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La riforma del Processo Penale è Legge

La riforma del Processo Penale è Legge

Riforma Codice penale: più consensi o più critiche?

Il 14 giugno 2017 la Camera dei Deputati ha approvato, in via definitiva, la legge di riforma del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario.

La riforma introduce una nuova causa estintiva dei reati. Modifica il regime della prescrizione ed inasprisce il trattamento sanzionatorio per i reati di furto, rapina e scambio elettorale politico-mafioso, ma andiamo con ordine.

Estinzione dei reati a seguito di condotte riparatorie

La Legge prevedere che nei reati perseguibili a querela di parte il giudice potrà dichiarare l’estinzione del reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato abbia riparato interamente il danno con le restituzioni o il risarcimento ed abbia eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Inasprimento di pene per alcuni reati contro il patrimonio

E’ previsto l’aumento dei minimi edittali delle pene detentive e un aumento delle pene pecuniarie per i reati di:

  • furto in abitazione e scippo (art. 624-bis c.p.);
  • rapina (art. 628), oltre ad una serie di modifiche in tema di circostanze aggravanti;
  • reato di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.), che sarà punito con la reclusione da 6 a 12 anni.

Fino a questo punto, tutto potrebbe sembrare “normale”, con l’inserimento di modifiche di diritto penale sostanziale, condivisibili, anche se non appieno.

Ma il punto dolente, la ferita che ha fatto alzare i toni del dibattito politico ed istituzionale soprattutto tra gli avvocati con l’Unione delle Camere Penali che, da marzo 2017 a giugno 2017, ha indetto una serie di agitazioni con astensioni dalle udienze penali, è quello della prescrizione.

Prescrizione

La nuova legge ne allunga i termini sostanzialmente per cercare di impedire che scatti troppo presto. Il guaio è che in questo modo i tempi già molto ampi dei processi, secondo gli avvocati penalisti, si allungheranno ulteriormente danneggiando il diritto dell’imputato a essere giudicato in tempi ragionevoli (diritto riconosciuto, ad esempio, anche dall’articolo 111 della Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo), ma anche dall’Unione Europea che ha più volte condannato l’Italia per via dei tempi “biblici” che si hanno nei procedimenti sia penali che civili.

Comunque, materialmente, i tempi di prescrizione saranno allungati istituendo due periodi durante i quali il suo decorso sarà sospeso:

  • fra la sentenza di primo grado e quella di appello, per un massimo di 18 mesi;
  • e fra quella di appello e di Cassazione, per lo stesso periodo di tempo.

In pratica, da quando sarà introdotta la legge, la prescrizione potrà scattare fino a 3 anni più tardi rispetto ad oggi, per effetto dei due nuovi periodi.

Ovviamente come sopra accennato, le critiche sono piovute da diverse parti: c’è chi sostiene che la maggior parte dei processi che finiscono in prescrizione sia attribuibile ad un problema organizzativo dei Tribunali ma, anche e soprattutto, delle Procure della Repubblica.

Se da un lato i Tribunali hanno problemi di organico e non riescono a smaltire il carico lavorativo, per via dell’assenza di personale, dall’altro, secondo un dato statistico, la maggior parte dei procedimenti matura la prescrizione quando si trova in fase di indagini.

Altri addirittura sostengono che si sarebbe potuta “cancellare” la prescrizione dopo la sentenza di primo grado dato che il procedimento viene di fatto perseguito dal condannato che decide di fare appello (tesi questa non condivisibile poiché il nostro ordinamento prevede all’art. 570 c.p.p. la possibilità dell’impugnazione, anche da parte dello stesso Pubblico Ministero).

Rimane il fatto che sicuramente sarebbero stati opportuni dei correttivi diversi da quelli adottati per questo tema molto delicato.

Un altro provvedimento piuttosto controverso, soprattutto per l’opposizione dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), che l’ha definito “contraddittorio e irrazionale”, è quello che dà tre mesi di tempo al magistrato, alla fine delle indagini preliminari, per decidere se chiedere l’archiviazione o incriminare i sospettati (anche se è possibile chiedere una proroga per altri tre mesi).

Al momento, il termine di durata massima delle indagini a norma dell’art. 407 c.p.p. non può essere superiore a diciotto mesi (ventiquattro per reati di particolare gravità), pertanto il termine di durata delle indagini è di sei mesi prorogabili altre due volte.

ANM sostiene, in sostanza, che questa norma metta fretta al magistrato. Il Presidente di ANM «vede procure generali inadeguate, inadatte, ingolfate», quindi sostanzialmente incapaci di prendere una decisione su un’indagine, magari delicata, nella metà del tempo prevista dalla legge attuale.

In conclusione, come si è visto, questa Legge viene criticata a 360 gradi da lati contrapposti tra loro, sia dall’avvocatura che dalla magistratura e sia dallo stesso mondo politico ed istituzionale. Come si dice “chi inizia bene è a metà dell’opera…” ma non sembra questo il caso.

Leggi anche: Le nuove fattispecie di reato introdotte nel Codice Penale

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