Covid-19: i DPCM e la limitazione della libertà personale

DPCM sulle limitazioni della libertà personale causa Covid-19. Il Tribunale di Roma con una recente Sentenza, dopo una attenta disamina, ha concluso nel ritenere illegittimi i decreti emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri. L’anno 2020 che si è appena concluso sarà ricordato per due motivi: il primo riguarda il coronavirus, che ha creato e […]

Gennaio 2021
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DPCM sulle limitazioni della libertà personale causa Covid-19.

DPCM sulle limitazioni della libertà personale causa Covid-19.

Il Tribunale di Roma con una recente Sentenza, dopo una attenta disamina, ha concluso nel ritenere illegittimi i decreti emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’anno 2020 che si è appena concluso sarà ricordato per due motivi: il primo riguarda il coronavirus, che ha creato e continua a creare enormi disagi e disastri, oltre a provocare la morte di migliaia di persone, il secondo concerne le conferenze stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte.

Il governo appena diffusa la notizia della diffusione del coronavirus in Italia si è attivato adottando tutte le misure con l’intento da un alto di proteggere la popolazione, dall’altro di evitare il rischio default. Le misure adottare dall’attuale governo però sono passate tutte tramite l’adozione di decreti a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri cd. DPCM (Decreti del Presidente dei Consiglio dei Ministri).

Il primo DPCM risale al 31/01/2020 con il quale è stato dichiarato lo stato di emergenza: questo decreto, se pur adottato senza alcun interpello degli organi competenti, in assenza di qualsivoglia delega, è stato oggetto della pronuncia da parte del Tribunale di Roma.

Prima di affrontare ed esporre la disamina fatta dal Tribunale di Roma, che per i non addetti ai lavori può sembrare aulica, bisogna porre l’attenzione su una data molto importante: il 24/02/2020.

Il DPCM del 24/02/2020 dipinge il Nord Italia di rosso.

Non tutti ricorderanno che il 24/02/2020 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha adottato un decreto con il quale, per la prima volta in tutta la storia italiana, ha disposto per la Regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, il divieto di ogni spostamento delle persone fisiche sia in entrata e in uscita dai suddetti territori, sia all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute.

Il colore rosso che inizialmente ha colorato solo il Nord Italia, il 09/03/2020 ha ricoperto l’Italia intera e, i divieti che inizialmente riguardavano solo i soggetti dei suindicati territori, si sono estesi a tutti gli italiani.

Il divieto di spostamento vs l’inviolabilità della libertà personale.

I divieti adottati dal Governo mediante decreti e le indicazioni dei motivi che consentono di derogare a questi divieti, si traducono di fatto nella limitazione della libertà personale.

Art. 13 Costituzione recita: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.”

La libertà personale rappresenta il diritto fondamentale più importante, tutelato anche a livello comunitario, l’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo dispone cheogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza“.

La norma contenuta nella Costituzione è di chiara e facile interpretazione, il primo precetto sancisce l’inviolabilità della libertà personale, il secondo invece prevede la possibilità di restrizione della libertà personale, ma, nei soli casi e modi previsti dalla legge.

Richiamando le restrizioni imposte dal Governo mediante l’adozione e l’emanazione di decreti del P.d.C., appare naturale domandarsi se le limitazioni della libertà personale sono da considerarsi valide e rispettano il dettato normativo costituzionale.

Prima di tutto è necessario evidenziare che l’articolo in questione individua tre garanzie: la prima riguarda la riserva di legge assoluta, ovvero la competenza esclusiva della legislazione ordinaria a disciplinare l’inviolabilità della libertà personale, la seconda, concerne la riserva di giurisdizione, dato che solo l’autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi, la terza, prevede l’obbligo di motivazione, il quale deve necessariamente accompagnare ogni provvedimento restrittivo della libertà personale. Detto questo appare doveroso chiedersi quale valenza giuridica hanno i DPCM.

Le fonti del diritto in Italia.

Le fonti del diritto sono quegli atti che producono, modificano o abrogano norme giuridiche. Esse si distinguono in fonti primarie tra le quali rientrano:

1) costituzione e leggi costituzionali;

2) leggi e atti aventi forza di legge decreti legge decreti legislativi, e, fonti secondarie

3) regolamenti.

Si nota sin da subito che tra le fonti primarie del diritto non sono menzionati i DPCM, tantomeno questi rientrano nella categoria degli atti avente forza di legge, quindi non resta che affermare i DPCM sono atti di natura amministrativa e non normativa.

La valenza amministrativa dei predetti decreti comporta quindi la loro inefficacia nella limitazione della libertà persona, in quanto, quest’ultima può essere limitata solo nei casi e nei modi previsti dalla legge, il Governo sia pur in ritardo ha corretto il tiro, infatti recentemente, prima delle festività natalizie ha adottato un decreto-legge per imporre le restrizioni alla libertà personale.

Il casus belli del Tribunale di Roma.

Il Tribunale di Roma con una recente Sentenza ha affrontato la questione della validità giuridica dei DPCM partendo da un punto diverso rispetto a quello della limitazione della libertà personale.

La questione nasce perché il giudice è stato chiamato a esprimersi su una contenzioso che riguardava un esercizio commerciale che rischiava lo sfratto dall’immobile per morosità.

Per il Giudice non è il virus in sé a causare problemi alle attività commerciali, quanto la legislazione emanata per contenere la pandemia. Legislazione che, per il giudice, è gravata da “molteplici profili di illegittimità”.

Il giudice ritiene che il DPCM è un puro atto amministrativo, anche se a “legittimarlo” è un atto che invece ha forza di legge. Nella ordinanza viene detto che, le restrizioni alle libertà personali devono avere un altro passaggio in Parlamento prima di poter essere approvate.

Insomma per il togato in questione si stanno violando gli articoli che vanno dal 13 al 22 della Costituzione, oltre alla disciplina dell’articolo 77 della Costituzione, che recita quanto segue: “il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”.

Conclusioni.

I DPCM hanno natura amministrativa, non rientrano nella categoria degli atti aventi forza di legge, ha sancirlo ciò è stato anche il Tribunale di Roma.

La pronuncia dell’autorità giudiziaria sicuramente potrà creare un precedente con effetti prorompenti nei contenziosi inerenti gli sfratti commerciali per morosità ma non può in alcun modo rappresentare e costituire una dichiarazione di incostituzionalità dei DPCM che, se pur “illegittimi”, continuano a produrre i loro effetti giuridici in quanto vanno considerati fonti di produzione.

Per poter dichiarare l’incostituzionalità dei DPCM è necessario che si pronunci la Corte Costituzionale, quale organo competente e legittimato a verificare l’eventuale contrasto dei predetti decreti con le disposizioni della Costituzione.

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