Crediti UTP: un business per pochi fondi d’investimento

Crediti UTP: oligopolio nella finanza? L’acronimo UTP sta per Unlikely To Pay cioè inadempienze probabili. In parole molto semplici, si tratta di quei crediti la cui riscossione integrale risulta difficile o quasi improbabile a causa della insolvenza del debitore. La categoria dei crediti UTP è di recente creazione. In epoca antecedente nel sistema bancario, il […]

Agosto 2018
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Crediti UTP: oligopolio nella finanza?

Crediti UTP: oligopolio nella finanza?

L’acronimo UTP sta per Unlikely To Pay cioè inadempienze probabili. In parole molto semplici, si tratta di quei crediti la cui riscossione integrale risulta difficile o quasi improbabile a causa della insolvenza del debitore.

La categoria dei crediti UTP è di recente creazione. In epoca antecedente nel sistema bancario, il credito divenuto inesigibile era classificato come N.P.L., cioè Non Performing Loans, credito non performante tradotto letteralmente.

Tale tipologia di credito viene tutt’oggi chiamato “sofferenza”: la banca sa di non poter incassare le somme vantante nei confronti del debitore, quindi considera tale credito come una sofferenza, una perdita da iscrivere a bilancio; salvo che riesca ad ammortizzare la perdita attraverso il recupero coatto del credito, sia pur in minima parte.

Il crescente numero dei crediti NPL e le pesanti perdite registrate a bilancio da parte della banche italiane, che hanno portato alla crisi del sistema bancario italiano e non solo, ha acceso un ampio dibattito sul tema da parte della Commissione Europea della BCE.

Per risolvere l’annoso problema sono state poste in essere delle misure che in concreto non hanno portato grandi cambiamenti. Quindi, dopo una attenta analisi, si è deciso di intervenire al cuore del problema, da qui la nascita degli UTP.

Attraverso la nascita degli UTP si cerca di risolvere la situazione di stallo del debitore prima che sia troppo tardi, cedendo il credito a fondi d’investimento, spesso stranieri, riducendo così al minimo la perdita.

L’attuale valore degli UTP delle banche italiane ammonta nel 2017 ad € 94 miliardi, cifra da capogiro, che dovrebbe far tremare il mondo come uno tsunami, invece nessuno sembra prendersene cura.

Proprio in questi giorni, le banche italiane stanno cedendo una partita di UTP per un valore pari ad € 100 miliardi. Ma a quale prezzo?

La risposta all’interrogativo resta al momento un rebus. I fondi d’investimento prima di prezzare i crediti si affidano a società di consulenza che effettuano la Due Diligence, e solo dopo aver ricevuto il report finale, in sede di trattativa comunicano la loro offerta.

Indubbiamente questo tipo di operazioni porta nelle casse delle banche un flusso notevole di liquidità, svuota i bilanci delle stesse di crediti problematici ma riduce in maniera esponenziale il proprio portafoglio clienti e di conseguenza la capacità produttiva.

L’investitore che acquista i crediti UTP sostanzialmente ci guadagna: paga un credito ad un prezzo sicuramente inferiore al reale valore, acquista le garanzie connesse al credito, nella maggior parte dei casi si tratta di garanzie reali quindi immobili, e ingloba nel proprio portafogli nuova clientela.

Questo tipo di business coinvolge solo pochi fondi d’investimento.

Quindi resta un mercato quasi inaccessibile, e all’orizzonte non si intravede alcuna riforma che consenta alla banche di evitare la svendita del proprio portafogli; tutto ciò per evitare che il prezzo delle cessioni possa essere oggetto di “asta” se ad accedere a questo mercato non fossero i soliti big.

Se si continua su questa strada ben presto a governare le banche italiane saranno gli stessi fondi d’investimento che oggi acquistano i crediti delle banche italiane.

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