Silenzio interiore nello Yoga: Antara Mauna

Antara Mauna: il Silenzio interiore. Il silenzio delle labbra, delle mani e anche di tutto il nostro corpo immobile non implica automaticamente la sospensione di quel rumore di fondo interiore che ci assorda. IL SUONO INIZIALE, IL SUONO METAFISICO NON E’ QUELLO PRODOTTO DA SOFFIO, PERCUSSIONE O SFREGAMENTO, NON E’ UDIBILE TRAMITE L’ORECCHIO, EPPURE E’ […]

Agosto 2021
4 Mins Read
91 Views
Antara Mauna: il Silenzio interiore.

Antara Mauna: il Silenzio interiore.

Il silenzio delle labbra, delle mani e anche di tutto il nostro corpo immobile non implica automaticamente la sospensione di quel rumore di fondo interiore che ci assorda.

IL SUONO INIZIALE, IL SUONO METAFISICO NON E’ QUELLO PRODOTTO DA SOFFIO, PERCUSSIONE O SFREGAMENTO, NON E’ UDIBILE TRAMITE L’ORECCHIO, EPPURE E’ CUSTODITO NELLA CAMERA SEGRETA DEL CUORE.

Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, tanto sosteneva con impeccabile rigore logico Wittgenstein nel suo Tractatus logico-philosophicus e quello del silenzio è un mistero che gli esseri umani non cessano d’indagare.

Nella tradizione dello yoga, al silenzio è riservato un posto tanto importante quanto quello riservato alla parola. Ma tutto ciò non è contraddittorio. Silenzio e parola sono entrambi orientati verso un’unica meta: la liberazione dai vincoli (Moksa) che impediscono all’individuo di vedere la vera essenza delle cose.

Questo percorso non è univoco ma si dirama attraverso diversi sentieri e la disciplina dello yoga indica una pluralità di percorsi che tiene però conto delle plurime inclinazioni e differenze di temperamento degli esseri umani.

Tutti i sentieri tendono ad un’unica meta, ossia liberare l’individuo da quei legami che gli impediscono di percepire se stesso come goccia che, solo rinunciando alla sua illusoria singolarità, potrà sciogliersi in un oceano di beatitudine.

Nādayoga, lo yoga del suono, mantrayoga, lo yoga della parola e jňānayoga, lo yoga della conoscenza sono tutti sentieri in cui la parola, articolata in diversi modi, si offre come strumento di liberazione. Ciò che è noto alla disciplina Yoga da sempre, alle soglie del XX secolo, diviene un elemento significativo della metodologia psicoanalitica.

Carl Gustav Jung e la sua idea dell’esistenza di un “inconscio collettivo” richiamano concezioni presenti da millenni nel pensiero Yoga. Il silenzio della mente è il punto d’arrivo di tutto un percorso contraddistinto dall’ininterrotta ripetizione della parola, è superamento del dicibile.

Antara mauna: il Silenzio interiore consiste in una delle pratiche tenute in maggior considerazione nell’ambito dello yoga tradizionale. Il suo obiettivo è quello di condurre il praticante, attraverso gradi di crescente impegno, a una condizione, appunto, interiore di silenzio.

Satyananda, in un suo fondamentale testo, sostiene che esiste una condizione senza la quale nessun silenzio interiore può realizzarsi: essa consiste, necessariamente, nell’arresto del continuo flusso di pensieri e di turbolenze emotive e dal loro allontanamento della mente.

Se non riusciamo a cogliere la radicalità di questa affermazione rischiamo di cadere in un errore interpretativo, ossia intendere il silenzio cui Satyananda si riferisce come qualcosa di relativo, che acquieta e silenzia le turbolenze mentali e non già come l’assoluto allontanamento dalla nostra mente di tutto il rumore dei pensieri e delle emozioni.

Patañjali, nello Yoga Sūtra definisce lo yoga come un metodo che tende al definitivo “arresto del vorticoso flusso delle modificazioni della coscienza”. Satyananda e Patañjali affermano, quindi, a distanza di diversi secoli, il medesimo concetto con parole non dissimili.

E’ oggettivamente difficile riuscire a pensare il silenzio o il vuoto mentale ed è naturalmente comprensibile che molti restino perplessi di fronte alla paradossalità di tali concetti.

QUELL'UOMO CHE SE NE VA LIBERO DA QUALSIASI DESIDERIO O BRAMA, SENZA PIU’ ALCUN SENSO DELL’”IO” E DEL “MIO”, QUELLO OTTIENE LA PACE. Bhagavadgītā.

Quello che differenzia la specie umana rispetto alle altre consiste proprio nella “facoltà di parola”. Nominando il mondo, l’essere umano se lo rappresenta e lo conosce, assegnando un nome a ciascuna cosa prende possesso della realtà da cui è circondato e delle infinite cose che la costituiscono.

Comunemente se pensiamo al silenzio tendiamo ad associarlo alla semplice interruzione del flusso delle parole, al tacere, a quei pochi momenti di pausa e di quiete che riusciamo a strappare al frastuono che ci circonda. Ed è proprio con l’accettazione del silenzio, da parte di chi pratica yoga, che inizia davvero il lungo e intenso cammino che conduce al cuore dello yoga stesso.

Patañjali identifica lo yoga con il raggiungimento di una condizione straordinaria, l’arresto definitivo delle modificazioni mentali, in quanto lo yoga può realizzarsi solo quando ogni modificazione della mente viene bloccata. La realizzazione dello yoga è possibile solo grazie al definitivo svuotamento mentale, che è la condizione indispensabile per sperimentare “il suono senza suono del silenzio interiore”. 

Esistono sei stadi nella pratica di antara mauna, che prevedono un impegno via via crescente, lungo un percorso di perfezionamento.

Chi pratica yoga, una volta ottenuto il silenzio interiore lo attraverserà avendo come punto di riferimento il suo simbolo (un’unica immagine da contemplare, senza che nient’altro occupi il vuoto mentale finalmente raggiunto) allo stesso modo in cui il navigante, contando sulla luce di un faro, attraversa l’oceano infinito.

E’ molto difficile descrivere con le parole questa avventura che si può vivere attraverso la pratica yoga.

Il silenzio deve custodire, secondo la tradizione yogica, alcune tra le cose che hanno importanza fondamentale nella vita di chi lo pratica; lo yogin dovrebbe vivere il presente, libero sia dall’ansia per ciò che non è ancora, quanto dall’ossessione di ciò che è stato.

Sviluppando questa attitudine la nostra mente diventerà sempre più silenziosa. Forse ci può aiutare a comprenderne l’esatto senso la metafora di quella goccia che, nella rinuncia alla propria singolarità, finalmente si scioglie in un immenso oceano di beatitudine, divenendo con esso un tutt’uno.

Questo fondersi con il Tutto è ciò che viene chiamato samādhi, apice del percorso yogico, apice di antara mauna.

CON LA CESSAZIONE DELL'IDEA DEL SE’ E DI CIO’ CHE APPARTIENE AL SE’ SI PONE TERMINE ALL'IDEA DI “IO” E DI “MIO”. Mūlamadhyamakakārikā.

Leggi anche: La dottrina dello Yoga arcaico

Exit mobile version