Terremoto al Csm, Toghe nella bufera
Toghe nella Bufera. Un passo delle Satire di Giovenale recita sed quis custodiet ipsos custodes?
Questo dubbio serpeggia anche nella “Repubblica” di Platone. Socrate, il personaggio principale dell’opera, illustra il modello ideale di società.
Quattro classi sociali ben definite, contadini, artigiani, guerrieri e governanti, che costituiscono l’utopica città, il cui fine ultimo è il benessere della collettività, e non solo di una singola classe.
Ma nella perfezione del disegno platonico si insinua la solita domanda “chi proteggerà i governati dai governanti?”
Questo interrogativo si trascina da tempo immemorabile già 500 anni prima di Cristo e non ha ancora avuto risposta. E le ultime vicende dibattute dal Csm, alimentate dal caso Palamara ci fanno ripensare all’ancora irrisolto quesito.
Imparzialità, terzietà e indipendenza
Certamente tra i caratteri che deve avere il giudice vi sono l’imparzialità, la terzietà e l’indipendenza (art. 6,1 Conv. eur. dir. uomo e art. 14 Patto int. dir. civ. pol.).
Ma anche la nostra Costituzione contempla tali caratteristiche. Ed è questo che ci aspetteremmo dai nostri magistrati. Prendere atto che, invece, come qualsiasi altro essere umano non sono immuni dal fascino delle carriere facili, dalla lotta per le poltrone e per gli incarichi prestigiosi ci lascia attoniti.
Mina il nostro sentimento di fiducia nella magistratura. Analizzando vicende trascorse emerge che, tutte le volte che si presentano criticità per ciò che attiene il suo modo di funzionare, la magistratura si chiude in sé stessa.
Erge una barricata per salvaguardare la sua autonomia. Tutto ciò accade a 27 anni da quel 1992 in cui assistiamo al conflitto tra Berlusconi e i magistrati nel corso di Tangentopoli.
Tutto inizia a Milano.
Questione morale
E il 3 giugno scorso è proprio la sezione Anm del capoluogo lombardo quella che prende atto che esiste una «questione morale» all’interno della magistratura. E il plenum del Csm è fortemente influenzato da questa vicenda.
Il vicepresidente del Csm, David Ermini, nel plenum ha affermato che basta con le «degenerazioni del correntismo: o sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti».
Bisogna dire addio alle «logiche spartitorie» nell’assegnazione degli incarichi, che devono essere «messi al riparo da interessi esterni». Si tratta senza dubbio di affermazioni coraggiose il cui valore è stato unanimemente riconosciuto sia dai togati che dai laici.
La consigliera magistrata, Alessandra Dal Moro, sostiene che l’onda nera del caso Palamara e della cena con Lotti rappresenta un «tragico epilogo della degenerazione» dell’associazionismo giudiziario, a cui si deve rispondere con «percorsi di riforma e di autoriforma». Sicuramente si tratta di una seduta aperta all’autocritica e a propositi di rinnovamento.
Un atto di «responsabilità»
E’ una parola che ricorre in quasi tutti gli interventi. Ha due matrici: la prima viene dal Colle. Il discorso tenuto da Ermini è di forte impatto e ottiene il placet di Sergio Mattarella, presidente anche del Csm.
La seconda chiave decisiva è costituita dal passo indietro fatto dai magistrati sottoposti alle indagini o solo lambiti dall’uragano mediatico. Ed ecco che si dimette Luigi Spina, ormai ex consigliere di Unicost indagato, insieme a Luca Palamara e Stefano Fava, dai pm di Perugia.
Autosospensioni
E si autosospendono altri tre magistrati. Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli, tutti consiglieri di Magistratura indipendente.
L’accusa è quella di aver di aver visto a cena Cosimo Ferri e Luca Lotti. Lepre e Cantoni hanno ammesso di aver partecipato agli incontri con esponenti della politica per trattare le nomine della procura di Roma e degli altri capoluoghi.
L’altro magistrato che si dimette è Gianluigi Morlini di “Unicost” come Spina e Palamara. Morlini è l’ex presidente della quinta commissione, ossia l’organismo ristretto del Csm deputato alle nomine e teatro della discussione da cui si è scatenato il terremoto: quella relativa al futuro procuratore di Roma.
Toghe nella bufera:
Un vero e proprio terremoto
Sicuramente mai la magistratura italiana era stata scossa da un terremoto così violento.
Il vice presidente David Ermini dice che:
«gli eventi di questi giorni hanno inferto una ferita profonda e dolorosa alla magistratura e al Consiglio superiore, che senza una forte assunzione di responsabilità perderà irrimediabilmente la sua credibilità».
Il senso del discorso del vicepresidente è che è necessario che cessino le “degenerazioni correntizie” e le “appartenenze” che finiscono con il prevalere su quella che è la funzione propria del Csm. Per Ermini le nomine devono seguire “il rigoroso criterio cronologico» senza raggrupparle in modo da indurre «il sospetto di essere state compiute nell’ambito di logiche spartitorie».
Nessun accordo preventivo neanche su uffici come la Cassazione, che rappresenta il terreno dove più facilmente si mette in atto la pratica delle nomine “a pacchetto”. Vibrante e durissimo è il monito che Ermini rivolge alle correnti.
“Non farai violenza al diritto, non avrai riguardi personali e non accetterai regali, perché il regalo acceca gli occhi dei saggi e corrompe le parole dei giusti”.
Deuteronomio
Infatti, le correnti, devono essere «luogo di impegno civico e laboratorio di idee valori, di dibattito sulla giustizia», e basta con i «giochi di potere» e i «traffici venali di cui purtroppo è evidente traccia nelle cronache di questi giorni».
Questa bufera senza precedenti può essere paragonata a quella della P2, quando il nome di diversi magistrati appare nelle liste della loggia massonica segreta. Dal plenum straordinario il Csm esce a pezzi a causa delle autosospensioni.
Nessuno scioglimento
L’attività di Palazzo dei Marescialli prosegue. Non ci sarà nessuno scioglimento del Consiglio. Infatti, per funzionare, il Csm ha bisogno di 10 consiglieri togati e 5 laici e i numeri restano nonostante le fuoriuscite.
La vicenda odierna si può accostare, soprattutto per le drammatiche autoesclusioni, a quella stagione di Mani pulite in cui proprio le toghe ebbero ben altro ruolo.
Come sempre, in questi casi, si deve avere grande prudenza e non si deve colpevolizzare un’intera categoria, che certamente ha tutto il diritto di essere difesa dalle mele marce. Non dimentichiamo che questo caso è venuto alla luce proprio in virtù della indipendenza e della determinazione di alcuni magistrati.
E soprattutto non dimentichiamo tutti quei magistrati che hanno pagato con la loro vita l’amore e l’abnegazione per il loro lavoro e la difesa della legalità.
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