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Cina: tra sonno e risveglio

Cina: tra sonno e risveglio

Cina: la quarta rivoluzione industriale.

Qualche tempo fa, si è tenuta a Tianjin, città portuale della Cina, vicino a Pechino, la conferenza annuale “Estate di Davos” Topic “la quarta rivoluzione industriale e il suo impatto di trasformazione”.

Si è trattato di affrontare argomenti “whizzy”, un termine inglese con cui si designano prodotti e processi tecnologicamente innovativi, che si pensa possano innescare la prossima rivoluzione industriale della Cina e che impegnano le menti dei leader aziendali di tutto il mondo.

L’obiettivo della Cina è quello di diventare un vero e proprio centro di produzione di creatività e innovazione.

Scopo raggiunto se si pensa a due fuoriclasse cinesi: Huawei”, una società delle telecomunicazioni, o “Haier”, una multinazionale specializzata nell’elettronica di consumo e nella produzione di elettrodomestici.

Alla Cina non mancano le idee, il problema consiste nella scelta di come metterle in pratica. Non a caso, molte aziende sono ancora in fase di sviluppo, aspetto non supportato favorevolmente dalla crescita economica mondiale.

Al di fuori del proprio paese, le imprese cinesi sono spesso dipinte come imprese potenti, pronte a conquistare il mondo. Nella realtà dei fatti non mancano dubbi o incertezze, soprattutto se ci si focalizza sul management o su un’analisi condotta da un “think-tank” si è giunti alla conclusione che oltre quattro quinti di tutti i “profitti economici” (che tengono conto del costo del capitale) generati in Cina, provengono da un settore: la finanza. E che non è il risultato della genialità dei banchieri cinesi!

Inoltre, se è vero che tra il 1990 e il 2010 la produttività in Cina è aumentata sensibilmente, grazie soprattutto agli sforzi dei produttori orientati all’esportazione, questo tasso di crescita non deve distogliere l’attenzione dai livelli assoluti di produttività:

  • la produttività del lavoro cinese è ancora solo il 15-30% della media OCSE, nonostante questi due decenni di miglioramenti.

L’enorme distacco non è esclusivamente dovuto ad un’economia sbilanciata verso l’industria pesante (acciaio e cemento) dominata da imprese statali che “overinvest” e “underperform”, ma anche per una serie di interventi governativi che mancano e che potrebbero incrementare la produttività cinese.

Quali sono gli interventi governativi?

Innanzitutto, lasciare che le imprese sull’orlo del fallimento falliscano. Al momento, nessuna grande azienda, pubblica o privata, può andare in bancarotta in Cina. Sussidi ufficiali, prestiti a basso costo e salvataggi da parte di funzionari locali, preoccupati per posti di lavoro e sconvolgimenti sociali, ne garantiscono la sopravvivenza.

La logistica cinese è un vero e proprio pasticcio: frammentata, eccessivamente costosa e poco specializzata.

Per poter migliorare il settore logistico cinese, la tecnologia digitale offre una soluzione: l’impiego di piattaforme digitali che coordinano la pianificazione, il magazzinaggio e le consegne.

Un altro modo per aumentare la produttività potrebbe essere quello di aprire alla concorrenza le molte parti dell’economia (energia, telecomunicazioni, banche, compagnie aeree), attualmente gestite da imprese oligopoliste.

Oppure ricercare più automazione: la Cina è il più grande acquirente al mondo di robot industriali, ma ha, ad esempio, ancora e meno di un decimo della percentuale di lavoratori manifatturieri in Corea del Sud.

Puntare, infine, sulla Corporate Governance e su una più efficiente gestione aziendale che non sia esclusivamente focalizzata su interventi di ristrutturazione “taglio dei costi ed efficienza operativa comunque necessari”.

Uno studio realizzato dalla BCG – Boston Consulting Group – non ha trovato alcuna correlazione tra remunerazione dei dirigenti e performance aziendale, evidenziando come stipendio e bonus siano commisurati alle performance a breve termine.

Leggi anche: La Cina ha le mani sull’Africa

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