Nagorno Karabakh: L’Italia tra due fuochi

I nuovi scontri tra Armenia e Azerbaigian nel Nagorno Karabakh rischiano di intaccare anche gli interessi dell’Italia. Baku infatti vanta non poche partnership commerciali con il nostro Paese di cui è il primo fornitore di petrolio, particolare che influirà inevitabilmente sulla posizione italiana, dopo la recrudescenza del conflitto nel Caucaso meridionale. Il Belpaese, tuttavia, deve […]

Ottobre 2020
5 Mins Read
30 Views
I nuovi scontri tra Armenia e Azerbaigian nel Nagorno Karabakh rischiano di intaccare anche gli interessi dell’Italia.

I nuovi scontri tra Armenia e Azerbaigian nel Nagorno Karabakh rischiano di intaccare anche gli interessi dell’Italia.

Baku infatti vanta non poche partnership commerciali con il nostro Paese di cui è il primo fornitore di petrolio, particolare che influirà inevitabilmente sulla posizione italiana, dopo la recrudescenza del conflitto nel Caucaso meridionale.

Il Belpaese, tuttavia, deve fare i conti con una storia che la lega sul piano morale al popolo armeno, da sempre vittima di violenze e conflitti crudi e violentissimi. Sul piatto della bilancia, però, gli interessi economici potrebbero avere un peso maggiore rispetto ai tradizionali rapporti storico-culturali tra l’Italia e l’Armenia, a dispetto della fitta presenza di aziende italiane nel Paese.

Economia e storia cozzano, proprio in un momento in cui il governo tricolore dovrà in qualche modo mostrare da che parte stare tra le due ex Repubbliche sovietiche impegnate in una grave escalation del conflitto per la contesa del Nagorno Karabakh, già andato in scena dopo la disgregazione dell’URSS, ma mai sopito del tutto.

Per ora, sul solco della strategia delle relazioni estere dei nostri governi, l’Italia non ha preso una posizione netta, unendosi alla voce dell’Europa che auspica una gestione politica e diplomatica della crisi.

Da Paese non autonomo a livello energetico, sembra difficile che l’Italia possa condannare fermamente l’aggressione militare messa in atto dall’Azerbaigian nei confronti della popolazione civile della Repubblica dell’Artsakh, mai riconosciuta a livello internazionale per via di una situazione socio-politica del tutto peculiare, che ricorda spesso i territori palestinesi posti sotto il dominio neocolonialista israeliano.

Italia e Azerbaigian.

“L’Italia è un Paese strategico per l’Azerbaigian ed ha una memoria istituzionale sul conflitto. Il rapporto è biunivoco, perché l’Italia conserva in Azerbaigian interessi vitali per la propria economia” ha confermato l’ambasciatore azero in Italia, Ahmadzada.

Lo stesso ha aggiunto un dettaglio strategico militare molto importante: “L’Armenia ha avviato le sue operazioni militari a luglio nel distretto sul confine armeno-azero di Tovuz, il territorio interessato dai progetti di infrastrutture per l’energia, non a caso pochi mesi prima dell’entrata in funzione del Corridoio Meridionale del Gas (CMG). Yerevan persegue un disegno chiaro, ostacolare questi progetti energetici così importanti per l’Europa e, di conseguenza, per l’Italia”.

Non va neppure dimenticato un fattore determinante: a livello geografico e politico il Nagorno Karabakh appartiene all’Azerbaigian, ma dopo la prima parte del conflitto, conclusasi nel 1994, quelle terre sono abitate dagli armeni che hanno fondato la Repubblica separatista, come detto non riconosciuta sul piano internazionale, dell’Artsakh.

Tra le campane che suonano ai ritmi imposti dalle due fazioni, è rimasto inascoltato persino l’appello della Russia che aveva chiesto alla Turchia di lavorare per arrivare a un cessate il fuoco nella regione.

Per tutta risposta Fahrettin Altun, responsabile della Comunicazione del presidente turco Erdogan, in un tweet ha dichiarato che Ankara è “completamente pronta” ad aiutare l’Azerbaigian a riprendersi quella lingua di terra che formalmente le appartiene ma che è abitata dalla comunità locale di etnia armena.

Pare che stiano addirittura reclutando combattenti islamisti appositamente per questo conflitto.

L’esatto contrario di ciò che era stato chiesto da Mosca, storica alleata di Yerevan, che con il portavoce di Vladimir Putin, Dmitrij Peskov, aveva chiesto “a tutti i Paesi di fare il possibile per convincere le parti belligeranti a cessare il fuoco e ricercare una soluzione pacifica a questo lungo conflitto con metodi politico-diplomatici”.

Detto questo, l’offensiva di domenica scorsa porta la firma di Baku, con bombardamenti anche su obiettivi civili, secondo quanto denunciato dalla controparte, in un rincorrersi di notizie sempre frammentarie e di difficile lettura in Paesi nei quali la libertà di stampa non gode certo di grande considerazione.

Dovessimo basarci sui rapporti economico-clientelari, effettivamente l’Italia potrebbe strizzare più di un solo occhio al presidente azero Aliyev. Ne va della qualità di vita nel Belpaese.

Come dimenticare però gli ottimi rapporti con l’Armenia che si perdono nel tempo?

La comunità azera in Italia non ha numeri importanti. Diverso il discorso per quella armena, a causa della diaspora seguita all’atroce genocidio del 1915.

Per non parlare delle numerose influenze culturali che si possono trovare in giro per il Belpaese, testimoni indelebili della grande amicizia tra i due popoli: basti pensare ai moltissimi santi patroni armeni (San Gregorio Illuminatore, San Biagio, San Miniato e così via) “adottati” da città italiane, o che il primo libro in lingua armena fu stampato proprio nel centro-Italia, nel 1512.

Storia, ma non solo: i rapporti tra Italia e Armenia sono anche economici, sebbene non paragonabili ai volumi espressi a livello energetico con l’Azerbaigian; attualmente in Armenia sono presenti più di 170 imprese con partecipazione a capitale italiano. Il crescente interesse dell’imprenditoria italiana, attraverso gli investimenti effettuati recentemente, guarda principalmente ai settori del tessile, della ceramica e dell’energia.

Negli ultimi due anni il fatturato commerciale “made in Italy” in Armenia è aumentato quasi del 30%, includendo persino gli ultimi terribili mesi affetti dalla pandemia. I fili che legano il popolo italiano e quello armeno sono forti e profondi sin dai tempi dell’indipendenza dall’Urss, tanto che non c’è voluto alcuno sforzo diplomatico particolare per stabilire ottimi rapporti interstatali.

Lo stesso governo armeno ha apprezzato l’equilibrio mantenuto dall’Italia nel conflitto per il Nagorno Karabakh, sia nella sua prima fase di quasi trent’anni fa, che nell’attuale recrudescenza.

Il Caucaso resta un terreno di interesse economico di larga scala e per questo il conflitto viene monitorato attentamente dalla comunità internazionale, cercando di rispettare i vincoli e i rapporti di forza delle grandi potenze regionali: la Turchia da una parte, in totale appoggio a Baku, al di là delle vecchie questioni del genocidio armeno di oltre un secolo fa, e la Russia dall’altra, vicina a Yerevan.

Nella striscia di terra tra il mar Caspio e il mar Nero scorre la sopravvivenza energetica dell’Europa: petrolio e gas.

Dal TAP (i più attenti lo ricorderanno, al centro del dibattito politico di qualche anno fa), che dall’Azerbaigian arriva in Italia attraverso la Puglia, al Cmg, senza dimenticare l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan che, nel suo percorso, “dribbla” proprio l’ortodossa Armenia e lo sciita Iran, Paesi non graditi alle forze sunnite di Baku e Ankara.

Punto dirimente è capire come dietro il conflitto azero-armeno si nasconda, inquietante, l’ambiguità del rapporto russo-turco, che emerge in diverse aree del mondo. I due ex imperi, infatti, si trovano sul campo anche in Siria e Libia. Il Caucaso del sud diventa dunque il terzo “fronte” di questo rapporto complesso che si basa soprattutto sulle relazioni personali tra i due autocrati, Erdoğan e Vladimir Putin.

Complici o rivali? Un po’ l’uno e un po’ l’altro, chiaramente, ma sempre attenti a non diventare nemici. Resta forte però la sensazione che, al di là della posizione che assumerà la Farnesina, la soluzione o il proseguimento del conflitto nel Nagorno Karabakh passi più da Putin ed Erdoğan che da Yerevan e Baku.

Leggi anche: Guerra in Libia: cause e rischi di uno scontro assurdo

Exit mobile version