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Gli errori pandemici di cui siamo rei e complici

Errori pandemici: Un rapporto accogliente, incattivito dall’involuzione etica della specie umana.

L’Odissea Virale dell’ex Pangea: “Vivono come immortali ma temono come mortali”.

Era solo il 49D.C. e Seneca, ne “La Brevità della vita”, illuminava il mondo noto con tale affermazione. Ed oggi la nostra mortalità e fragilità sono struggentemente evidenti. La guerra fredda ci diede in dono lo spauracchio di un contagio virale incontrollato, ma il nostro atteggiamento immortale ne ha sempre negato la concreta possibilità di attuazione.

Forse confidavamo nel buon senso di quel qualcuno nell’evitarne la divulgazione o forse, come asserisce il Prof. Umberto Galimberti, la nostra psicologia culturale di matrice cristiana ne impediva l’accettazione. Ed eccoci qui, a guardare il mondo “in vitro”, ad aspettare l’ultima mossa di un microrganismo, beffardo destino per una specie nata da una combinazione molecolare di microrganismi.

Da quella pozione primordiale ne abbiamo fatta di strada, ne abbiamo fatte di mutazioni. Il percorso evolutivo di una piccola macchina perfetta, quale il corpo umano, ospitata da un’altrettanta perfetta, cangiante e dinamica Madre Natura. Un rapporto accogliente, incattivito dall’involuzione etica della specie umana. Un’etica fuorviata che ha optato gettare nel limbo l’umanità e piegarsi dinnanzi alla fatidica scelta tra salvaguardare se stessa o l’economia.

Coscientemente si è preferito gettare il “vello d’oro” nei meandri delle logiche economiche, dando priorità a quest’ultime. E cosi, “d’emblée”, l’umanità tutta si sveglia e si trova costretta all’immobilismo. Uno schiocco di dita e si è ritrovata nella casa degli specchi a confrontarsi con errori esasperati da essa stessa. Volutamente impreparata a seppellire i pilastri dell’epoca moderna, vive la più profonda depressione giubilare.

La vedo, li in un angolo, un’umanità senza filtri, violentata da se stessa senza saperlo. Tenta di ripristinarsi, aggrappandosi a quello che era l’ ”Io” prima di “tutto questo”. Un “Io” economico, un “Io” culturale, un “Io” ambientale, un “Io” sociale, un “Io” antropologico, un fragile “Io” sigillato ermeticamente in un vaso di Pandora, accidentalmente e/o consapevolmente scoperchiato da un virus.

Oggi, più che mai è strategicamente fondamentale che l’ umanità analizzi ponderatamente gli estremi vitali del precedente status quo: quello dell’economia egemone su tutto. Una logica economica, finanziaria e monetaria che ha depauperato l’uomo di tanta materialità ma soprattutto della magnifica filosofia di vita che lo ha condotto alle meraviglie evolutive di cui è stato protagonista.

Questa pandemia ci sta regalando un sorta di anno zero per ricostruire e rimediare agli errori pandemici reiterati nel tempo di cui siamo stati, e siamo, rei e complici. Stavamo perdendo tutto. Si conviveva con un “Io” malato. Abbiamo infettato la natura per allattare un’economia malata, ne abbiamo compromesso la funzionalità. Risuonano nella mia testa le manifestazioni, nel novembre scorso, su scala mondiale nell’unisona voce del “Salviamo il pianeta. Fermiamoci tutti” dell’androgena piccola Greta.

Ma ci saremmo mai fermati volontariamente?

Abbiamo creato ed acutizzato la povertà, inesistente per natura, un’insostenibile condizione di estremizzazione di divari economici. Una condizione necessaria per mantenere in auge i sistemi economici moderni. Questa pandemia ci impone una recessione mai vissuta da quasi un secolo, diverremo tutti più poveri.

Forse inizieremo a modificare i sistemi economici in una prospettiva di reale sostenibilità?

Che sia però una sostenibilità concreta e totalizzante. Credo ne abbiamo l’obbligo e questo anno zero è l’opportunità, se saremo incapaci di coglierla molte altre pandemie ci colpiranno. Abbiamo smesso di pensare, abbiamo assunto la filosofia come una perdita di tempo.

Pensare fortifica l’uomo e le filosofie comuni unificano gli esseri.

Negli ultimi decenni ci hanno indotto all’ossimoro della solitudine condivisa, stimolando l’individualità e sacrificando la costruttiva aggregazione intellettuale e fisica. Una globalizzazione di meccanismi relativi agli ingranaggi economici ma incapace di far ragionare nell’ottica di una umanità globale. Il pensiero e l’analisi di esso, ci ha alimentato per millenni e da sempre ha dato i natali e mantenute unite le comunità. Avevamo anche smarrito il senso d’apparenza ad una specie, ed il senso di comunità.

Abbiamo creduto di vivere in una comunità quella Europea… un mera Babilonia. Fin quando essa è stata il minimo comune denominatore per la costruzione della civiltà occidentale, essa è stata un faro di lungimiranza. Ad oggi è il bunker delle latitanti antropologie nazionaliste e delle impersonali multinazionali. Totalmente incapace in questo contesto pandemico in quanto sprovvista del collante umano.

Abbiamo vissuto nell’idillio di alleanze internazionali effimere e gelosamente rivali. Amicizie usa e getta finalizzate alla fortificazione di egocentriche economie. Ci hanno teso le mani improbabili strategici soccorritori. Quel “vitro” in cui molti si sono sentiti intrappolati, in realtà è una lente di ingrandimento, una messa a fuoco di infezioni economiche, politiche e sociali da decubito.

È indubbiamente un mantrico momento. Un’odissea necessaria per rimettere in ordine l’umanità e darle la consapevolezza che un ritorno allo status quo dovrebbe esser inaccettabile ed inammissibile. Non sarà semplice, ma dovrà esser possibile.

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