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LEONI PER AGNELLI | UNA STORIA AMERICANA

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Tredici anni fa, il film di Robert Redford sull’America distrutta dal conflitto

Pare passato davvero tanto tempo dal periodo più sanguinoso delle guerre al terrore.
Il cinema ha cercato di parlare in molti modi diversi di quel periodo storico, e quasi tutti i tentativi sono stati frustrati da un’accoglienza a dir poco fredda da parte di un pubblico, restio a fare autocritica e ad accettare la realtà delle cose.

Leoni per Agnelli, uscito il 20 dicembre 2007, arrivò in un momento in cui tra Iraq e Afghanistan, si consumava l’ennesimo massacro. Un dramma che il film di Robert Redford mostrava come qualcosa di più di due guerre difficili e sanguinose.

Tre storie, tre diversi punti di vista sull’America

L’iter narrativo era diviso in tre parti. Vedevamo la triste fine di due Rangers, due ex studenti arruolatisi per coerenza con le proprie idee, uccisi dai talebani dopo un lungo assedio nella neve.

Quello scontro era parte di una nuova offensiva voluta dall’ambizioso e cinico senatore Jasper Irving, a cui Tom Cruise donò fascino e astuzia, messe però a dura prova dalla cocciuta giornalista Janine Roth (una grande Meryl Streep). Intanto il Professor Malley (Robert Redford) alle prese con la cinica disperazione di uno dei suo migliori studenti, interpretato da Andrew Garfield.

Meryl Streep, Robert Redford e Tom Cruise sul set di Leoni per Agnelli

Tre trame, intrecciate tra loro, al tempo in cui l’America era guidata da George W. Bush. Era la stessa America della violazione continua dei Diritti Umani e della privacy, delle torture, di una strategia militare confusa e contraddittoria.

Il tutto, mentre la stampa invece di assolvere al suo ruolo di cane da guardia della democrazia, sosteneva ciecamente un potere politico sempre più amorale, eversivo. Intanto, un’altra generazione di giovani era mandata al massacro senza un perché, come capitato ai loro padri nel maledetto Vietnam.

Leoni Per Agnelli ci mostrava un paese in profonda crisi d’identità

Robert Redford, basandosi su una bella sceneggiatura di Matthew Michael Carnahan, ci guidò con Leoni per Agnelli, dentro un momento storico e culturale assolutamente terribile.

Per chi si ricorda quegli anni, l’America era preda di un atteggiamento di profonda chiusura e aggressività, verso il mondo arabo, l’Islam, ma soprattutto verso il dissenso, che veniva equiparato al tradimento.
Redford vide con anni di anticipo, l’emergere di una politica di destra populista, ignorante e spietata, rappresentata dal Senatore Irving.

In Leoni per Agnelli questi era un uomo che mandava a morte i soldati per puro tornaconto personale, che usava fake news e retorica per non prendersi alcuna responsabilità; il film fu quindi un’accusa alla cultura militarista e machista americana.

La stessa che oggi stiamo “salutando” con la sconfitta di Trump, ma che era sopravvissuta tranquillamente anche durante i due mandati di Obama. L’America non riesce a dire che ha sbagliato, non riesce a cambiare rotta, ad andare oltre un mondo di puro egoismo auto-riferito. Questo il punto fondamentale del film di Robert Redford.

Leoni per Agnelli: una sferzante critica generazionale

Il regista però si prese le sue responsabilità, mise sul banco degli imputati la sua generazione, quella che aveva fatto il ’68, che si era spesa contro il Vietnam, spinto per la controcultura, per rinnovare le fondamenta di un paese che però li aveva o sconfitti o convertiti.

Questa conversione era nel menefreghismo e aziendalismo del capo del Network di Janine, un ex dissidente liberale di sinistra, diventato un semplice ingranaggio della macchina mediatica e di potere del momento.

Mancanza di idealismo e di impegno civile. Ecco la spiegazione offertaci da Redford in Leoni per Agnelli. Qualcosa che un certo conservatorismo, yuppie e spietato, era riuscito ad insinuare nella società americana, un egoismo avvolto in una mancanza di coscienza politica, impegno civile.

L’egocentrismo era diventato la nuova religione moderna, assistito da una sfiducia generale verso il “sistema”, l’incapacità di vedere oltre se stessi, la propria esistenza, il proprio paese. Il patriottismo era diventato una maschera con cui coprire l’arrivismo, il materialismo, l’ignoranza.

Leoni per Agnelli fu un film scomodo per il pubblico americano

Derek Luke e Michael Pena sono due Rangers in Leoni per Agnelli


Anche le nuove generazioni furono messe sotto accusa da Redford. Ragazzi e ragazze che passavano il tempo a sprecare il loro tempo, mentre intanto i loro coetanei morivano in Medio Oriente.

Leoni per Agnelli a tredici anni di distanza ha mantenuto intatto il suo potere rivelatore, il suo carico ingombrante di verità scomoda per un paese che ha invece sempre preferito parlare di quel periodo, di quegli orrori disseminati per il mondo, attraverso la glorificazione del pro patria mori.

Da American Sniper a Lone Survivor, da Zero Dark Thirty a 12 Strong, l’unica cosa che l’America ha sempre accettato, è stato di creare di nuovo una narrazione, in cui essere i “buoni”, al limite delle vittime inconsapevoli.

Non lo erano, non lo sono, non lo saranno mai, perché ripetono gli stessi errori, perché pensano che l’America sia tutto il mondo, mentre intanto mandano generazione dopo generazione a morire in piccoli inferni di cui neppure sanno bene il nome.

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Giulio Zoppello

Redattore

Padovano, classe '85, con un passato di allenatore di pallavolo. Inviato e critico cinematografico per diverse testate on-line, creatore e curatore della pagina sportiva l'Attimo Vincente.

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