La minaccia jihadista in Russia e in Asia centrale

La crescente minaccia jihadista. Il recente attentato suicida a San Pietroburgo ha riportato l’attenzione sulla presenza islamica nelle Repubbliche dell’Asia centrale e l’obiettivo del Jihad di premere sui confini meridionali della Russia. Dopo la disgregazione sovietica del 1991, il Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan sono rimasti sotto l’influenza di Mosca che, un po’ per […]

Novembre 2021
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La crescente minaccia jihadista.

La crescente minaccia jihadista.

Il recente attentato suicida a San Pietroburgo ha riportato l’attenzione sulla presenza islamica nelle Repubbliche dell’Asia centrale e l’obiettivo del Jihad di premere sui confini meridionali della Russia.

Dopo la disgregazione sovietica del 1991, il Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan sono rimasti sotto l’influenza di Mosca che, un po’ per eredità storica, un po’ per peso geografico, economico e militare ha continuato ad essere protagonista dello spazio ex-sovietico sebbene il vuoto ideologico e politico che si ebbe in seguito alla dissoluzione dell’ex Unione sovietica che creò terreno fertile per l’Islam, tanto da essere oggi motivo di tensioni per Mosca.

Per buona parte degli ultimi decenni l’Asia centrale è stata a latere della politica estera russa. Negli anni ’90 Boris Eltsin e successivamente Vladimir Putin hanno spostato i propri interessi altrove, in particolare, in Ucraina, in Bielorussia e nella Georgia, in Azerbaijan e Armenia.

La crisi nei rapporti tra Russia e Occidente, le truppe americane schierate in Afghanistan, l’espansione economica cinese in Asia centrale e l’incertezza sulla successione politica in Kazakistan e Uzbekistan hanno poi fornito al Cremlino l’opportunità di un approccio più impegnato.

La Russia di Putin ha quindi rafforzato la presenza militare in Asia centrale, e la ripresa economica del Paese ha permesso di rivitalizzare il ruolo da protagonista nella regione sebbene la minaccia jihadista crescente abbia avuto un impatto negativo sulle relazioni unilaterali che intercorrono tra Mosca e le Repubbliche dell’Asia centrale.

Minaccia jihadista: la Russia come alleato affidabile contro tutti i tipi di gruppi terroristici religiosi.

A partire dagli anni ’90, dopo la frammentazione dell’ex Unione Sovietica, infatti, in Asia Centrale il jihadismo giustifica politiche repressive da parte dei governi al potere. I paesi Post-sovietici si ritrovano ad affrontare i problemi causati da vecchie sfide di sicurezza e da minacce completamente nuove, che hanno attecchito in un territorio storicamente fertile.

Il traffico di droga, la corruzione e la criminalità organizzata, così come la povertà, la sovrappopolazione rurale piegata dalla scarsità di acqua e di suolo produttivo, hanno generato un aumento della disoccupazione e di giovani emarginati confluiti tra le fila del terrorismo, in cui hanno evidentemente trovato una loro identità, secondo i principi del fenomeno della radicalizzazione.

Dopo aver conquistato l’indipendenza, i governi degli Stati dell’Asia centrale hanno cominciato a sostenere attivamente l’Islam politico, nel tentativo di sfruttare la religione per legittimare i sistemi politici esistenti negli Stati laici, ma ad oggi la situazione si presenta ben diversa.

La situazione politica negli Stati dell’Asia centrale.

Il Tagikistan è instabile e subisce la forte influenza dell’Islam radicalePer altro, la vicinanza all’Afghanistan, ha aggravato una condizione socio-economica interna già compromessa dalle conseguenze distruttive della guerra civile della prima metà degli anni novanta. Il Turkmenistan, invece, è considerata una delle aree più stabili della regione, considerando che resta sempre alta l’attenzione su DAESH.

Meno influenzato dal radicalismo religioso, il Kazakistan, ha un’economia più solida che potrebbe costituire un ostacolo alla radicalizzazione. Anche il Kirghizistan è oggetto di gravi minacce e la nazionalità dell’attentatore a San Pietroburgo è la prova che il terrorismo islamico ha ampiamente varcato i confini e che tale fenomeno vada necessariamente monitorato, per contenere l’obiettivo radicale di esercitare forti pressioni sulla Russia, segnando la fine del progetto eurasiatico di Mosca per gettare il Paese nell’isolamento ed avviare una fase di crisi economica e strategica.

L’entità dell’azione a San Pietroburgo, però, lascia chiaramente supporre un collegamento diretto dell’islamismo jihadista siriano al fine di colpire la Russia per il suo intervento in Siria a favore di Assad, con le zone grigie del jihad asiatico.

Di Federica Fanulli.

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