MUJERES | Marta Fàbregas
SARACENOARTGALLERY
fino al 27 Maggio
SARACENOARTGALLERY
Via di Monserrato 40 – Roma
Testo a cura di Mariaimma Gozzi
Una ricerca tesa a valorizzare la donna quasi Anima Mundi catturata dagli scatti fotografici d’archivio di un secolo fa, ma rielaborati, e attualizzati con la tecnica della ‘transfotografia’. L’impegno filosofico-artistico di M. Fàbregas rivendica quel senso esistenziale d’essere donna e non trascura la denunzia di quanto costi l’esserlo.
Impattante e immediata su di noi e sulla società, ella sottende, con la sua peculiare eleganza, un evidente citazionismo al realismo delle arti figurative del XIX secolo -vedi G.Courbet, H. Daumier, J.F. Millet e M.R. Bonheur- così come riferisce il realismo magico di Kertész, le cui fotografie sono devote alla semplicità dei soggetti e all’essenzialità delle inquadrature, frutto di un’attenta e raffinata regìa formale e spaziale; e alla fotografia di stampo più concettuale di Jeff Wall il quale produce opere che sfidano la distinzione tra fotografia, cinema e pubblicità. E a proposito di cinema l’eco evidente di Fàbregas lo ritrovi narrato nelle pellicole del Neorealismo italiano -vedi V.De Sica, R.Rossellini, L.Visconti, P. Germi- in cui i suggestivi primi piani dei volti aprono squarci interiori assorti nell’appagante innocenza o nella più devastante ignoranza.
Mi riferisco a quelle opere transfotografiche in cui l’artista pone in essere lo sfruttamento del vivere la quotidianità femminile nel lavoro contadino, nel dovere di moglie, nell’essere madre oppure meretrice o geisha. E seduce come l’iconne esca ingentilita, anche quando ri-elabora le foto di certa sfrontatezza maschile intenta a far emergere la voluttà -per la mercificazione delle meretrici- con persuasivi scatti di pose provocanti. Anche in questa declinazione la Fàbregas restituisce dignità all’‘Essere’ e cura quel ”oggetto” del desiderio con una velatura aurea cosparsa su quelle pose, trasmesse sulla carta, come un unguento salvifico sulla pelle e sulle coscienze. E in un balzo a-temporale ti ricorda quelle prime ammalianti pose osé di manifesti stile Belle Epoque, di vita spensierata e gaia, di Alfons Mucha, in cui le giovani donne indossano gioielli in voga per valorizzare il “prodotto”; e infatti la Fàbregas fa il punctum di quelle pose che escludono la testa ma in compenso indossano attraenti collane che pendono tra i seni. L’artista desidera riscattare quelle donne con velo d’oro consapevole di affondare nell’antichità e nella tradizione -dall’Egitto alla Grecia, da Oriente a Occidente, dalla ninfa alla dea, dalla prostituta alla creatura divina- e si fa portavoce di un genere in grado di incarnare la bellezza anche nelle tristi piaghe e piaghe della vita.
E come non menzionare la forza della “Mujeres” africana, la cui volontà di portare suo figlio sulla schiena è così radicato, come la sopportazione di un destino che non si è scelto, sottolineato dagli sguardi severi di entrambi i protagonisti. Sono tutti frammenti di vita che l’artista M. Fàbregas tiene a stigmatizzare nella fotografia di un tempo come nella transfotografia di oggi, ma non ne cristallizza il gesto, la movenza, gli oggetti che indossano; infatti essi vengono frammentati nella ripetitività, come un’eco pittorico futurista, ma che competono nella ripetitività al significante dono di saper dare esse all’oggetto il valore e non il contrario -vedi il ventaglio della geisha, o la cesta sulla testa della contadina africana, i gioielli delle prostitute- perché bisogna saperli indossare certi oggetti.
L’artista con il suo modus operandi possiede un piglio accattivante, e sensibilmente riflette su contenuti e circostanze, la sua non è solo una testimonianza storico-identitaria di genere ripescata nelle foto d’archivio. Infine mi soffermo sulla necessità di titolare la mostra -presso la Saraceno Art Gallery di Roma- MUJERES, Donne; semplicemente per affrancarla da quelle sotto-culture in debito verso di essa -così come l’artista ci tiene a mostrare- e nonostante si tratti di foto di un secolo fa, sono scatti attualissimi ed evidenziano come non sia cambiato nulla in alcune civiltà e per alcuni popoli che continuano a considerare la donna subordinata all’uomo e merce di scarto quando non è moglie, madre e figlia.
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