Like su Facebook: apologia dell’Isis

Quando un like su FB può configurare un reato di propaganda dell’Isis. Quante volte abbiamo apposto un “like” mostrando il nostro gradimento per un post su un social network? Tantissime, ma questa nostra solo apparentemente e insignificante azione, può causare degli effetti collaterali indesiderati. Quali? Un esempio è quello che si riferisce al caso affrontato dalla […]

Febbraio 2018
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Like su Facebook: apologia dell'Isis

Quando un like su FB può configurare un reato di propaganda dell’Isis.

Quante volte abbiamo apposto un “like” mostrando il nostro gradimento per un post su un social network? Tantissime, ma questa nostra solo apparentemente e insignificante azione, può causare degli effetti collaterali indesiderati. Quali?

Un esempio è quello che si riferisce al caso affrontato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 55418 depositata il 12 dicembre 2017.

La sentenza ha affermato che postare o solo apporre un like a video inneggianti ai Mujaheddin “caduti per proteggere i musulmani nella guerra contro i nemici di Allah”, configura il reato di propaganda dell’Isis, associazione con finalità di terrorismo internazionale.

Il caso riguarda il comportamento tenuto da un uomo di origine kosovara residente in provincia di Brescia.

Espulso dal nostro paese su provvedimento del ministero dell’Interno, era stato sottoposto a misura cautelare, annullata dal Tribunale del Riesame, per aver diffuso sul suo profilo Facebook due video inneggianti allo Stato islamico.

Sul caso era già intervenuta la Suprema Corte, annullando un primo pronunciamento del riesame contro la misura della custodia cautelare in carcere.

Il riesame.

Il Riesame, “pur riconoscendo che il termine jihad evoca la guerra santa”, ha ritenuto che nelle videoregistrazioni non vi siano sufficienti elementi per ricondurre univocamente i richiami alla guerra santa, in esse contenute all’Isis, sul rilievo che: lo Stato islamico era solo una delle parti belligeranti del conflitto sirio-iracheno; e non era stata dimostrata la volontà del kosovaro di riferirsi proprio all’Isis e non ad altri combattenti.

Ebbene, dopo il braccio di ferro tra Procura e Tribunale del Riesame, gli Ermellini, accogliendo il ricorso del Procuratore della Repubblica, hanno evidenziato come sia pacifico che il kosovaro “abbia inneggiato apertamente allo Stato islamico ed alle sue gesta ed ai suoi simboli”.

Il Riesame, invece, non ha tenuto conto dei contatti dell’uomo con altri soggetti già indagati per terrorismo islamico”.

Per la condanna hanno influito sia la durata di 11 giorni della condivisione dei due video inneggianti all’Isis sul profilo Facebook del kosovaro, che la circostanza che uno dei due sarebbe stato diffuso con la sola azione “mi piace”, elementi inidonei a ridurre la portata offensiva della sua condotta; “attesa la comunque immodificata funzione propalatrice svolta in tale contesto dal social network Facebook”.

La parola passa nuovamente al Tribunale del Riesame che dovrà decidere adeguandosi ai principi dettati dalla Cassazione.

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