BARENE: Gino Baffo

BARENE – Gino Baffo: PALAZZO PISANI NICOLAJ – VENEZIA. L’astrazione, derivata dall’eccedere del pigmento naturale sulla tela come elaborazione di un percorso spirituale-materico che trasfigurato si fa humus, rivendica un estremo afflato del processo impattante sulla superficie dell’opera e su di noi. Mi riferisco all’ultimo lavoro di Gino Baffo, incentrato sulle Barene, ecosistema primordiale della […]

Aprile 2023
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BARENE – Gino Baffo: PALAZZO PISANI NICOLAJ – VENEZIA.

L’astrazione, derivata dall’eccedere del pigmento naturale sulla tela come elaborazione di un percorso spirituale-materico che trasfigurato si fa humus, rivendica un estremo afflato del processo impattante sulla superficie dell’opera e su di noi. Mi riferisco all’ultimo lavoro di Gino Baffo, incentrato sulle Barene, ecosistema primordiale della laguna costituito da lembi di terra affioranti e disegnati da tortuosi ghedi a nord di Venezia, Torcello e Burano.

L’artista affida a quel habitat di numerose specie vegetali il tessuto di cotone grezzo ed esige risposte nelle reazioni chimiche di quel giacere per centocinquanta giorni sul suolo. Un tempo fatto d’interazione, di silenzi e di attese, fino a quando il carattere limoso, argilloso e vegetale, logos della ricerca, ne venga assimilato e ne emerga restituendo l’irruenza d’innumerevoli mutamenti atmosferici. È uno scambio fisico legato alla progenie e nella dualità l’effetto si adorna della sua più autentica essenza.

Il fascino di questa esigenza pittorica ambientale dispiegata da G. Baffo, costituita di materiale organico, sottendere una potente vocazione di gesta ataviche, in cui si affastellano memorie comuni a tutte le cosmogonie, intente ad ascoltare il microcosmo e macrocosmo in riferimento ai quattro elementi primordiali – cielo, acqua, terra, fuoco – implicando il precipitare della materia in una dimensione altra.

Possiamo dire che le Barene, impregnando quei giacenti teli del loro ecosistema, si raccontano. E quel luogo apparentemente inusitato e inospitale, col suo selvaggio e anomalo paesaggio esprime e urla la sua esclusività dalla millenaria storia. Quando l’artista coglie le ragioni endogene delle barene, e si lascia sedurre da quegli affioramenti terresti, sorge così il preludio a un’interazione impegnativa fisicamente e mentalmente, e quelle tele, dis-tese a registrare ogni evento, coinvolgono tutti i sensi pronti a stupirsi di fronte alle diverse evoluzioni.

Ogni gesto dell’artista assurge dei segni, anche i mattoni rossi che trattengono alla superficie il tessuto lasciano traccia di quel pigmento, e Baffo ne segue l’anamorfico destino, anzi interviene con estrema parsimonia su quei colori giacché da soli così capaci di generare un epifanico stupore. In realtà si tratta di opere pittoriche ma nel modus operandi narrano la performance e nella documentazione video/fotografica divengono Land Art.

Questa trasversale intenzione dà all’opera d’arte una genesi, un’ulteriore storia, e si fa rivelazione ed evento. In conclusione, possiamo testimoniare che queste opere non rappresentano Venezia, esse sono dipinte e impastate dalla sua morfologia lagunare. Ed è per questa unicità che l’artista ne conserva il valore, il sofisticato connotato estetico-filosofico in armonia con le sensibili cromie fatte di filamenti indaco, di tracce verdi, di macchie azzurre, di debordanti bianchi, di materia grigia e informe. E quei rossi così intensi e audaci nell’integrarne il calore, l’accoglienza, l’intrepidezza e la drammaturgia tanto da rammentare l’originario legame di questa terra con altre culture ed altri popoli di cui Venezia docet.

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