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Il PIL della Puglia ha una spinta da turismo e agricoltura

Il PIL della Puglia

PIL Puglia: un’economia in crescita.

Secondo uno studio del Sole24ore del settembre 2017, la Puglia nel 2016 è cresciuta con un PIL positivo dello 0,5%, molto vicina al dato nazionale dello 0,7%, con una buona performance dell’agricoltura, cresciuta con un indice dell’1,2%, seguito dalla domanda interna dello 0,7% e dell’export, con l’1,7%. Sono anche cresciute edilizia e servizi, che si assestano sullo 0,5%, dopo anni con un trend negativo.

Ci sarebbe anche da esserne contenti, a scapito dello zero iniziale, se non fosse che i segnali in crisi sono forti e netti nel settore industriale, soprattutto dell’aerospazio. Si ridimensiona la Leonardo Elicotteri di Brindisi, che restituisce alla regione Puglia i tre milioni di euro previsti nel contratto di programma: non riesce a garantire il livello occupazionale allora concordato. A Taranto la situazione è ben più nera, con i dipendenti della Cementir per un altro anno in CIG.

E, in generale, la situazione occupazionale della Puglia non è rosea, anche se segue il dato nazionale, con il boom dei voucher o come altrimenti chiamati, ed il netto calo delle assunzioni con contratto a tempo indeterminato.

Ed allora che fare? Le criticità restano e le banche erogano poco credito ai progetti o concedono risorse a chi ne ha bisogno per un tempo limitato, e questo è un dato confermato anche per il 2017, come dice l’AD di Exprivia Domenico Favuzzi, presidente di Confindustria Puglia.

Puntare su quanto abbiamo di forte: turismo ed agricoltura. Il “made in Puglia” è conosciuto in tutto il mondo, come confermano i dati export.

A livello nazionale, vantiamo addirittura 251 prodotti alimentari inseriti nel patrimonio culturale nazionale. Insomma, Apulia is a new taste of food.

Per quanto riguarda il turismo, la Puglia è cool, trend e modaiola.

Nel 2016 abbiamo ospitato oltre 3,3 milioni di turisti con un tasso di internazionalizzazione fortissimo, specialmente grazie a Germania, Francia, UK, USA e Svizzera. A questo ha sicuramente contribuito l’enorme pubblicità estiva dettata dagli illustri ospiti.

I coniugi Sutton – Cohen con il loro sfarzoso matrimonio a Monopoli, Madonna con la sua pizzica in stivali a Borgo Egnazia sono state da ultimo le notizie più cliccate sui social, ma avevano già scelto (e da anni) la Puglia anche Helen Mirren, Francis Ford Coppola, Maryl Streep, Matt Dillon, Katherine Kelly Lang, Hugh Jackman, Tom Hanks, Macron.

Trump ha purtroppo dato forfait all’ultimo, forse impegnato in alcune più urgenti vicende di politica internazionale. Invece Papa Francesco ci ha onorati di ben due visite, di cui l’ultima qualche giorno fa a Molfetta nel ricordo di don Tonino, Vescovo della “Chiesa del grembiule” e mai troppo compianto.

Nell’eterna lotta su quale sia il polo attrattivo più bello tra Gargano e Salento (#teamgargano versus #teamsalento sono tra gli hashtag più quotati), in Puglia però sicuramente ci difetta la fidelizzazione dei turisti, che generalmente pernottano poche notti per spostarsi verso mete in cui i servizi sono più agevoli.

Accoglienza e turismo.

Organizzare l’accoglienza a lungo termine vuol dire migliorare lo standard dei servizi, potenziare la rete dei trasporti interni, specialmente in Salento, che non ha un aeroporto e spesso nemmeno strade degne di tal nome, segno che quando Briatore diceva che occorre incrementare le infrastrutture forse sbagliava nei modi, ma non certo nelle idee.

Vuol dire anche incentivare l’inglese e le guide turistiche, puntando, perché no, anche nei mesi invernali, tanto eco-friendly, sfruttando il buon cibo e le nuove bio masserie.

Questo è un consolidamento di crescita che però deve puntare sugli investimenti europei e su quelli dei grandi gruppi stranieri tedeschi, americani ed indiani, che qui vengono ad investire. E molte sono le opportunità che possono arrivare anche dagli strumenti nazionali di recente introduzione, come le Zone Economiche Speciali (ZES) ed il Fondo Imprese Sud, di cui, per questi ultimi, mancano tuttavia ancora i decreti attuativi.

Su tutti questi temi possono agire, se spesi bene, i fondi europei del periodo 2014-2020, finora usati solo in piccolissima parte.

I risultati attesi sono rilevanti: 100 mila imprese dovranno essere supportate, ci saranno oltre 7.000 start up da far nascere, 2 milioni di cittadini dovranno essere raggiunti dalla banda larga, 350 km di ferrovie dovranno essere ristrutturati e oltre 250 km di trasporti urbani su rotaia dovranno essere costruiti, 4.000 nuovi ricercatori dovranno essere assunti e 5 milioni di studenti dovranno essere interessati da interventi di rinnovamento delle strutture scolastiche, oltre 1.200 dovranno essere i progetti di miglioramento della pubblica amministrazione.

Il trend positivo del 2017, con una novità, è stato confermato dal penultimo “Check Up Mezzogiorno”, lo studio sull’economia delle regioni meridionali curato da Confindustria e Srm, il centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno del gruppo Intesa Sanpaolo, pubblicato a dicembre 2017.

C’è una lettura fondamentale che può riservarsi a questi dati: quella di una spaccatura profonda tra diversi Sud.

Lo dice con chiarezza lo stesso studio: vi è una “estrema diversificazione territoriale, che lascia intravedere un Mezzogiorno a più velocità” e questo è uno dei fattori che contribuisce a spiegare “l’andamento moderato della ripartenza al Sud”.

Ci sono infatti regioni in crescita più robusta come la Campania (+1,2%), il Molise (+1,2%), la Basilicata (+0,9%), la Puglia (+0,6%) e regioni con crescita meno vivace, o addirittura con un Pil pro capite in calo. I territori più in difficoltà sono quelli di Sardegna e ancor di più Calabria e Sicilia.

Da dove nasce questo differenziale?

Intanto Campania e Puglia hanno una base imprenditoriale più solida. Grazie a questa hanno potuto far registrare un calo minore del fatturato delle imprese negli anni della crisi, così come un minore calo degli occupati.

Per rendere l’idea, tra il 2008 e il 2015 in Campania e Puglia il fatturato di tutte le imprese è sceso di circa il 10%, in Sicilia del 22% e in Sardegna del 27%. Se si guarda alle sole attività manifatturiere, la Calabria segna un -46% e la Sicilia un -31%.

Anche la Campania ha subito (-22%), molto meno la Puglia (-11%).

La Campania è inoltre la regione con il maggiore incremento delle imprese attive (oltre 6 mila in più nell’ultimo anno), quella con la quota maggiore di merci esportate in valore (7,6 miliardi nei primi 9 mesi dell’anno) e quella con il maggior numero di imprese “in rete”.

Se si guardano ai numeri degli occupati – saliti di 108 mila unità tra il terzo trimestre del 2016 e lo stesso periodo del 2017 grazie alla spinta della decontribuzione – oltre la metà, 65 mila fanno riferimento a sole due regioni, la Campania (con quasi 35 mila nuovi occupati) e l’Abruzzo, con oltre 30 mila. In questo caso la Puglia non ha certo da festeggiare, perché vede fermo il numero dei suoi occupati, mentre Basilicata e Molise li vedono addirittura scendere.

Export e Pil.

La distanza tra le strutture imprenditoriali delle due regioni si vede anche dalla propensione all’export, cioè dal valore delle esportazioni di merci in rapporto al Pil. In una regione del Centro-Sud come l’Abruzzo questa quota è del 27%, in forte salita negli ultimi due anni. In Puglia e Campania è sopra il 10%.

La Sicilia si ferma all’8,6% (in netta discesa), mentre in Calabria è addirittura di appena l’1,3. La Basilicata, grazie all’apporto di Fca, sfiora addirittura il 40% ed è la prima regione italiana.

Questo divario nasce anche dalla debolezza delle istituzioni. Su questo fronte, tra i dati che risaltano ci sono quelli sull’utilizzo del Fondo di Sviluppo e Coesione.

Se si guarda l’uso effettivo del fondo rispetto alle spese preventivate a carico del fondo per gli interventi da realizzare, si vede che la media nel Centro-Nord è del 67%; nel Sud nel suo complesso è del 21%, con Campania e Molise ben oltre il 30%, mentre la Calabria si ferma al 10% e la Sicilia al 5,7 per cento.

C’è poi il peso della criminalità organizzata; su questo basti ricordare che nella sola Sicilia si concentra un terzo di tutte le aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata in Italia.

Il Rapporto PMI del Mezzogiorno 2018.

Da ultimo, infine, il Rapporto PMI del Mezzogiorno 2018 pubblicato qualche giorno fa a Cosenza, curato da Confindustria e Cerved, con la collaborazione di Srm, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, continua a fotografare un Sud sempre più efficiente, in cui le piccole e medie imprese crescono in velocità, ammantandosi di maggiore redditività e utili con un trend positivo.

Secondo le previsioni di Confindustria e Cerved di quest’ultimo studio, nel 2018 e 2019, fatturato e valore aggiunto delle PMI del Sud dovrebbero crescere con tassi e in maniera non del tutto diversa da quelli del resto del paese. Crescita, investimenti e competitività dei territori sembrano quindi i tre fattori principali capaci di consolidare la ripartenza delle PMI del Sud.

La capacità imprenditoriale non manca, soprattutto se sostenuta dall’accesso a fonti di finanza esterna, come per esempio i PIR, piani di risparmio a lungo termine, gli incentivi per le startup, il fondo italiano di investimento, oppure, a livello nazionale, le misure come “Resto a Sud”.

I Risultati.

“Risultati rilevantissimi – commenta lo studio di Confindustria e Srm – che sommati a quelli che potranno essere generati dalla politica di coesione nazionale sono davvero in grado di cambiare il volto del Paese e del Sud in particolare, incidendo in profondità su quei fattori di ridotta competitività che frenano la ripartenza, e di iniziare a scalfire altrettanto profondamente le condizioni di disagio sociale che sembrano così difficili da modificare”.

A condizione, però, conclude il Check-Up, “che i progetti siano effettivamente mirati al conseguimento di quei risultati, che la loro implementazione proceda spedita, che i cambiamenti organizzativi “importati” dalle regole comunitarie si estendano al complesso dell’azione pubblica e che questa azione di riequilibrio possa contare su un orizzonte temporale di medio lungo periodo”.

L’auspicio è però anche quello di non perdere la nostra cultura, le nostre radici ed i nostri punti forti, quelli di cui abbiamo bisogno e di cui continueremo ad avere bisogno. Sempre.

Leggi anche: Rete di impresa e agricoltura

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