La Cina ha le mani in Africa

La Cina ha le mani in Africa: il neocolonialismo di cui nessuno parla. La Cina e l’Africa, due mondi apparentemente lontani, per certi versi antitetici, eppure indissolubilmente legati dalle logiche di quello che può essere definito, a tutti gli effetti, un nuovo colonialismo. I numeri parlano di oltre 60 miliardi di euro investiti dalla Repubblica […]

Febbraio 2018
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La Cina e l'Africa, due mondi apparentemente lontani, per certi versi antitetici, eppure indissolubilmente legati dalle logiche di quello che può essere definito, a tutti gli effetti, un nuovo colonialismo.

La Cina ha le mani in Africa: il neocolonialismo di cui nessuno parla.

La Cina e l’Africa, due mondi apparentemente lontani, per certi versi antitetici, eppure indissolubilmente legati dalle logiche di quello che può essere definito, a tutti gli effetti, un nuovo colonialismo.

I numeri parlano di oltre 60 miliardi di euro investiti dalla Repubblica Popolare Cinese in infrastrutture, industria estrattiva, delocalizzazione produttiva e manifatturiera. Una mole di denaro enorme ed in costante e continua crescita.

Basti pensare ad un minerale forse ai più sconosciuto ma con il quale abbiamo tutti, indistintamente, a che fare con cadenza giornaliera: il cobalto.

Trattasi dell’elemento base di tutte le batterie degli smartphone in nostro possesso.

Risorsa naturale estratta quasi totalmente nel continente africano, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, che vanta circa il 60% della produzione mondiale.

Le multinazionali cinesi investono nei poverissimi territori del “continente nero”, creando le infrastrutture che servono perlopiù ai trasporti delle merci; da loro stesse commercializzate, in cambio di risorse naturali, ricavabili grazie all’esiguo costo della manodopera estrattiva.

L’Africa è un coacervo di lingue, tradizioni e religioni diversissime.

Sul piano dei diritti umani, invece, paga un deficit sconfinato rispetto alla totalità degli altri continenti. Seppur attanagliati da problemi analoghi, non possono essere paragonati al “quarto mondo” che la geopolitica ha individuato in alcuni stati dell’Africa.

Se i diritti umani non vengono rispettati, è utopistico pensare all’esistenza, anche in astratto, di diritti riconosciuti ai lavoratori, spesso minorenni. Il più delle volte bambini costretti a lavorare in condizioni disumane (si scava con strumenti improvvisati, o peggio ancora a mano) ed a prezzi stracciati nelle miniere congolesi di cobalto.

Secondo una stima di Amnesty International almeno 40mila ragazzini, a partire dai 7 anni, lavorano a 2 dollari per 12 ore al giorno, sotto la supervisione attenta delle maestranze cinesi.

In questo assurdo contesto è degna di nota anche la compiacenza dei governi africani; in virtù del “principio di non interferenza”, vestono i panni di Ponzio Pilato, pensando esclusivamente al proprio tornaconto. Per la verità piuttosto “ridicolo” di fronte ai cospicui ricavi che i cinesi ottengono alla fine del processo di produzione.

La maggioranza degli stati africani vive in situazioni politiche che definire “instabili” è un gioco retorico di eufemismo degno del miglior Emerson; per cui si è reso necessario anche proteggere gli investimenti massicci della PRC. Come?

Il contingente militare della Cina in Africa è il maggiore tra i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza ONU. I militari cinesi sono, tra i paesi asiatici, i più impiegati nelle operazioni di peacekeeping delle organizzazioni internazionali (i cosiddetti “caschi blu”).

Il governo cinese è anche al fianco del governo nigeriano per combattere i terroristi di Boko Haram. In un quadro di cooperazione nelle politiche di sicurezza che fa rabbrividire se si pensa che i cinesi sono tra i tre maggiori produttori mondiali di armi, comprese quelle utilizzate dai terroristi.

La massiccia presenza dei cinesi in Africa non è, a dire il vero, cosa recente.

Sul finire degli anni novanta e nei primi anni duemila è iniziata una sorta di “deportazione” da parte del governo cinese (che, ufficialmente, ha sempre negato) dei detenuti nelle carceri patrie, al fine di impiegarli nei cantieri africani, all’epoca ancora in fase embrionale.

I cantieri divenivano vere e proprie città nelle città ed erano costantemente controllati da militari armati.

Col passare degli anni il “pudore” è scomparso e la spavalderia ha preso il sopravvento. I mercati tradizionali di Luanda, in Angola, si sono riempiti di mercanzie cinesi, occupando così prepotentemente anche gli spazi del piccolo commercio.

In Africa sta crescendo una classe media dagli occhi a mandorla, impegnata in attività imprenditoriali e commerciali.

Riempiono le strade delle città africane e ne disegnano gli skyline con i grattacieli in serie, sempre più presenti e decontestualizzati rispetto al paesaggio circostante.

E pensare che, beffardamente, il governo cinese ha giustificato i propri interventi economici e militari in territorio africano adducendo di dover proteggere le popolazioni autoctone dalle nuove smanie colonialistiche europee.

E’ pur vero che le nazioni europee (Italia compresa) sono state le prime ad individuare nel continente africano una risorsa da sfruttare; senza limiti ed in spregio ai più elementari diritti del panorama internazionale.

Con la fine dell’era colonialistica e la conseguente emancipazione degli stati africani (attraverso l’indipendenza) il dominio europeo su questi stati è sparito solo formalmente, lasciando spazio ad un colonialismo ideologico ed economico. Ma queste sono storie di sessant’anni fa.

L’Africa, soprattutto nelle zone del “corno” e sahariane, ha faticato e ancora oggi fatica a trovare una dimensione politica stabile, favorendo gli insediamenti stranieri e l’ascesa di gruppi terroristici.

Il tutto è stato aggravato dalle crisi climatiche ed umanitarie, che hanno aumentato in maniera spropositata gli sbarchi sulle coste europee, in particolare quelle italiane, e che sono oggi uno dei temi della campagna elettorale nostrana.

Dietro tutto ciò, un ruolo chiave è stato giocato dalla Cina, le cui mani assetate di denaro, si sono allungate pericolosamente su una terra tanto ricca quanto martoriata dall’ingordigia dell’uomo.

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