Così il Coronavirus spaventa il mondo dei poveri

C’è una impellente e galoppante minaccia che spaventa il mondo: il nuovo Coronavirus. Un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. Ad oggi ha mietuto in giro per il mondo oltre millecento vittime, mentre i contagi sfiorano quota cinquantamila. Al netto degli allarmismi del caso, scattati nelle forme […]

Febbraio 2020
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C’è una impellente e galoppante minaccia che spaventa il mondo: il nuovo Coronavirus spaventa il mondo dei poveri

C’è una impellente e galoppante minaccia che spaventa il mondo: il nuovo Coronavirus.

Un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. Ad oggi ha mietuto in giro per il mondo oltre millecento vittime, mentre i contagi sfiorano quota cinquantamila.

Al netto degli allarmismi del caso, scattati nelle forme più variegate e a volte sfociate (non solo nel nostro Paese) in vergognosi episodi di razzismo verso la comunità cinese, le vittime sono, nella grande maggioranza dei casi, persone con problemi pregressi ed una storia clinica già compromessa.

L’OMS prevede che possano essere segnalati ulteriori casi nel mondo, pertanto incoraggia tutti i Paesi a rafforzare le misure preventive, la sorveglianza attiva, l’individuazione precoce dei casi ed il loro isolamento seguendo adeguate procedure gestionali e di contenimento, compreso il rintraccio accurato dei contatti per prevenire l’ulteriore diffusione.

I Paesi sono in questo modo incoraggiati a continuare a migliorare la loro preparazione alle emergenze sanitarie in linea con il Regolamento Sanitario Internazionale del 2005. E’ al lavoro una task force politico-sanitaria al fine di condividere le informazioni sui casi e sulle misure implementate. La via primaria attraverso cui avviene il contagio sono le goccioline del respiro delle persone infette, attraverso:

  • la saliva, tossendo e starnutendo;
  • contatti diretti attraverso le mani, ad esempio toccando con le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi.

Conseguenze dunque, sulla vita dell’uomo, ma anche sui sistemi economici: ad oggi si stima una perdita del 2% del PIL cinese solo nel primo trimestre del nuovo anno, con conseguenze estendibili a tutta l’economia globale. Le agenzie di rating stimano un calo di quasi mezzo punto del Prodotto Interno Lordo su scala mondiale. Quasi dieci volte i danni prodotti dalla SARS.

Studi sono in corso per comprendere meglio le modalità di trasmissione del virus, con l’eccellenza italiana rappresentata dalle tre ricercatrici dello “Spallanzani” di Roma, le prime ad isolare il virus. Per quanto riguarda l’Europa, le norme sanitarie ed i presidi tecnici adibiti a preservare la salute della popolazione sono avanzatissimi ed il conseguente rischio di contagio a macchia d’olio è, verosimilmente, circoscritto.

La situazione è sotto controllo in tutti gli stati del vecchio continente, con casi isolati di persone rientrate dalla Cina, ben individuati e nella maggior parte dei casi curati con successo. Ma qualcuno ha pensato alle conseguenze catastrofiche che potrebbero derivare dall’approdo di un virus così aggressivo in zone del mondo totalmente prive di misure di prevenzione?

“Sarà infettato dal Coronavirus il 60-80% della popolazione mondiale, un numero tremendamente grande”, la frase shock pronunciata da Gabriel Leung, capo del Dipartimento di medicina della prestigiosa Hong Kong University.

Il dott. Leung ha aggiunto, a supporto della sua tesi: “Un conto è la capacità di contenimento dell’epidemia in Europa o nell’Occidente ricco, altro discorso investe le condizioni di Paesi asiatici come la Thailandia, visitata da milioni di turisti, e da altri Paesi come Bangladesh, Indonesia, Vietnam, Laos e Myanmar”.

Questo fa riflettere anche in considerazione del fatto che i numeri dell’emergenza in Cina sono probabilmente di gran lunga superiori a quelli denunciati. Il governo cinese continua ad alzare muri di fronte alle richieste di chiarimento da parte degli stati limitrofi e della comunità internazionale, sia sui numeri che sulle cause del contagio.

Dall’altro lato costruisce un ospedale in dieci giorni per arginare il rischio dei contagi, chiaro segno di come la percezione reale del rischio sia palpabile e ben superiore rispetto alla versione ufficiale di Pechino. La preoccupazione riguarda soprattutto il continente africano dove negli ultimi anni sono sbarcati tantissimi lavoratori cinesi, a contorno della progressiva colonizzazione post-moderna operata dalla PRC nel continente nero.

“Come riusciranno a isolare i malati, mettere in quarantena i sospetti, e tracciare i contatti?” (ha aggiunto il dott. Claudio Zanon, chirurgo e direttore scientifico di Motore Sanità). “Vista l’evoluzione del fenomeno credo che i Paesi africani faticheranno a contenere la diffusione del virus come accade nei paesi occidentali. Stesso ragionamento si potrebbe fare per alcune zone del Sudamerica”.

In Africa vivono circa 1 milione di cinesi e centinaia di viaggiatori dalla Cina arrivano ogni giorno anche per turismo in Africa, come riferisce, tra gli altri, la BBC. Di pari passo un discreto numero di (fortunati) studenti africani vive stabilmente in Cina, studiando nelle università orientali per riportare in patria le conoscenze e le tecnologie che mancano a casa loro.

Le autorità internazionali sono preoccupate della situazione.

Ai primi di febbraio, infatti, soltanto 6 dei 54 paesi africani risultavano avere le attrezzature per svolgere il test del Coronavirus. “L’abilità delle nazioni africane di riconoscere correttamente i casi”, ha sottolineato Michael Yao, responsabile OMS per le operazioni d’emergenza in Africa, “dipende dalla quantità di nuovi reagenti messi a disposizione dalla Cina e dall’Europa”.

Insomma, bisogna fare presto e probabilmente durante il mese saranno già triplicati gli stati dotati delle attrezzature necessarie per le diagnosi. Lo Zambia è uno dei tredici paesi africani sotto vigilanza da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità perché il volume di viaggi per affari con la Cina è abnorme, frutto in primis delle sconfinate risorse minerarie del Paese.

Hanno, tra gli altri, espresso preoccupazione i dipendenti dell’ospedale Sinozam, situato nel nord del Paese, in una città in cui le compagnie cinesi gestiscono diverse miniere, la più importante delle quali ha la sede centrale proprio a Wuhan, focolare dell’epidemia e oggi vera e propria metropoli fantasma. “Non siamo per niente pronti”, ha urlato con forza alla stampa il dottor Fundi Sinkala, che in quell’ospedale ci lavora da anni.

“Basterebbe avere un paio di casi per osservare una diffusione molto rapida. Stiamo facendo il nostro meglio con le misere risorse che abbiamo”. L’ospedale ha messo in campo tutte le misure disponibili a fronte di possibilità ridotte: dalla misurazione della temperatura, all’uso sistematico delle mascherine, fino alla creazione di zone di isolamento per il monitoraggio di alcuni pazienti. Inoltre, si è dotato di un’ampia fornitura di guanti, inalatori di ossigeno e disinfettante.

Quest’ultimo risulta avere importanza preminente perché, secondo gli studi episodici e frammentari condotti sinora, il Coronavirus permane fino a nove giorni consecutivi sulle superfici. Quest’ultimo dato andrà approfondito, sebbene la principale via di trasmissione non risulti essere questa, come ha sottolineato in una nota l’Istituto Superiore di Sanità.

Nonostante le crescenti misure recentemente adottate, alcuni viaggiatori rientrati dalla Cina e con sintomi tipici dell’influenza non sono stati messi in isolamento nelle immediatezze, come si legge su Associated Press. Anche per questo, la preoccupazione che prima o poi compaia qualche caso è alta e tiene la soglia d’attenzione delle autorità africane al grado massimo.

Ma come si stanno comportando i Paesi africani più a rischio?

La Nigeria Red Cross Society ha messo sull’avviso un milione di volontari pronti all’azione. Il ministro della salute della Tanzania, Ummy Mwalimu, ha annunciato che nel Paese sono stati identificati alcuni centri per l’isolamento, con termometri e altre attrezzature oltre a circa duemila operatori sanitari formati per l’emergenza. L’Uganda, tra gli stati più poveri del mondo, ha messo in quarantena oltre cento persone arrivate dall’aeroporto internazionale di Entebbe.

Mentre diversi stati, fra cui Kenya, Etiopia, Costa d’Avorio, Ghana e Botswana, interessati anche dal turismo di massa cinese, hanno finora gestito i casi sospetti optando per veri e propri ospedali in quarantena. Insomma, l’Africa sta facendo tutto il possibile. Resta il fatto che l’identificazione dell’infezione si basa spesso solo e soltanto sui sintomi.

Ma nella disastrosa situazione generale in cui queste zone del mondo versano, è difficile avere diagnosi precoci, individuare i possibili contagi e gestire al meglio i malati, tutte armi essenziali per contenere la diffusione del virus. Per questo, come ha sottolineato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, la maggiore preoccupazione rimane legata al fatto che il nuovo Coronavirus possa arrivare nel continente nero.

Sempre che si voglia credere fino in fondo che questa mortifera minaccia non abbia ancora varcato il Canale di Suez, senza aver dato fuoco alla miccia di una potenziale bomba sanitaria mondiale.

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