disegno” come unicum espressivo nel mio lavoro nasce dall’urgenza di riaffermare l’origine e la resistenza di un “DNA” del segno che dal Rinascimento arriva fino ad oggi.

Un suo autoritratto fa parte delle Gallerie degli Uffizi su richiesta di Eike D. Schmidt, direttore delle Gallerie. Credo sia uno dei pochi tra i contemporanei a far parte della prestigiosa collezione o sbaglio?

Nella collezione degli autoritratti della Galleria Nazionale degli Uffizi (la più importante al mondo per storicità e numero) sono elencati altri contemporanei uno di questi è l’autoritratto di Giulio Paolini donato alle collezioni nel 2013. Circa 3 anni fa il direttore Eike Schmidt mi invitò agli Uffizi per parlargli di un’altra mia opera nelle collezioni della prestigiosa sede fiorentina, “NOTTURNO” un grande trittico a matita esposto ed entrato a far parte delle collezioni del Gabinetto Stampe e Disegni grazie all’invito rivoltomi nel 2007 dall’allora direttrice del Gabinetto la dott.ssa Marzia Faietti. In quell’occasione mi fu chiesto di realizzare il mio autoritratto.

Omar Galliani, La sua indagine si dilata nel tempo e nello spazio e ad un certo punto s’insinua nella filosofia orientale di cui la sua pittura narra simboli e pulsioni. Quando è avvenuto l’incontro con la cultura orientale e cosa la intriga?

Ho iniziato a realizzare opere su grandi carte di seta, cinesi o giapponesi, all’inizio degli anni 80 quando fui invitato ad esporre in “Aperto 80” nella Biennale di Venezia curata da Tommaso Trini. Esposi un grande ghepardo (l’opera misura 2 metri per 6). Il contatto con l’oriente nasce poi negli anni novanta, con numerosi viaggi in India, e in seguito la Cina con un invito nel 2000 a realizzare una grande personale nel Museo Nazionale delle Accademie della Cina a Pechino. Da quell’anno comprese 2 ” Biennali di Pechino” di cui una vinta nel 2003 ex-aequo con George Baselitz ho continuato ad esporre nei Musei d’Arte Contemporanea per un totale di 20 presenze su quel territorio. L’influenza dei segni o contaminazioni le ho avvertite strada facendo senza accorgermene inizialmente, è stata un’assunzione “omeopatica d’Oriente”.

A proposito delle sue innumerevoli mostre nei più importanti musei d’arte contemporanea in Cina e Giappone vorrei menzionare i luoghi del mondo dove lei ha esposto: Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti, India, Francia, Portogallo, Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Russia. Ma, c’è un luogo in particolare, tra questi, dove si è sentito maggiormente accolto?

Abbiamo appena parlato della Cina, a parte la fatica fisica di un lungo tour durato circa 2 anni e delle opere realizzate per quei musei con difficoltà di traduzione ecc. devo dire che l’accoglienza e rispetto per il mio lavoro e la mia persona sono state sempre all’altezza di un paese che onora l’Italia e la nostra storia dell’arte di cui sono grandi ammiratori.

Di Lei hanno scritto e curato mostre celebri critici d’arte. Solo per citarne alcuni: G. M. Accame, F. Caroli, E. Crispolti, L. Francalanci, M. Calvesi, A. Schwarz, P. Weiermair, A.Herstand, V. Loers, A. Bonito Oliva, A. Del Guercio, V. Sgarbi, C. Strinati, M. Dematté, D. Eccher e tantissimi altri. Dall’alto della sua esperienza affiderebbe una sua mostra a un curatore emergente?

Perché no!?… certo che lo farei. Soprattutto con chi non ha ancora compiuto trent’anni.

Tra i suoi molti interessi e impegni di lavoro lei è anche docente di pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Cosa le dà l’insegnamento e cosa lei vuole trasmettere ai suoi studenti ?

E’ una frequentazione viva, non meramente didattica. Un interscambio fra chi dona e riceve, un flusso di energia che si trasmette fra me e i miei studenti.

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