L’azione dell’uomo sulla biosfera e la salvaguardia della biodiversità

Biosfera e Biodiversità. L’accrescimento demografico e lo sfruttamento intensivo delle risorse a fini speculativi, generano un degrado degli ambienti naturali. E’ il caso in particolare degli ambienti tropicali dove la trasformazione dei paesaggi e la distruzione di alcuni biomi, hanno provocato come conseguenza la scomparsa di un numero molto elevato di Specie vegetali ed animali […]

Settembre 2019
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Biosfera e Biodiversità.

Biosfera e Biodiversità.

L’accrescimento demografico e lo sfruttamento intensivo delle risorse a fini speculativi, generano un degrado degli ambienti naturali. E’ il caso in particolare degli ambienti tropicali dove la trasformazione dei paesaggi e la distruzione di alcuni biomi, hanno provocato come conseguenza la scomparsa di un numero molto elevato di Specie vegetali ed animali (Auroi,1992; Wilson, 1988).

Foreste e deforestazione: proiezione 2010-2030.

Questa situazione, che è andata avanti nei primi 3/4 dello scorso secolo nell’indifferenza quasi generale, suscita da qualche tempo numerose reazioni. Certuni vi vedono la distruzione irrimediabile d’un patrimonio naturale, risultato dell’evoluzione biologica, che si è costituito nel corso di milioni di anni.

Altri vi vedono egualmente la perdita di risorse potenziali e fino ad oggi non sfruttate o semplicemente non conosciute. Altri ancora si pongono la questione delle eventuali conseguenze di riduzione della diversità biologica sul funzionamento degli ecosistemi, e più in generale sui fenomeni regolatori della biosfera.

In realtà, la biodiversità serve da bandiera a tutti quelli che si preoccupano delle eventuali conseguenze di un degrado generale della natura. La biodiversità non è dunque più solamente una preoccupazione degli scienziati, ma un fenomeno verificabile, causato da alcune attività antropiche, come noi cercheremo più avanti di dimostrare.

Sotto motivazioni diverse, ma animati dallo stesso obiettivo, che è quello di frenare l’erosione del mondo vivente, gli scienziati e le ONG (Organizzazioni Non Governative), hanno sviluppato un argomentario complesso ed iniziato a promuovere alcune azioni.

Il concetto di biodiversità, perlomeno per come è stato progressivamente elaborato è, a volte, campo di applicazione di nuove concezioni della natura che si sono sviluppate in particolare, nel pensiero occidentale, ed è anche il pretesto per una riscoperta, con nuove implicazioni, del rapporto dell’uomo con la natura.

La domanda sussidiaria concerne il ruolo che gli specialisti delle Scienze della natura sono adesso chiamati a svolgere, in questo nuovo contesto. Esemplificando possiamo dire che la diversità biologica (o biodiversità) è costituita dall’insieme delle Specie animali, vegetali, di funghi e microorganismi, dal loro materiale genetico e dagli ecosistemi di cui fanno parte. 

Albero filogenetico dei viventi basato sulle sequenze ribosomiali dell’unità 16s di RNA – Carl Woese, 1990.

La biodiversità ingloba quindi la diversità ecosistemica, della Specie e genetica. La diversità ecosistemica definisce il numero e l’abbondanza degli habitat, delle comunità biotiche e dei cicli ecologici che si svolgono sulla terra. Gli ecosistemi sono costituiti da comunità interdipendenti di Specie (mescolanze complesse di Specie, varietà e razze) in rapporto con il loro ambiente fisico.

Il perimetro di un ecosistema o habitat è impreciso; esso può essere delineato sia da uno che da diverse migliaia di ettari. Esistono grossi ecosistemi naturali come le praterie, le mangrovie, i recif corallini, le paludi, le foreste pluviali ecc., ma anche degli ecosistemi agricoli che presentano una combinazione caratteristica di piante e di animali, anche se la loro esistenza e conservazione è sotto il completo dominio dell’uomo.

La diversità delle Specie corrisponde al numero di Specie che esistono in una data zona; più precisamente al numero e alla diversità delle Specie riscontrabili in una zona determinata, dove il termine Specie è genericamente definito come indicante organismi che, oltre a condividere le stesse caratteristiche morfologiche, godono dell’isolamento riproduttivo, rispetto alle altre Specie.

Il concetto di isolamento riproduttivo, non sottende necessariamente la sterilità fra Specie diverse, ma l’esistenza di meccanismi isolanti che rendono pressoché impossibile l’accoppiamento.

Gli individui di una stessa Specie possono differenziarsi poco o tanto fra loro ma, all’interno di ogni Specie, tutti gli individui mantengono inalterati nel tempo i caratteri fondamentali di quella Specie, a meno che le popolazioni, rimaste separate, si differenziano progressivamente, originando dapprima nuove sotto Specie e, quindi, dando origine a nuove Specie.

Questa definizione standard non può tuttavia essere applicata a quegli organismi che si riproducono con modalità non sessuali (per esempio Batteri ed Archea). Naturalmente anche questi organismi rappresentano una parte significativa ed importante del nostro pianeta. Inoltre, in molti organismi non sessuati, avviene, con altri mezzi, un interscambio di materiale genetico.

Inoltre la definizione di Specie comunemente accettata, non tiene conto del fatto che, a causa dell’estrema brevità dell’esistenza umana, l’opera incessante della selezione naturale sulle mutazioni intraspecifiche e sulla variabilità presente nelle popolazioni, produce continuamente delle variazioni che, per quanto impercettibili, differenziano progressivamente le popolazioni che ascriviamo alla stessa Specie.

Quindi, la definizione di Specie, appare valida solo in una visione di “congelamento” temporale. Ovviamente, sulla scala dei tempi umani, questo concetto fondamentale, vale solo in una prospettiva storico-evoluzionistica, essendo la durata della civiltà una frazione insignificante dei tempi biologici.

Inoltre, la definizione sopra riportata, definisce un solo tipo di speciazione: la speciazione allopatrica, ma esistono altre tipologie di speciazione, come la speciazione simpatrica ecc. (vedi il mio articolo “Lo sviluppo della biologia evoluzionistica” su questa testata).

La diversità genetica designa la variazione dei geni e dei genotipi all’interno della Specie.

Essa corrisponde alla totalità dell’informazione genetica contenuta nei geni di tutti gli animali, dei vegetali, dei funghi e dei microorganismi che popolano la terra. Le Specie si compongono di individui aventi caratteristiche ereditarie (genetiche) differenti.

Secondo le attuali teorie evoluzionistiche, la variabilità dei codici genetici permette alle singole Specie di evolversi progressivamente e di sopravvivere negli ambienti che si modificano. La diversità genetica intraspecifica comprende delle variazioni sia in seno alle popolazioni distinte di una stessa Specie (per esempio le migliaia di varietà tradizionali di Riso in India), sia in seno ad una popolazione (per esempio l’assenza relativa di variabilità genetica delle popolazioni di Ghepardi selvatici in Africa).

La diversità biologica è la diversità delle forme viventi e comprende anche la loro complessità genetica e biologica.

La Conferenza di Rio ha messo bene in evidenza che il dibattito sull’ambiente e la conservazione della biodiversità è fortemente animato o, per meglio dire, dominato, da gruppi di pressione molto forti nei campi della morale, dell’etica e delle religioni.

Per certuni, Dio ha creato la diversità della natura, questa è di sua proprietà, e gli uomini non hanno il diritto di distruggerla. Altri, con argomenti assai vicini, partono dal principio che bisogna che il pubblico abbia l’impressione di commettere un sacrilegio o meglio un’infrazione, distruggendo la biodiversità, perché possa imporsi l’idea di conservazione della medesima.

Molti Autori hanno portato avanti questa concezione filosofica che introduce la nozione di crimine moralmente riprovevole, della colpevolezza verso la natura e verso le generazioni future. Questa concezione è stata sovente utilizzata da molti movimenti conservazionisti che sono, o sono stati all’origine, dei movimenti moralistici che fanno appello all’etica.

In realtà, il dibattito filosofico intorno alla biodiversità prosegue sulla scia, ancora largamente d’attualità (vedi per esempio l’Appello d’Heidelberg), intorno alle relazioni dell’uomo con la natura, e sembra coincidere con un cambiamento di attitudine nelle società occidentali.

Durante i secoli trascorsi, le società occidentali, il Giappone, ma anche l’ex Unione Sovietica, hanno considerato la natura al servizio dell’uomo, e la dominazione dell’uomo sulla natura si è ulteriormente rafforzata all’epoca della rivoluzione industriale.

Il mito del progresso nel pensiero moderno postula che la natura deve essere dominata al fine di meglio sfruttarla.

E’ il caso delle Specie, adesso protette con grande dispendio di mezzi e di risorse che, fino a non molto tempo fa, sono state considerate nocive e sterminate metodicamente in nome dello sviluppo agricolo (Cadoret, 1985).

Questa visione utilitarista della natura sviluppata in Occidente, si è espansa nel resto del mondo attraverso la colonizzazione e gli scambi economici.

Essa ha conosciuto in un certo modo il suo apogeo dopo la seconda guerra mondiale, allorquando lo sviluppo dei mezzi tecnici ha permesso agli uomini di realizzare sogni folli:

  • il semi-prosciugamento del Mare d’Aral;
  • i grandi sbarramenti idroelettrici;
  • il prosciugamento d’immense superfici di zone umide.

Queste le testimonianze di una ideologia, condivisa dai diversi sistemi politici dell’epoca, che considerava che il progresso dell’umanità dovesse necessariamente essere attuato attraverso il dominio sugli elementi naturali per mezzo delle conoscenze scientifiche e l’utilizzo della tecnologia.

Il principio secondo il quale l’uomo e la natura sono due entità separate, quest’ultima potendo essere un obiettivo di studio e sperimentazione, è manifesto a grandi righe nell’evoluzione della scienza ecologica che per lungo tempo si è concentrata nello studio di ambienti vergini dall’influenza umana, come nel caso del Programma Biologico Internazionale degli anni ‘6O.

Programma Biologico Internazionale degli anni ‘6O.

Esso fu seguito negli anni ‘7O dal Programma l’Uomo e la Biosfera (MAB) che, per la prima volta, introduceva l’uomo come elemento degli ecosistemi. Ritroviamo l’idea che l’uomo e la natura sono due entità separate, nel rapporto dominante-dominato, nella concezione dei modelli di gestione (detta razionale, il termine è rivelatore) delle risorse viventi che prendevano in considerazione unicamente le risorse ignorando gli attori sociali.

Ma l’attitudine dell’uomo in rapporto alla natura è andata sempre più evolvendosi, specialmente nelle società occidentali moderne per le quali la natura è spesso diventata un luogo simbolico di piaceri e di riposo, di rigenerazione e contemplazione.

L’ambiente naturale diventa così uno spazio neutro dove il cittadino dimentica temporaneamente le tensioni sociali e le costrizioni del lavoro produttivo (Bozonnet et Fischesser, 1985).

L’importanza crescente delle città, ha certamente contribuito a far progredire questa visione nella mentalità del grosso pubblico. D’altra parte, se la società occidentale ha per lungo tempo fondato il suo sviluppo sulla dicotomia uomo-natura, per altre società, al contrario, la sopravvivenza della Specie umana passa obbligatoriamente attraverso la conservazione dei grandi equilibri naturali.

All’estremo, certune comunità rurali di tradizione panteista, considerano che la natura è composta di esseri con i quali l’uomo intrattiene delle relazioni a volte conflittuali.

Sono queste le concezioni, con livelli di sensibilità diversi, che animano molte delle ONG o dei gruppi di pressione. Su un piano più istituzionale, la Carta Mondiale della Natura, adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1982, riconosce che il genere umano fa parte della natura e che ogni forma di vita è unica e merita rispetto.

Si fa appello alla cooperazione internazionale per mettere in atto strategie di conservazione della natura, ma queste iniziative hanno avuto in definitiva un impatto decisamente modesto, nella misura in cui i governi non sono stati obbligati ad impegni ben precisi che, peraltro, richiedono una vasta gamma di competenze per un utilizzo durevole della biodiversità e, spesso, ingenti risorse economiche.

L’UICN.

L’UICN (International Union for Conservation of Nature) ha proposto più recentemente basi etiche per la conservazione della diversità biologica (McNeely, 1989), focalizzando l’attenzione sul fatto che l’umanità è parte integrante della natura, ed è sottoposta alle stesse leggi ecologiche cui sottostanno le altre Specie.

Ne deriva, in particolare, la necessità di mantenere un profondo rispetto nei confronti della natura: tutte le Specie hanno il diritto di esistere e la conservazione degli esseri viventi garantisce il mantenimento della qualità della vita.

In questa prospettiva si comprende quanto sia necessario preservare l’integrità dei processi ecologici che condizionano il mantenimento della biosfera e promuovere quindi uno sviluppo che non pregiudichi il rinnovamento naturale delle risorse e non alteri l’equilibrio degli ecosistemi.

Il concetto di sviluppo duraturo, che non è molto differente in realtà da quello di eco-sviluppo, fa in particolare riferimento alla nostra responsabilità di trasmettere in eredità alle future generazioni ciò che abbiamo attualmente disponibile.

Questa nozione non è assolutamente neutra politicamente. In quanto esige implicitamente un approfondimento di pratiche di democrazia partecipata, a partire dal livello locale fino a livello internazionale.

Suscita ugualmente un doppio interrogativo:

  • quali sono gli strumenti che ci consentiranno di applicare questo concetto in pratica?
  • sino a quale punto si può perseguire lo sviluppo senza mettere in pericolo l’equilibrio uomo/natura?

Leggi anche: Biodiversità: definizione, importanza e protezione

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