Immigrazione: Caronte si è fermato in Europa

Immigrazione in Europa: nell’opera dantesca, il traghettatore di anime Caronte portava i suoi passeggeri verso l’inferno. Riportiamo, paradossalmente, questo frammento letterario al fenomeno migratorio che negli ultimi anni non trova l’apogeo della fine. Il Mar Mediterraneo “interpreta” Caronte: capitano, mozzo, boia e Dio di quelle povere anime le quali, al contrario dei rei passeggeri danteschi, non […]

Ottobre 2016
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Immigrazione in Europa: nell'opera dantesca, il traghettatore di anime Caronte portava i suoi passeggeri verso l’inferno.

Immigrazione in Europa: nell’opera dantesca, il traghettatore di anime Caronte portava i suoi passeggeri verso l’inferno.

Riportiamo, paradossalmente, questo frammento letterario al fenomeno migratorio che negli ultimi anni non trova l’apogeo della fine. Il Mar Mediterraneo “interpreta” Caronte: capitano, mozzo, boia e Dio di quelle povere anime le quali, al contrario dei rei passeggeri danteschi, non hanno il peso del movente della loro fuga.

E’ da ribadire che la spinta all’abbandono delle proprie terre ha differenti matrici. Gli ultimi accadimenti ci riportano ad immagini e racconti sull’immigrazione siriana, ma in questo articolo non si ha l’intenzione di focalizzarsi su essi; non perché siano immigrati di quart’ordine, bensì perché risulta eccessivamente complicato sviscerare in poche righe le ragioni belliche e di natura geopolitica che dominano l’immigrazione; passi il termine, di quella “nazionalità”.

Facciamo un breve salto nel tempo.

L’Europa, in particolar modo l’Italia, da sempre, con consistenti picchi negli ultimi tre anni circa, ha dovuto gestire il “torrenziale” arrivo delle zattere umane di immigrati, soprattutto di africani. Nella “alzheimeriana” memoria dell’homo sapiens sapiens sembrano quasi scomparsi i reportage su salvataggi, morti, gesti di solidarietà; e la grammofonica manfrina sul passato migratorio degli italiani.

Senza stare qui a disquisire su: accoglienza, leggi nazionali, diatribe sul respingimento o meno, gestione e responsabilità di gestione – nazionale o europea – del fenomeno. L’obiettivo è unico e solo: suggerire l’approccio corretto per dare una concreta prospettiva al contenimento del fenomeno.

Non perché chi scrive abbia la bacchetta magica, semplicemente perché si ha consapevolezza del fatto che il fenomeno migratorio non è nient’altro che un boomerang nella traiettoria di ritorno verso chi lo ha lanciato per aria: semplicemente “noi” europei/occidentali/popolo “sviluppato/civilizzato”.

Da secoli l’uomo è nomade per necessità. E nel caso da noi trattato è la fuga dal contesto in cui vivono, contesto governato dal “non benessere” di natura sociale, economica ed in alcuni casi politica. Nonostante spesso siamo indotti a immaginare che tale malessere sia insito nella natura del territorio africano, beh, in realtà, mie cari lettori, non è così.

Sviluppo e immigrazione.

Imperialismo, colonialismo, falsa decolonizzazione, i poco “prospettici” ma famigerati aiuti umanitari hanno reso da decubito il malessere. Il vero dono, non sta in quei numeri di solidarietà “45—” o “43—“, ma nel creare concreto sviluppo. Ma badiamo bene, uno sviluppo sostenibile. Uno sviluppo che permetta di realizzare il benessere della presente generazione senza andare ad inficiare sullo sviluppo delle generazioni future.

Forse un concetto da sognatore… eppure non sarebbe così difficile se Governi e multinazionali non si dimenassero per renderlo utopico. Nella mente da credente nello sviluppo sostenibile, si potrebbe realizzare in Africa, un mondo di benessere, rispetto dell’ambiente e delle risorse.

Se solo espandessimo consapevolmente le attività produttive e commerciali, considerando anche le nascenti fette di mercato in tutti i settori; se sostenessimo il know-how e la formazione professionale e non ci presentassimo come figure distruttrici… forse potremmo iniziare a donare qualche prospettiva e qualche fondamenta per evitare l’abbandono dei loro Paesi. Palese è il terrore che anche in questo splendido continente, l’uomo dimostri la brama di divorare la natura che lo ospita.

Lo spazio di scrittura non permette approfonditi dettagli, di certo  gli “inquilini” dei vertici europei dovrebbero impegnarsi a canalizzare consapevolmente le opportunità d’investimento in quei territori. In concreto dovrebbero mettere appunto il senso puro della cooperazione internazionale: collaborare non tanto tra essi, ma con i governi di quei paesi, prospettando moventi per “non abbandonare i propri territori”. Insomma quello che in poco più di tre secoli non siamo riusciti a finalizzare.

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