Crisi degli enti lirici non monumento

Crisi Enti Lirici pubblici. La crisi sempre più marcata degli Enti lirici pubblici, circa cui la richiesta di Commissariamento del Teatro Regio di Torino è una cartina di Tornasole da non sottovalutare, merita un approfondimento che non si lega solo all’eventuale cattiva gestione degli stessi o alla scarsità dei mezzi pubblici oggi disponibili per sostenerli. […]

Giugno 2020
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Crisi Enti Lirici pubblici.

Crisi Enti Lirici pubblici.

La crisi sempre più marcata degli Enti lirici pubblici, circa cui la richiesta di Commissariamento del Teatro Regio di Torino è una cartina di Tornasole da non sottovalutare, merita un approfondimento che non si lega solo all’eventuale cattiva gestione degli stessi o alla scarsità dei mezzi pubblici oggi disponibili per sostenerli.

Occorre chiaramente domandarsi: ha ancora senso oggi investire decine, centinaia di milioni pubblici per produrre in modo sovrabbondante costosissimi melodrammi lirici legati in molti casi a gusti desueti che ormai distano da noi da un secolo e mezzo e due secoli? 

Non vorremmo che sia un po’ come se ci si fosse instestarditi a continuare a produrre carrozze, pur meravigliose, per decenni mentre l’automobile prendeva possesso del mercato dei Trasporti.

Ché, alla fin fine, puoi metterci tutti i soldi pubblici che vuoi ma se i fruitori dei Teatri lirici sono limitati in gran parte a soggetti facenti parte della terza età o che sporadicamente si fanno vedere in quei contesti per motivi di immagine legati al presenziare un Prima… è un problema!

In Istituzioni-monumento (me ce ne sono una o due per Nazione) come il Festspielhaus di Bayreuth o la stessa Scala di Milano la questione è diversa in quanto la valenza storica del contenitore prevale su altre logiche di contenuto ma guardate che (e lo dice un pianista classico, pur dilettante, come il sottoscritto) resistere per ore, per esempio, ai Maestri Cantori di Norimberga di Richard Wagner senza avere dei mancamenti non è da tutti e, specialmente, lo è difficilmente per le generazioni odierne sempre più attirate dall’immediatezza della suggestione emotiva, anche artistica.

Una cosa sono le “arie” meravigliose prodotte da Verdi, Rossini, Puccini ma anche, allora, di Andrew LIoyd Webber o Leonard Bernstein (Maestri compositori del Dopoguerra che non si trovano praticamente mai nei Calendari se non a Londra o New York), un’altra cosa è assistere all’esecuzione di un’opera completa. Un pubblico pagante cifre sostenute e numeroso, frequenterà il teatro lirico se sarà in grado di far ascoltare loro i capolavori di ogni tipo ed epoca, non solo quelli legati al gusto tardo-romantico e verista.

Finché l’opera lirica si rapportava al gusto corrente, il compito della sua riproduzione aveva un senso, in quanto sostenuto da una tradizione capace di suggerire risorse interpretative in uso. Allontanandosi dal momento della sua creazione, l’opera lirica ha attivato il processo di storicizzazione con il progressivo aumentare del divario fra il gusto corrente e quello dell’epoca che le ha viste nascere.

Su questo bisognerà riflettere, e molto, prima di spendere tanti, troppi fondi pubblici a sostegno degli Enti lirici “non-monumento”, che andranno riformati non solo sulla base della governance ma anche nella Direzione artistica delle scelte da proporre nei Calendari. A costo di fantasticare in modo “sacrilego”… se a Torino avessimo David Gilmour o Stefano Bollani come Direttore del Regio probabilmente i problemi si scioglierebbero in un amen.

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