Jiddu Krishnamurti: antiguru per eccellenza
Jiddu Krishnamurti. Sono solo pochi decenni che Jiddu Krishnamurti ha lasciato il corpo fisico, ma la sua influenza nel mondo invece di diminuire, cresce a vista d’occhio. Il maestro indiano – che proprio non amava sentirsi chiamare “maestro” -, ha impiegato la sua vita nel cercar di dialogare in modo equo, con migliaia di persone. […]
Jiddu Krishnamurti.
Sono solo pochi decenni che Jiddu Krishnamurti ha lasciato il corpo fisico, ma la sua influenza nel mondo invece di diminuire, cresce a vista d’occhio. Il maestro indiano – che proprio non amava sentirsi chiamare “maestro” -, ha impiegato la sua vita nel cercar di dialogare in modo equo, con migliaia di persone. Il suo insegnamento lineare è semplice da capire, dopo un attento sforzo di riuscirci, ma altrettanto lontano dalle normali capacità di assimilazione delle persone medie.
Jiddu Krishnamurti aborriva ogni tipo di coercizione e autorità, ogni tradizione, ogni dogma, ogni tipo di teoria politica o religiosa, ogni tradizione basata sulla ripetizione di testi sacri. Secondo lui, la verità è una terra senza sentieri ed ognuno, personalmente e da solo, può avvicinarla dopo un attenta analisi della vita interiore propria, oltre all’indagine che questa crea nella società esteriore. Potremmo definirlo “l’antiguru per eccellenza”, poiché soprattutto le varie figure di guru importate dall’oriente, tendeva a sminuire in quanto inutili, se non dannose, nell’arduo cammino verso la verità.
Il Jiddu, in tutta la sua vita di oratore, è sempre stato coerente con il suo modo di esprimersi, mantenendo lineare e immutabile il suo pensiero fino alla morte. Fondamento del suo modo rivoluzionarie di vedere le cose, è il ritenere un ostacolo il normale uso della mente, quindi il considerare il pensiero l’ostacolo primo ad una vita pienamente sbocciata in seno alla realtà. Secondo Krishnamurti, è il pensiero la causa di tutti i disordini sociali a cui assistiamo oggi, poiché in eterno proietta esperienze del passato in un ipotetico futuro, schivando perpetuamente il presente, che diventa così fuggevole e non vissuto.
L’indagine dettagliate proposta da Krishnamurti, è quella proprio di questa caratteristica fondamentale della mente, così tortuosa ed illogica in quasi tutti gli esseri umani.
Questo uso sconsiderato della mente infatti, avvelena ogni rapporto. Singolare la sua affermazione che i vari rapporti umani, siano questi di coppia, di amicizia o quant’altro, si basano su scambi che avvengono tra immagini: ognuno di noi possiede svariate immagini della moglie, del marito, del figlio o l’amico, consolidate dalle esperienze passate registrate nella mente. In un rapporto umano, non si è mai liberi di queste immagini, e nell’interagire con qualcuno, non è il nostro nucleo psichico più profondo che per l’appunto entra in gioco, ma le varie immagini immagazzinate nell’io. Quindi si vive sempre in astrazioni, non si è mai in rapporto con nessuno.
Conseguenza di ciò, l’uomo nell’essenza è un solitario, rinchiuso nel suo io mentale che filtra ogni esperienza dando il colore di qualcosa di già conosciuto. Altra cosa è l’esser soli: secondo Krishnamurti, è inevitabile, se si abbandona ogni autorità, divenir soli. Questo esser soli però è creativo poiché sfocia al di là del tempo, e rende l’essere che l’esperisce, compassionevole e pieno di amore verso gli altri e la creazione.
I libri che parlano del suo singolare insegnamento, sono per lo più trascrizioni dei suoi discorsi.
Pochi sono i testi da lui scritti di propria mano. In quest’ultimi, oltre ad approfondire i concetti soliti a lui cari, Krishnamurti introduce nel testo, descrizioni poetiche di paesaggi naturali, ad indicare quanto la sua coscienza espansa fosse sensibile, non solo ai problemi dei suoi simili, ma alla natura tutta. A differenza di altri saggi illuminati – quale ad esempio Nisargadatta – che negano in ultima analisi la realtà del mondo concreto, Krishnamurti era molto attento a quello che gli girava intorno.
Secondo lui, l’unica azione reale ed efficace per creare una rivoluzione incisiva nel mondo, è quella della soppressione dell’io, unica causa dei disordini sociali in cui il mondo stesso si trova nell’impasse. Ma come attuare questa famosa morte mistica dell’io?
Con l’attenta analisi dell’io stesso, non fatta dall’io, ma dal senso critico innato della mente, che deve in modo indefesso, osservare i suoi moti più intimi, per poi trascendersi ed andare quindi oltre la stessa mente. Krishnamurti nella sua lunga vita è sempre stato pronto al dialogo: professori, scienziati, psicologhi sono stati i suoi compagni di viaggio, ma anche gente sconosciuta.
Puntava molto sul fatto che il nazionalismo è la base di ogni disordine: se io mi reputo inglese od americano, per forza di cosa entro in contrasto con chi si ritiene italiano o tedesco. E così anche per le varie etichette religiose che tutti hanno: se sono cristiano o induista, sono in contrasto con chi è islamico o buddista. In questo momento storico in cui le tensioni mondiali sono all’apice del non senso, sarebbe bene riflettere sulle idee di Krishnamurti, così limpide e semplici, tanto da sembrare un utopia.
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