Nisargadatta: luce eccelsa della spiritualità moderna
Sri Nisargadatta Maharaj. Seppur stia diventando sempre più conosciuto ed apprezzato, Sri Nisargadatta Maharaj rimane per molti, anche nell’ambito della ricerca spirituale, un personaggio ostico e poco abbordabile. Questo fatto è dovuto al suo particolare insegnamento non duale che non scende a compromessi. Il maestro indiano, morto nel settembre del 1981, è infatti una delle […]
Sri Nisargadatta Maharaj.
Seppur stia diventando sempre più conosciuto ed apprezzato, Sri Nisargadatta Maharaj rimane per molti, anche nell’ambito della ricerca spirituale, un personaggio ostico e poco abbordabile. Questo fatto è dovuto al suo particolare insegnamento non duale che non scende a compromessi. Il maestro indiano, morto nel settembre del 1981, è infatti una delle luci più grandi ed eccelse appartenente alla corrente del “Vedanta non duale” (Advaita Vedanta).
Il monismo assoluto dell’Advaita in effetti, è per lo meno avvicinabile con l’intelletto, dopo aver sondato varie e più semplici teorie spirituali. Secondo questa alta metafisica, il nostro mondo è una sorta di gioco di specchi illusorio, denominato “Maya” nella tradizioni Indù. La Maya cosmica, così per dire, rappresenterebbe una sorta di velo opaco e fumoso che si interpone tra noi e la vera realtà assoluta, chiamata Parabrahman.
Il Parabrahman sarebbe la “Luce delle Luci” ipotizzata dagli gnostici che, oltre ogni possibile rappresentazione mentale, al di là di ogni esperienza mistica, superiore ad ogni dimensione spazio-temporale, rappresenterebbe “L’Assoluto innominabile” il quale, proprio perché “Divinità senza ombra alcuna” e nessuna contrapposizione interna, non è abbordabile dalla semplice coscienza ego naturale.
Nisargadatta possedeva una istruzione accademica elementare e non conosceva neanche l’inglese, cosa che costringeva il saggio indiano ad usufruire di un traduttore durante i suoi dialoghi con i numerosi discepoli ed interessati riuniti nella sua piccola casa per ascoltare la fonte imperitura della sua sacra saggezza.
A primo acchito, le parole del saggio Indù sono sconcertanti e spiazzano sicuramente l’apparato mentale del cercatore, soprattutto se di origini occidentali.
Il pensiero logico dell’occidente infatti è molto realista e Cartesiano – per così dire – e si basa essenzialmente sul binomio “causa ed effetto”. La mente moderna inoltre esige prove scientifiche esatte e non accetta a priori le speculazioni astratte della metafisica pura. Così, affermazioni come “voi credete che siete nel corpo e nel mondo, ma in realtà il mondo e il corpo sono in voi”, urtano subito contro la logica consueta.
Nisargadatta pone quindi l’essere umano, o meglio la sua essenza spirituale più profonda, chiamata “Atman”, al centro dell’universo.
Esteriormente l’uomo è una sorta di burattino in mano alle forze della natura denominate “Guna”. I guna sono tradizionalmente tre: Tamas (inerzia, opacità, oscurità), Rajas, (passione, calore, desiderio) e Sattva (luminosità, armonia, beatitudine). Però, essendo della stessa natura fondamentale del Parabrahman, l’essere umano per tal fatto è immortale, mai nato e quindi che mai morirà.
“Nessuno nasce e nessuno muore”.
Secondo l’ottica di Nisargadatta quindi, l’universo e la vita spettacolare che in esso brulica, sarebbe solo un sogno onirico del Parabrahman e dell’Atman stesso, una sorta di palcoscenico in cui noi tutti interpretiamo diversi ruoli, in base al Karma personale di ognuno.
A volte Nisargadatta definisce il suo insegnamento come “Atman yoga”, specificando che il suo metodo didattico mira essenzialmente solo al risveglio della particella spirituale latente nel cuore degli uomini, chiamata rosa dai Rosacroce e denominato “fior di loto” dai Buddisti. Di sfuggita facciamo notare che tali idee dell’illusorietà del mondo e della vita che in esso si sviluppa, ogni tanto sono apparse anche in occidente.
Calderon de la Barca (drammaturgo spagnolo del seicento) nella sua opera “La vita è sogno”, indica velatamente idee vedantine, così come Honorè de Balzac nella famosa “Commedia umana”, già nel titolo specifica come l’uomo reciti una parte durante tutto il lasso della sua vita.
L’opera più famosa di Nisargadatta si intitola “Io sono quello”, che rimanda alla famosa affermazione della tradizione indiana TAT TVAM ASI (Tu sei quello). Per “quello” si intende propriamente l’Atman e per riflesso, essendo questo la particella divina in noi, al Parabrahman già citato precedentemente.
La filosofia di Nisargadatta – se possiamo ancora chiamarla “filosofia” – è quindi luminosa senza ombra alcuna, frizzante, positiva al massimo grado; estremamente salutare per i ricercatori spirituali, almeno per coloro orientati seriamente nel tentativo di svelare il mistero della propria esistenza.
I suoi dialoghi sono rivolti però, non a un pubblico medio di ricercatori ma ad individui con una certa preparazione interiore ed un grado di sviluppo animico già abbastanza maturo. Nisargadatta, durante la sua vita non si rivolgeva alle masse, assetate di concetti più semplici ed abbordabili, cosa questa che lo rende meno conosciuto di altri “Maestri” più o meno alla moda.
Per terminare questo breve ed incompleto articolo sul saggio vedantitno, nell’incitare i lettori ad approfondire il suo pensiero, citeremo a caso qualcuna delle sue frasi in apparenza sibilline ma che se comprese col giusto spirito indagatore, apriranno spiragli di indagine inaspettati, seppur inusuali.
Sri Nisargadatta Maharaj: “Tutte le vostre immaginazioni su voi stessi e Dio non sono destinate a durare. Anche se nessuno ha l’esperienza della morte, la sua paura perseguita tutti”.
“La coscienza, che è infinitesimale, contiene tutto l’universo, sia nello stato di veglia che nel sogno”.
“Non siete il corpo, siete la coscienza che dimora nel corpo. Grazie ad essa, avete la consapevolezza “io sono”. E’ senza parole. E’ puro essere. E’ l’anima del mondo. Quindi, siete la coscienza.”
“Rammentatevi “io non sono il corpo” e rendete stabile questa certezza. Quello è il segno del vero ricercatore”.
“La sicurezza di sapere tante cose è ignoranza. Se questo è chiaro, parlare o restare in silenzio non fa nessuna differenza”.
“In realtà, la persona che afferma di aver compreso o non compreso non siete voi. Chi ha la conoscenza di che cosa siamo, e di come lo siamo, non critica più nessuno.”
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