Filippine: Rodrigo Duterte come Hitler

Gli squadroni della morte che terrorizzano Manila. Una mattanza senza fine. E’ la politica che il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte sta conducendo nello stato insulare del profondo est asiatico contro i tossicodipendenti. Un problema, quello della droga nelle Filippine, che stava raggiungendo dimensioni spaventose e che per questo, secondo Rodrigo Duterte, andava estirpato senza […]

Aprile 2018
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Filippine: Rodrigo Duterte come Hitler

Gli squadroni della morte che terrorizzano Manila.

Una mattanza senza fine. E’ la politica che il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte sta conducendo nello stato insulare del profondo est asiatico contro i tossicodipendenti.

Un problema, quello della droga nelle Filippine, che stava raggiungendo dimensioni spaventose e che per questo, secondo Rodrigo Duterte, andava estirpato senza badare ai mezzi utilizzati.

Dal giugno 2016 il clima di terrore che ha avvolto la capitale Manila continua a crescere proporzionalmente al numero delle vittime cadute sotto i colpi della polizia o di mercenari senza scrupoli, che agiscono a volto coperto con irruzioni violente ed operazioni squadriste.

Gli omicidi nella capitale delle Filippine.

Rodrigo Duterte ha dichiarato guerra alla droga ma in realtà sta agendo indistintamente contro la fascia di popolazione più debole ed indifesa che vive nei bassifondi di Manila, con esecuzioni sommarie prive di ogni riscontro sull’effettivo utilizzo di sostanze stupefacenti.

Alcuni testimoni hanno raccontato di uomini col volto coperto da maschere che hanno ucciso a sangue freddo, entrando nelle case dei sospettati e di agenti di polizia i quali, dopo aver ucciso i civili, hanno lasciato vicino ai cadaveri munizioni, droga e armi per simulare l’esistenza di prove a loro carico.

Oltre agli omicidi in strada, le organizzazioni umanitarie hanno raccolto numerosi riscontri circa la morte di sospettati presi in custodia dalla polizia “archiviati” poi come “morti sotto inchiesta” o come “cadaveri ritrovati”.

Secondo il report della Human Rights Watch (HRW) “Licenza di uccidere”, il ruolo del presidente Duterte in questi omicidi lo rende mandante di fatto di migliaia di omicidi, perpetrati in spregio alle più elementari norme del giusto processo, per la verità già poco avvezze all’ordinamento repubblicano filippino.

Dunque una “guerra ai poveri” mascherata da guerra alla droga, che Duterte sta portando avanti per lenire le gravi disuguaglianze economiche che affliggono il suo Paese.

Rodrigo Duterte.

Tutto ciò suona ancora più strano se si pensa al background di questo leader, un autentico outsider della politica, di umili origini, che ha acquisito progressivamente consensi a suon di discorsi demagogici, in cui si è autoproclamato quale “castigatore”, paragonandosi ad Hitler.

Non una crociata contro la droga (che nemmeno lontanamente giustificherebbe simili metodi) ma contro i poveri, incapaci di rivendicare le proprie ragioni di fronte all’autorità dello Stato e della polizia, che sta assumendo sempre più i caratteri dello squadrismo di strada.

Lo scorso 24 febbraio circa un migliaio di fedeli cattolici hanno marciato lungo le vie di Manila per protestare contro la sanguinosa (e, a questo punto, presunta) guerra al narcotraffico intrapresa dal governo del presidente ed i suoi piani per istituire ex novo la pena capitale nel Paese.

La manifestazione si e’ tenuta all’indomani di una serie di proteste di studenti universitari scesi in piazza a Manila ed in altri distretti provinciali, in occasione del trentaduesimo anniversario del “People Power”, la rivoluzione che portò alla fine della dittatura di Ferdinand Marcos e al suo esilio. Il popolo filippino conta circa 105 milioni di abitanti, gran parte dei quali è di fede cattolica.

Nonostante il vasto consenso di cui la campagna contro i narcotrafficanti gode nell’opinione pubblica filippina, alcuni settori della Chiesa hanno manifestato con voce crescente il loro disappunto verso le violenze e le uccisioni, arrivando ad offrire asilo ai tossicodipendenti per sottrarli alle forze governative e ai gruppi violenti cui sono imputate molte delle uccisioni extra-giudiziali.

Le accuse di crimini contro l’umanità.

La Corte Penale Internazionale ha informato le autorità delle Filippine di aver intrapreso l’analisi preliminare di accuse di crimini contro l’umanità mosse al presidente, a seguito della denuncia depositata da un coraggioso legale filippino a carico di Rodrigo Duterte e di undici funzionari statali.

Dal canto suo, il “giustiziere” si è dichiarato disponibile a confrontarsi a quattrocchi con il procuratore nazionale e di essere stanco di simili minacce, dicendosi pronto a “marcire in prigione” per salvare i suoi concittadini dal crimine e dalla piaga sociale della tossicodipendenza.

I numeri ufficiali parlano di circa quattromila filippini uccisi a quasi due anni dall’inizio di questa assurda mattanza anche se alcuni media locali sostengono che le vittime siano oltre diecimila, a causa dello spadroneggiare di gruppi di vigilanti pro-governativi privi di qualunque forma di controllo.

Inoltre la principale oppositrice del regime, la senatrice Leila de Lima, è in stato di detenzione.

Alcuni mesi fa Duterte ha rincarato la dose, annunciando ai filippini l’intenzione di dichiarare un governo rivoluzionario sino alla scadenza della legislatura, per consentirgli di completare la sua operazione e di arrestare oppositori e gruppi armati che dovessero tentare di destabilizzare il suo governo.

L’attivismo di Duterte segue la pubblicazione, alla fine del mese di settembre, di sondaggi di opinione che fotografano un calo del suo consenso ai minimi dalla sua elezione, nel giugno 2016. La guerra diplomatica con le organizzazioni umanitarie internazionali potrebbe però avere anche risvolti in campo economico.

“Da questo momento sono pronto a rinunciare alle relazioni diplomatiche con tutti i paesi europei”, ha tuonato il presidente filippino, aggiungendo che il paese potrebbe decidere di rinunciare alle importazioni dall’Europa, optando per alternative prodotte altrove.

Un vero e proprio tsunami politico ed economico che potrebbe esplodere da un momento all’altro in uno Stato già provato da crisi finanziarie ed umanitarie in seguito alle calamità naturali. Red

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