Intervista ad Angela Ciaburri: Carmela in Gomorra 3

Gomorra 3 con Angela Ciaburri nei panni di Carmela. Milioni di spettatori in attesa, numeri e dati Auditel da brividi, che surclassano persino produzioni come quella de “Il trono di spade”. Questo e tanto altro è il fenomeno “Gomorra”, inaugurato nel 2015 sotto la supervisione di Roberto Saviano, autore dell’omonimo romanzo, e per la regia […]

Ottobre 2017
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Intervista ad Angela Ciaburri Carmela in Gomorra 3

Gomorra 3 con Angela Ciaburri nei panni di Carmela.

Milioni di spettatori in attesa, numeri e dati Auditel da brividi, che surclassano persino produzioni come quella de “Il trono di spade”. Questo e tanto altro è il fenomeno “Gomorra”, inaugurato nel 2015 sotto la supervisione di Roberto Saviano, autore dell’omonimo romanzo, e per la regia del trio composto da Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini.

Approdato alla terza stagione, in onda su Sky Atlantic dal 17 novembre prossimo, questo fenomeno di culto della televisione internazionale vedrà l’ingresso, nel suo cast, di numerosi nuovi volti. Tra questi troviamo Angela Ciaburri, attrice classe 1988, nativa di Salerno.

L’interprete è molto attiva in campo teatrale, ma ha alle spalle un’esperienza televisiva importante con Marco Tullio Giordana, ed una sul grande schermo con Silvio Soldini, nel film “Il colore nascosto delle cose.

La giovane attrice è pronta a stupirci nei panni della new entry Carmela, personaggio inedito che andrà ad affiancare i già noti beniamini dei fan della serie: Ciro Di Marzio, interpretato da Marco D’Amore, e Genny Savastano, interpretato da Salvatore Esposito. Noi de “Il Progresso” abbiamo avuto l’occasione di intervistarla.

Angela Ciaburri: donna, attrice, campana e meridionale. In quale ordine?

In verità mi sento solo un’aspirante a tutte queste categorie: sono gli altri a dovermici far rientrare, nell’ordine che ritengono. Spesso i meridionali, quando partono, rinnegano le proprie origini o smettono di percepirne il peso specifico; le donne hanno cadute di stile imperdonabili, le attrici dimenticano i veri motivi per cui hanno scelto questo mestiere e i campani si adagiano, talvolta collocandosi in un limbo a limite tra legalità e illegalità; quindi, pur rientrandoci per nascita, si allontanano da quello che potenzialmente rappresentano. Quello che voglio dire è che, senza dare precedenze all’uno o all’altro, spero di meritarmi sempre questi “epiteti”: ognuno di loro sottintende un’enorme responsabilità.

Sei nata a Salerno, dove hai vissuto fino agli anni del liceo. Cosa porti con te della tua terra, in un mestiere, quello dell’attore, che ti invita a vivere costantemente luoghi ed esperienze sempre nuove?

Io sono la mia terra. Non solo nella vita professionale, ma anche nei rapporti umani, che sono comunque alla base del mestiere dell’attore. Lì ho appreso tutto quello che dovevo sapere e capito quello che volevo e, necessariamente, dovevo cercare fuori. Nascere lì mi ha insegnato ad accettare le differenze e rifuggire i giudizi affrettati, a reagire sempre con il sorriso e a non arrendermi mai. C’è poi un aspetto che mi aiuta costantemente nella preparazione di un personaggio: a prescindere dal linguaggio, che sia Dante, Molière o Shakespeare, penso le battute in dialetto. Solo cosi ne comprendo davvero il sapore.

Il legame con la tua città ti fa sentire più vicine le problematiche partenopee rappresentate, con ovvia drammatizzazione, in “Gomorra“?

Sono cresciuta in una provincia difficile, ho fatto le scuole dell’obbligo in quartieri a rischio, e, onestamente, ero davvero a rischio. Anche se cambia la dimensione, le problematiche cambiano poco se ti sposti di trenta chilometri; quindi le sento più che mai vicine, continuo a sentirle come un problema personale, come una ferita che stenta a rimarginarsi. La mia famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nel regolare sempre il tiro delle mie frequentazioni. Oggi posso dire che, con le dovute precauzioni, tutti i ragazzi dovrebbero imparare a convivere con il bene e il male: bisogna solo metterli nella posizione di scegliere e spesso non ce l’hanno.

Nel cast di “Gomorra 3” interpreti Carmela. Puoi parlarci di questo personaggio, senza rivelarci troppi dettagli della trama, e dirci quanto del tuo carattere e del tuo vissuto c’è in lei?

Carmela mi ha sempre fatto pensare al levriero. Appariscente, con forza e dignità da vendere, scarsamente docile: se un estraneo prova a dargli un comando, risponde con un ringhio o voltandogli le spalle. Ed è proprio così questo personaggio, uno dei pochi di cui si conosce il passato, che pesa soprattutto sul presente. È una donna cresciuta troppo presto, per rivestire i panni di mamma, non solo dei suoi figli; sempre sulla difensiva, in una continua percezione di pericolo.

Credo che chi ha avuto un’infanzia difficile, ce l’abbia tatuato negli occhi. Questo è il vero lavoro che richiedeva il personaggio di Carmela: bisognava lavorare sullo sguardo, sulle cose già viste che non vuoi più vedere. Entrare in empatia con tutto ciò non è stato difficile, riprodurlo sì. Sul coraggio, la caparbietà, l’attaccamento morboso alla famiglia, la forza di volontà e la capacità di fare delle rinunce, mi sono trovata più a mio agio.

Quello di “Gomorra” è un vero e proprio universo. Confrontarsi con una produzione televisiva di queste dimensioni, per un’attrice di formazione prevalentemente teatrale, quanto può cambiare la carriera?

Credo che la formazione e la gavetta teatrale siano un passaggio necessario per affrontare questi Universi con i piedi per terra: ti lasciano un tale senso di meraviglia addosso che, finito il lavoro, è facile rimanere spaesati. Solo la sicurezza di un mestiere in mano può garantirti la sopravvivenza in un turbinio emotivo del genere. C’è chi, a buon ragione, tende a fare una distinzione tra questi due mondi, ma per me si parla di un solo mondo: la recitazione; tecniche diverse applicate ogni volta con lo stesso cuore.

In fondo cos’è la “carriera” se non fare con continuità il proprio mestiere? La verità è che quello che desidero maggiormente accada dopo Gomorra; è lavorare sempre di più, al cinema o a teatro.

Hai lavorato con due grandi registi come Marco Tullio Giordana, per “Due soldati”, e Silvio Soldini, ne “Il colore nascosto delle cose”: quanto di loro c’è in Claudio Cupellini e in Francesca Comencini, nel rapporto con gli attori in un ambiente frenetico come quello del set e, magari, nelle metodologie di lavoro?

Sono solo all’inizio del mio percorso cinematografico e televisivo. Posso vantare una grandissima fortuna: quella di aver lavorato solo con grandi nomi; ho avuto personaggi minuscoli per lo più, ma questi registi hanno segnato la mia crescita: prima di voler lavorare con loro, ero un’appassionata spettatrice dei loro film. In comune hanno sicuramente l’attenzione al dettaglio, la volontà di restituire ciò che stanno raccontando con il massimo grado di realtà.

Questo inevitabilmente li porta a trattare tutti i personaggi con la medesima cura, a pretendere il rispetto per gli attori e la loro concentrazione sul set, a rendersi disponibili alle perplessità e sensibili alle difficoltà del nostro mestiere.

In “Alaska” e “In una vita tranquilla” Cupellini ha dato ampia prova di saper padroneggiare un registro prevalentemente noir, aderente ad una dimensione introspettiva. La serie è però orfana di Stefano Sollima, un maestro nella costruzione della tensione drammatica e nella gestione dei tempi di un crime (Suburra). Tu che hai assistito alla gestazione di questa nuova creatura, pensi sia stata un’occasione coraggiosa per privilegiare un focus maggiore sull’ interiorità dei personaggi?

No, non lo credo, anche perché Cupellini faceva già parte della squadra di Gomorra, sempre coerente con il suo stile, pur all’interno del crime-drama. Siamo a un livello talmente alto, dal mio punto di vista, che non si può parlare d’altro che di contaminazione reciproca. In ognuno c’è pur sempre un po’ dell’altro.

La scelta di assegnare gli episodi a registi diversi è proprio dettata dal desiderio di dare tridimensionalità a tutto il materiale lavorato. Attori compresi. I registi studiano, parlano, si confrontano, si consigliano e poi firmano con i loro elementi riconoscibili, il loro gusto, le loro manie.

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