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Siria: la guerra senza fine

Siria: la guerra senza fine

Guerra in Siria: USA e Russia giocano a Risiko?

La guerra senza fine in Siria. E’ lo scenario più caldo del medio-oriente e sta costando centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati. La Siria, nel più ampio contesto delle “primavere arabe”, è lo Stato che più di tutti ha pagato il conto in termini di instabilità e di crisi politica ed umanitaria.

La guerra civile che ha visto la luce nel 2011 continua, se possibile, ad esacerbarsi di anno in anno, portando nel coacervo di interessi e Stati coinvolti, attori sempre nuovi.

Si, perché se inizialmente la guerra civile era un interesse tutto siriano, con i ribelli desiderosi di liberarsi della lunga dinastia alauita degli Assad, oggi gli interessi geopolitici sottesi alla questione siriana sono più che mai internazionali e legati all’industria petrolifera di Damasco.

Negli ultimi giorni il fronte bellico si è spostato nella città di Afrin, territorio storicamente a maggioranza curda. Qui, i bombardamenti israeliani e turchi sono costati centinaia di vittime innocenti.

La situazione in quella zona è caldissima perché sta diventando teatro dello scontro, ormai apertissimo, tra le truppe governative di Bashar al-Assad e la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan; da un lato interessata a mettere le mani sui giacimenti petroliferi siriani, dall’altro attrice importante per i flussi migratori verso l’Europa in ragione della posizione strategica che riveste.

Al confine meridionale, quello con Israele, nelle alture del Golan, si assiste all’ascesa di Netanyahu che, in funzione anti-iraniana, sta bombardando le zone controllate dagli Hetzbollah e rifornendo di armi i ribelli anti-Assad. La Russia di Putin è così costretta a scegliere fra Turchia ed Iran.

Può ostacolare l’offensiva turca, negando l’accesso allo spazio aereo siriano all’aviazione di Ankara, rischiando al contempo di spingere Erdogan a ricucire l’alleanza con gli Stati Uniti, incrinata proprio dall’appoggio a curdi da parte di Washington. Putin era inizialmente intervenuto nel settembre 2015 a fianco di Bashar al-Assad.

Ha inviato cacciabombardieri ed elicotteri d’assalto disponendo di una base aerea a Hmeimim, una navale a Tartus, ed una avanzata vicino a Palmira. Sul terreno la sua azione affianca quella di Hezbollah ed iraniani, ma non è un’alleanza organica.

Continua ad avere rapporti ambigui con i curdi poiché li sosteneva ad Afrin, ma li combatte, in quanto alleati degli Usa, nella provincia di Deir ez-Zor.

Mosca non è affatto entusiasta dell’aiuto di Assad ai curdi perché guasta i suoi rapporti con la Turchia e può compromettere alleanze che, per durata, sono ormai storiche e consolidate.

In questo complicato ed arzigogolato scenario, che parte recitano gli Stati Uniti?

Hanno dapprima appoggiato gruppi ribelli “moderati” in funzione anti-Assad.

A partire dalla fine del 2013, con la prevalenza sul terreno di Al-Qaeda e poi dell’Isis, hanno cambiato strategia e puntato sui curdi per stoppare lo Stato Islamico senza dover riconoscere il regime, e per garantirsi una «testa di ponte» contro Iran e Russia. Possono contare su 13 basi e 2000 militari nel Nord-Est.

L’ambiguità persiste nei confronti della Turchia. Infatti non vogliono incrinare i rapporti con un importante membro della NATO che, come detto, costituisce un argine alle ondate di immigrati provenienti dal medio-oriente; ma non possono voltare le spalle ai curdi, dato che gli stessi sono stati fondamentali per sconfiggere l’Isis sul campo.

Il ruolo che Trump sta recitando in questo scenario è tutt’altro che marginale o di facciata.

Solo dieci giorni orsono un attacco aereo sulla linea dell’Eufrate ha causato oltre cento morti tra i miliziani del regime. La giustificazione addotta da Washington è stata di “difesa degli alleati contro la minaccia terroristica”. Impossibile, ad oggi, avere un stima certa delle vittime di questo assurdo quanto efferato conflitto. Le fonti più accreditate parlano di un numero di morti che si aggira intorno ai seicentomila.

Un genocidio che non ha risparmiato civili inermi, donne, bambini, ed ha visto in campo anche le pericolosissime armi chimiche e batteriologiche. I rifugiati, in fuga da questa situazione di violenza indiscriminata, secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite sono circa 5 milioni.

Gli sfollati interni, invece, ovvero coloro che sono ancora in territorio siriano ma privi di una dimora sono circa 6 milioni. In totale, le persone che necessitano di assistenza umanitaria in Siria sono oltre i 13 milioni.

Una situazione, quella siriana, alla quale le grandi potenze mondiali non hanno saputo trovare una soluzione univoca, trasformandosi invece in protagonisti attivi. Stati Uniti, Russia, Israele, Iran e Turchia, continuano pericolosamente a giocare a Risiko sulla pelle del popolo siriano, giunto ormai allo stremo delle forze.

Un genocidio in atto da oltre sette anni, che si sta consumando nel silenzio assordante dell’occidente e delle istituzioni internazionali.

Leggi anche: Siria: la necrosi della guerra giusta

Luigi Risucci

Public Servant, Editor, Lawyer

Luigi nasce a Matera nel 1990. Dopo la maturità classica, si laurea in Giurisprudenza nel 2015. La passione per la legge lo porta alla Specializzazione in Diritto Internazionale e Umanitario conseguita, col massimo dei voti, nel 2017 ed al titolo di Avvocato brillantemente conquistato nel 2018. Tra università e master vince otto borse di studio in altrettanti anni. Editorialista presso una testata giornalistica sportiva nazionale dal 2014, è arbitro di calcio presso la Sezione di Nichelino (TO). Dal 2019 vive a Torino, dove lavora come Funzionario dello Stato. Ama in maniera viscerale lo sport, i viaggi, la buona cucina ed il contatto con la natura.

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