Risparmio gestito: il punto di Paolo Turati

Risparmio Gestito. Al capezzale del risparmio gestito degli italiani: a fargli “dire trentatré” è Mediobanca. E’ noto che gli Italiani detengono uno stock di risparmio mobiliare e, ancor più immobiliare fra i maggiori al Mondo. E’ anche piuttosto risaputo che la cosiddetta Industria del Risparmio Gestito rappresenta uno dei settori più corposi e redditizi dell’Economia […]

Dicembre 2017
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Risparmio gestito: il punto di Paolo Turati

Risparmio Gestito.

Al capezzale del risparmio gestito degli italiani: a fargli “dire trentatré” è Mediobanca. E’ noto che gli Italiani detengono uno stock di risparmio mobiliare e, ancor più immobiliare fra i maggiori al Mondo. E’ anche piuttosto risaputo che la cosiddetta Industria del Risparmio Gestito rappresenta uno dei settori più corposi e redditizi dell’Economia nazionale dal quale i principali gruppi bancari generalisti traggono ormai oltre metà nel proprio margine operativo lordo.

Meno conosciuto è il fatto che: (al di là delle consigliabili riflessioni che andrebbero riprese sull’opportunità che gli enti bancari vadano severamente “ricompartimentizzati“ in banche commerciali e banche d’investimento, per evitare i frequentissimi conflitti d’interesse così che fu fatto negli Anni Trenta durante la grande crisi – fino al 1999, quando il Glass-Steagall Act venne abolito dall’Amministrazione Clinton ed in tutto il Mondo si diffuse il mito della Banca Universale)… a verificare “come sia andata” per i sottoscrittori di prodotti finanziari italiani da quando questa Storia è iniziata nel 1984 (con la Legge istitutiva dei Fondi Comuni di Investimento del 1983), ci pensa da 33 anni l’Ufficio studi di Mediobanca.

In primo luogo, i suoi realistici e, mediamente parlando in quanto periodicamente si verificano delle eccezioni, impietosi (per l’Industria italiana del Risparmio gestito) reports annuali, raccontano di un sogno per alcuni (i gestori) e un incubo per altri (i sottoscrittori).

L’ultimo report annuale di Mediobanca.

() considera, allo stato del 2016, 1179 prodotti finanziari:

  • Sicav e fondi comuni (capaci di aver realizzato un rendimento medio in 33 anni di ben poco più dell’1,3% annuo);
  • fondi pensioni negoziali ed aperti;
  • i fondi chiusi, immobiliari e speculativi;
  • fondi di fondi: praticamente tutto quello che viene commercializzato di questo settore sul territorio italiano.

Nel dettaglio, come riportato anche da testate autorevoli quali Plus de Il Sole 24, consiste in 96,5 miliardi l’aumento di valore netto dei patrimoni generato in 33 anni, “cannibalizzato” da 76,4 miliardi di commissioni applicate su fondi comuni aperti e Sicav (quasi l’80% del guadagno).

Questi dati (che peraltro sono più o meno gli stessi che si ritrovano nei pur meno “ponderosi” report di Bankitalia (…) dove si rinviene, testualmente, che “se si sottraggono i costi direttamente e indirettamente sostenuti dagli investitori, il rendimento dei fondi comuni aperti si riduce in media dal 3,5 al 2 per cento” e di altri autorevoli Uffici studi, in secondo luogo, fanno sostenere a Mediobanca che:

l’industria dei fondi, col suo costo medio esplicito annuo dell’1,5% e più (per sottacere i costi impliciti come la differenza danaro/lettera nelle compravendite dei sottostanti) continua a rappresentare (in un orizzonte temporale di lungo periodo) un elemento distruttivo di ricchezza per l’economia del Paese”.

Basti un solo dato, relativo al 2016:

  • i fondi monetari, giustamente frequentissimi nei Portafogli degli investitori, hanno reso negativamente lo 0,2%, avendo le commissioni annue di gestione pari mediamente allo 0,6% annullato il rendimento dei titoli presenti nei portafogli gestiti.

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