Michele Mari: La stanza vuota, i mostri e la spirale infinita

Michele Mari racconta la sua ossessione. Michele Mari è il poeta contemporaneo dell’ossessione. Un’ossessione delicata, certo, che spaventa e ferisce solo chi la prova… Ma pur sempre un’ossessione. Michele Mari è l’autore di Cento poesie d’amore a Ladyhawke, una raccolta del 2007 che già nel titolo racchiude il seme di questo suo lungo indugiare su […]

Ottobre 2020
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Michele Mari racconta la sua ossessione.

Michele Mari racconta la sua ossessione.

Michele Mari è il poeta contemporaneo dell’ossessione. Un’ossessione delicata, certo, che spaventa e ferisce solo chi la prova… Ma pur sempre un’ossessione. Michele Mari è l’autore di Cento poesie d’amore a Ladyhawke, una raccolta del 2007 che già nel titolo racchiude il seme di questo suo lungo indugiare su pensieri d’amore ricorrenti.

È chiaro il rimando a Ladyhawke, fortunata pellicola del 1985 con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer: la “signora falco” del film è proprio una donna costretta da una maledizione a trasformarsi in un falco appena sorge il sole, per tornare a rivestire i panni umani solo durante la notte.

Il suo amato, al contrario, è condannato a essere lupo di notte e uomo di giorno. Il sortilegio ha chiaramente lo scopo di separare i due amanti, creando tra loro l’impossibilità di comunicare pur essendo così vicini da potersi toccare.

Nella testa di un poeta.

Dedicare cento poesie a Ladyhawke significa quindi bussare a una porta che non può aprirsi, forse perché la persona che si trova dall’altra parte non vuole sentire o perché non è in grado di ricambiare l’ardore di colui che la chiama. O magari perché semplicemente non esiste e vive solo nella mente del poeta. E questo Michele Mari lo sa bene, eppure non può fare a meno di scrivere centinaia di lettere d’amore nel corso delle sue lunghe giornate, delle notti insonni, dei mesi e degli anni che passano.

Nella mia testa
c’è sempre stata una stanza vuota per te
quante volte ci ho portato dei fiori
quante volte l’ho difesa dai mostri
Adesso ci abito io
e i mostri sono entrati con me

Nella mente del poeta c’è sempre stata una stanza per Ladyhawke, una stanza vuota in attesa di essere riempita da quella presenza tanto agognata. Non è un caso se nel nostro immaginario certi aneliti dell’anima sono sempre chiusi in un luogo che li protegge: come un sogno che sappiamo essere irrealizzabile e che però non riusciamo a lasciare andare, al punto da metterlo infine in un cassetto.

Quante volte l'ho difesa dai mostri.

Chi sono i mostri di Michele Mari?

Forse vengono dalla sua stessa voce, che gli sussurra di chiudere per sempre a chiave la stanza e lasciarla scomparire nella memoria. Forse sono nel tempo che cancella le tracce di Ladyhawke, sbiadendo il profumo di lei sul cuscino. Forse la verità è che quella stanza è sempre rimasta vuota, conservata per qualcuno che non esiste. Così la solitudine ha creato i mostri, e i mostri hanno cominciato a battere sulla porta per prendere dominio dei pensieri. Forse l’ospite della stanza è andata via.

Michele Mari e Oscar Wilde.

Ora il poeta è padrone della sua testa, ha dimenticato tutte le illusioni di un amore senza speranza. Ma questo significa che la mente è sola con se stessa: alla fine le ragnatele hanno riempito gli angoli, la polvere ha steso un velo sul pavimento e i fiori sono ingialliti lentamente fino ad appassire. Al centro della stanza, il poeta siede nel buio circondato dai mostri.

Sarà un paragone audace, ma l’immagine mi ha ricordato un passo del Gigante egoista di Oscar Wilde:

"La Primavera ha dimenticato questo giardino" esclamarono, "cosicché noi potremo viverci tutto l'anno". La Neve coprì l'erba con il suo grande mantello bianco, e il Gelo dipinse d'argento tutti gli alberi. Quindi invitarono il Vento del Nord a stare con loro, ed egli venne. Era avvolto in una pelliccia, e ruggì dal mattino alla sera nel giardino, e abbatté i comignoli. "
Questo è un posto piacevolissimo", disse, "dobbiamo invitare la Grandine". E la Grandine arrivò. Ogni giorno per tre ore questa crepitò sul tetto del castello finché non ebbe rotto la maggior parte delle tegole, e allora si mise a correre senza mai fermarsi intorno al giardino, più forte che poteva. 
Era vestita di grigio, e il suo alito era di ghiaccio. "Non capisco proprio come mai la Primavera tardi così tanto ad arrivare", disse il Gigante Egoista guardando dalla finestra il suo giardino freddo e coperto di neve, "spero che il tempo possa cambiare presto".

Nella fiaba di Wilde il gigante non si rende conto che è proprio l’egoismo a tenere lontana la Primavera della sua vita, consegnando il giardino alla mercé dell’inverno mentre il resto del mondo fiorisce. La sorte di Michele Mari è ancora più fatale, poiché qui l’unica colpa del poeta è racchiusa nell’ossessione: è lei a tenere la mente prigioniera di quella stanza, ma senza di lei l’esistenza del poeta non ha senso.

Se non ci fosse stata una stanza in primo luogo, se non ci fosse stata la ricerca di Ladyhawke… Allora lui non sarebbe un poeta. Così il destino di certe menti, e di certi amori, è di vivere con i mostri.

Se queste parole di Michele Mari fossero un quadro, credo che sarebbero scritte tra le curve di una grande spirale: ripetute senza fine, vorticanti in un limbo di pensieri e rimpianti che si stringe sempre più.

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