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Dichiarazione infedele: no frode no reato

Dichiarazione infedele: no frode no reato

Revisione del sistema penale tributario e dichiarazione infedele.

All’indomani dell’approvazione del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, significative sono le novità introdotte all’impianto di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 con l’obiettivo di calibrare opportunamente il rischio penale e limitarlo ai fatti di frode o assimilabili alla frode.

In tale prospettiva, nella tipizzazione del reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, sono state elevate le soglie quantitative di punibilità e stabilita l’irrilevanza penale delle questioni meramente valutative. In particolare, il nuovo comma 1-bis dell’art. 4 stabilisce che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si debba tenere conto della:

  • errata classificazione;
  • valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali;
  • violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza;
  • della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali.

 Dichiarazione infedele: che sia il preludio della depenalizzazione della fattispecie?

CONTROLLI “A TAVOLINO”: L’AVVISO ANTE TEMPUS E’ VALIDO SE ACCERTA LE DIRETTE. Diversamente dalle verifiche compiute presso la sede del contribuente, in caso di indagini a tavolino l’Amministrazione non è obbligata redigere alcun processo verbale di chiusura.

In caso di tributicd. non armonizzati, può notificare l’eventuale avviso di accertamento al contribuente anche prima del decorso dei sessanta giorni previsti dallo Statuto dei diritti del contribuente. E’ questo il principio sancito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 24823 dello scorso 9 dicembre.

Innestandosi nel solco tracciato dalla sentenza n. 18184 del 29 luglio 2013 – con la quale è stato chiarito che “l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento (…) determina di per sé (…) la illegittimità dell’atto impositivo …” –  con la sentenza in esame Giudici di piazza Cavour hanno esteso l’operatività del precetto, esclusivamente, agli accertamenti derivanti da verifiche “a tavolino” relative a tributi armonizzati (purché, in giudizio, il contribuente enunci le ragioni che avrebbero potuto farsi valere in contraddittorio).

Secondo la Suprema Corte, dunque, mentre per i tributi armonizzati (iva, accise, dogane) l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale troverebbe fondamento nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per quelli cd. “non armonizzati” (imposte dirette), non vi sarebbe analoga copertura legislativa.

Leggi anche: La coattività nel sistema tributario canonico

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