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Centrali nucleari: abbandono in Italia

Centrali Nucleari: disamina completa.

Centrali Nucleari: disamina completa.

Da anni ormai si dibatte sulle cause, su quanto realmente accaduto e sulle conseguenze attese e verificatesi effettivamente nel corso degli eventi incidentali, o considerati tali, avvenuti nelle centrali nucleari di Tree Mile Island, Chernobyl e Fukushima. Ritengo pertanto opportuno fornirne una breve descrizione oggettiva, anche perché, specialmente in seguito agli accadimenti di Chernobyl e di Fukushima, è stata fornita al cittadino un’informazione non solo sbagliata ma terroristica sui disastri.

Ciò ha portato ad un generale rifiuto nell’accettazione del nucleare nel nostro Paese ma, per onestà, andrebbe fornita un’informazione corretta, partendo da una breve disamina riguardo le modalità utilizzate dai mass media e dal mondo politico nell’affrontare l’argomento e sulle conseguenze del loro atteggiamento. La catastrofe di Chernobyl del 1986 provocò, ovviamente, nel pubblico non specializzato e non solo del nostro Paese, una reazione di rifiuto verso la produzione energetica mediante la fissione dell’atomo, anche perché nessuno dei mezzi di informazione chiarì che non si era trattato di un incidente ma di un pazzesco esperimento.

Mentre però negli altri Paesi si cercò di diffondere un’informazione corretta e la comunità scientifica si dimostrò compatta e seria nei confronti della classe politica, in Italia ciò non avvenne ed i politici, in seguito agli esiti scontati di un referendum popolare, impostarono una nuova politica energetica dirottandola verso una diffusione massiccia del gas naturale. Venne così imposta una moratoria di cinque anni, che poi sono diventati trentatré, nell’utilizzo delle quattro centrali nucleari di cui disponevamo  – Trino Vercellese in Piemonte, Caorso in Emilia, Latina nel Lazio e Sessa Aurunca sul Garigliano in Campania.

Per quanto riguarda il referendum, d’altra parte, va sottolineato che esso non metteva in questione la produzione energetica tramite fissione nucleare (la quale non poteva essere oggetto di quesito referendario, in quanto l’Art. 75 della Costituzione vieta esplicitamente di sottoporre a quesito referendario materie frutto di accordi internazionali. Il motivo per cui non abbiamo votato per l’adozione dell’euro!), ma proponeva tre quesiti piuttosto nebulosi e di difficile comprensione anche per gli addetti ai lavori.

Tali quesiti, in effetti, riguardavano:

  1. l’abrogazione delle norme che consentivano al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso non lo avessero fatto le Regioni nei tempi previsti;
  2. l’abrogazione dei compensi ai Comuni che accettavano i grandi insediamenti energetici nucleari o a carbone;
  3. l’abrogazione della norma che consentiva all’ENEL di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero.

Questo nonostante la prima Conferenza Nazionale sull’Energia avesse raccomandato il contrario e nonostante l’allora Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, avesse rassicurato la Comunità Europea sul non abbandono della produzione elettrica per mezzo dell’energia nucleare da parte dell’Italia. Anche dopo l’evento di Fukushima, dove su 30.000 morti solo tre sono avvenuti nelle centrali e nessuno per le radiazioni, è stato promosso un referendum, scritto così male che, prendendolo alla lettera, permetterebbe la riapertura delle centrali.

Inoltre, per correttezza, i mass media ed i politici dovrebbero mostrare al cittadino l’impatto sanitario ed ambientale di tutte le fonti energetiche, non demonizzando il nucleare a prescindere. Va anche sottolineato che la moratoria non ha portato ad eliminare dal mix energetico utilizzato dall’Italia l’energia elettrica prodotta per mezzo della fissione, ma l’ha trasformata in un prodotto di importazione! Ma analizziamo brevemente quanto effettivamente accaduto nei tre eventi suddetti.

Tree Mile Island.

Il 28 marzo del 1979, il blocco di una valvola del circuito di refrigerazione secondario del 2° reattore, provocò la mancanza di alimentazione ai generatori di vapore. Questo causò la fermata del circuito primario di raffreddamento del nocciolo con un conseguente aumento di pressione che portò al conseguente blocco della valvola di sicurezza, cosa che causò l’arresto di emergenza ed il conseguente inserimento delle barre di controllo (come previsto dalle norme in qualsiasi tipologia di centrale nucleare, tranne quelle RBMK come vedremo più sotto).

Il problema conseguente che causò i danni all’interno dell’impianto fu causato dalla mancata apertura della valvola di rilascio e i tecnici non se ne poterono accorgere, poiché nella strumentazione non vi era un indicatore del funzionamento della stessa. Questo causò la parziale fusione del nocciolo del reattore causando danni significativi allo stesso, rendendolo inutilizzabile, ed al rilascio di 480 PBq di gas nobili e di 740 GBq di iodio 131.

Si parlò allora del pericolo derivante dalla presenza di idrogeno, ma questo non rappresentò un problema, poiché gli addetti provvidero puntualmente ad espellerlo dal reattore tramite un meccanismo a valvola. Dopo decenni da quanto avvenuto allora, sappiamo che non vi furono conseguenze sulla popolazione.

Chernobyl.

Figlio della scelta di una tecnologia nata per fini militari in quanto adatta a produrre plutonio per testate nucleari, il reattore protagonista del drammatico incidente di Chernobyl era del tipo RBMK, acronimo dal russo Reaktor Bolshoi Moshchnosty Kanalny che significa “reattore di grande potenza a canali”.

centrale elettronucleare di Chernobyl
Vista in sezione di parte della centrale elettronucleare di Chernobyl. Nello schema è visibile il reattore, con la macchina di caricamento del combustibile, il sistema delle tubazioni, i separatori di vapore e le pompe di circolazione.

Questo tipo di reattore era impiegato solo all’interno dell’Unione Sovietica (e nel 1986 l’Ucraina ne faceva ancora parte), mentre nei Paesi satelliti dell’URSS venivano utilizzati impianti di tipo VVER (Vodo-Vodyanoy Energetichesky Reaktor) a bassa potenza, simili a quelli occidentali ad acqua pressurizzata.

Piastra superiore del reattore RBMK.
Piastra superiore del reattore RBMK.

Il reattore RBMK 1000, a tubi in pressione, moderato a grafite e refrigerato ad acqua leggera bollente, ha una potenza termica complessiva di 3200 MW termici che permettono di produrre 1000 MW elettrici. Il disaccoppiamento delle funzioni di moderatore, affidate alla grafite, da quelle del refrigerante, affidate all’acqua leggera (che, contenendo idrogeno, funge anche da assorbitore di neutroni) può generare instabilità intrinseca, nel senso che alla mancanza d’acqua si accoppia un aumento della reattività del sistema (coefficiente di vuoto positivo).

I reattori di tipo occidentale BWR (ad acqua bollente: Boiled Water Reactor) e PWR (ad acqua pressurizzata: Pressured Water Reactor) affidano invece all’acqua entrambe le funzioni (moderazione e raffreddamento), tanto che in mancanza d’acqua la reazione nucleare si arresta. L’erogatore di energia nucleare – o “nocciolo” – del reattore RBMK è costituito da un grande cilindro in blocchi di grafite che ha un diametro di 12 metri ed un’altezza di 7 metri. Nella matrice in grafite sono disposti, secondo un reticolo regolare, i canali per l’inserimento delle barre di controllo ed i canali di potenza, tubi in lega di zirconio nei quali sono contenuti gli elementi di combustibile.

Negli elementi di combustibile, costituiti da fasci di barrette cilindriche in lega di zirconio contenenti pasticche (pellets) di biossido di uranio arricchito al 2%, ha luogo la reazione di fissione a catena dell’uranio con produzione di neutroni veloci e di calore. L’acqua, spinta dalle pompe di circolazione, scorre nei canali di potenza dal basso verso l’alto alla pressione di circa 70 kg/cm2, affluendo nel nocciolo alla temperatura di 270° C.

Uscendo dal medesimo, l’acqua è inviata a quattro grandi separatori di vapore, dai quali la frazione liquida ritorna a fluire nei canali di potenza mediante le pompe di circolazione, mentre il vapore è convogliato ad azionare due gruppi turbina-alternatore da 500 MWe ciascuno. Il vapore esausto scaricato dalle turbine viene condensato e l’acqua risultante, preriscaldata, è rinviata al separatore di vapore tramite le pompe di alimento.

Quando il reattore è a regime la grafite ha una temperatura media di 600°C e punte di 700°C, valori inspiegabilmente elevati in quanto superiori alla soglia di reazione aria-carbonio e prossimi alla soglia di reazione acqua-carbonio. Le caratteristiche costruttive di questo tipo di reattore rendono possibile il ricambio degli elementi combustibili con il reattore in funzione, attraverso una gigantesca macchina di carico e scarico alta 35 metri ubicata nella hall superiore del reattore.

Tale hall è coperta da una struttura a capriata, che ovviamente non può essere considerata un sistema di contenimento. Al contrario, le centrali occidentali dispongono di un edificio di contenimento formato da strati di cemento al boro ed acciaio ed in condizione di resistere anche alla caduta di un aereo o ad un terremoto.

Quanto avvenuto nella notte fra il 25 ed il 26 aprile 1986 all’unità 4 della centrale nucleare di Chernobyl accadde nel corso di un esperimento (gli specialisti parlano infatti di “esperimento di Chernobyl”) volto a verificare la possibilità di alimentare i sistemi di sicurezza durante il rallentamento del turbogeneratore successivo al distacco dalla rete. Tale prova fu affidata ad un tecnico non specializzato. Inoltre, durante la fase sia preparatoria dell’esperimento che nel corso della sua realizzazione furono commessi numerosi errori di manovra e gravi violazioni a precise norme procedurali.

Va comunque chiarito che, malgrado gli errori di manovra e la volontà di terminare l’esperimento siano stati le cause iniziali del disastro, lo svilupparsi in maniera incontrollabile e le gravissime conseguenze di questo furono dovute alle caratteristiche di instabilità intrinseca a questa tipologia di reattore – particolarmente a bassa potenza – determinata da un elevato coefficiente positivo di reattività e dalla mancanza di un edificio di contenimento.

Il reattore era stato portato ad una situazione di massima instabilità in quanto le barre di controllo non erano nella loro posizione prescritta (cioè 6-8 barre inserite contro il numero minimo di 30 previsto); d’altra parte, in tutto il circuito di raffreddamento si erano determinate condizioni prossime alla saturazione. L’improvviso arresto di quattro pompe di circolazione nel momento di attuazione dell’esperimento determinò una produzione di vapore molto rapida e, conseguentemente, un fulmineo aumento di potenza del reattore dovuto alla sua instabilità intrinseca (coefficiente di vuoto positivo).

La produzione di vapore in alcune zone del nocciolo causò l’introduzione di una forte quantità di reattività positiva, tale da portare il reattore “pronto critico” alla rottura di alcuni canali di raffreddamento ed a far sbalzare di posizione la piastra-schermo superiore. Quest’ultimo evento, in seguito documentato dalle fotografie scattate dagli elicotteri, impedì alle barre di controllo di inserirsi e, tranciando tutti i canali di potenza, generò una nuova iniezione di reattività.

In seguito ad una serie di reazioni chimiche esplosive si verificarono distruzioni delle strutture del reattore, l’espulsione di blocchi di grafite e di pezzi di combustibile, l’innesco di una serie di incendi nell’area degli edifici di centrale e l’incendio della grafite del reattore esploso. La combustione della grafite (ne bruciò il 10%) produsse una colonna di fumo che si elevò fino a 1200 metri di quota, dove i venti, sempre presenti a quelle altezze, contribuirono a disperdere la radioattività sull’Europa.

Per quanto concerne le conseguenze sulla popolazione, i dati più attendibili sono quelli elaborati dal Chernobyl Forum, incontro internazionale promosso dall’AIEA nel 2003, cui hanno partecipato varie Agenzie delle Nazioni Unite (oltre all’AIEA, FAO, UN-OCHA, UNDP, UNEP, UNSCEAR, WHO), la Banca Mondiale, Russia, Bielorussia ed Ucraina. Questo rapporto è consultabile sul seguente sito dell’ONU

In estrema sintesi, i morti accertati nel corso degli eventi sono stati:

  • 2 lavoratori della centrale per esplosione, 1 per trombosi coronarica, 28 soccorritori nel corso del 1986 a causa delle radiazioni assorbite, 19 soccorritori per varie cause legate alle radiazioni di cui 3 per leucemia, 15 fra la popolazione maggiormente esposta per tumore alla tiroide.

Per quanto concerne le morti in eccesso presunte, ma non rilevabili statisticamente, sono:

  • liquidatori 2200 su circa 200.000, evacuati 160 su circa 116.000, popolazione presente in aree a stretto controllo 1600 su circa 270.000; infine, fra la popolazione residente a largo raggio nella zona irradiata da 37 kBq/m² in su, il numero è incerto ma valutabile in circa 5000 su 5 milioni.

Va sottolineato che, mentre per i lavoratori ed i soccorritori i dati non sono contestabili, le stime per i morti presunti, hanno subito parecchie contestazioni, in special modo dal Partito Verde europeo e da altre associazioni e gruppi ambientalisti. A prescindere dalla presunta validità dei dati presentati da questi gruppi (ovviamente, sempre basati su stime), le esagerazioni riportate da mass media e su Internet, è priva anche della minima credibilità, poiché basate solo su preconcetti e senza l’adeguato supporto di dati anche solo basati su stime. 

Concludendo, i dati accessibili sulle fonti accreditate, concernenti la radioattività attualmente presente nella zona del disastro, dimostrano l’abbassamento della stessa a livello di non pericolosità, anche se il terreno contaminato non potrà essere utilizzato per agricoltura ed allevamento, ma è in costruzione una gigantesca centrale solare attorno al nuovo sarcofago della centrale che ha coperto quello costruito dopo il disastro, costruito in acciaio ed in grado di resistere almeno cento anni.

Va anche sottolineato che gli altri 3 reattori della centrale di Chernobyl sono stati spenti nel 2000, quindi hanno continuato a funzionare fino a quell’anno. Aggiungo che, recentemente, seguendo lo spostamento dei Lupi, animali notoriamente erratici e capaci di coprire grandi distanze, i ricercatori ne hanno documentato lo spostamento anche a 300 Km dalla zona evacuata: questo ha portato alcuni “catastrofisti” a diffondere notizie (è stato fatto persino un documentario italiano!) circa Lupi radioattivi o comunque mutanti!

Fukushima.

Quanto accaduto a Fukushima, è stato causato da uno tsunami che ha provocato danni significativi.

È necessario conoscere che cosa sia uno tsunami:

  • al centro degli oceani si ergono le dorsali medio oceaniche, lunghissime catene da cui erutta continuamente nuovo magma (roccia fusa) che “spinge” sotto i continenti il fondo oceanico, fenomeno (qui descritto molto semplicemente a scopo didattico) che viene definito subduzione della litosfera (esistono anche altre modalità di subduzione, ma questo esula da quanto qui discusso).
Esempio degli immani danni causati dallo tsunami dell'11 marzo 2011.
Esempio degli immani danni causati dallo tsunami dell’11 marzo 2011.

Come nel caso dei terremoti, causati dalla dislocazione delle zolle (deriva dei continenti), spesso l’attrito fra le masse accumula energia che si libera attraverso onde d’urto. Quando l’onda d’urto si verifica sott’acqua, si forma un’onda di dimensioni rilevanti (tsunami). Come nel caso dei terremoti, sappiamo dove possono verificarsi, ma non quando. Basandosi sui dati storici elaborati statisticamente, i giapponesi avevano eretto barriere alte fino a sedici metri, l’onda è stata più alta (con altezza variabile a seconda della costa, in alcuni golfi fino 24-30 metri). Ciò ha causato un disastro significativo: 

  • il numero di morti e dispersi rasenta i 30.000, è scoppiata una diga per l’aumento improvviso della pressione, provocando la maggior parte di morti e dispersi, sono esplose due centrali turbogas, è bruciata una raffineria (ricordate il fumo nero che era possibile vedere nei telegiornali).

Nell’area della centrale di Fukushima Daiichi era stata realizzata una barriera alta 6,5 metri, l’onda di tsunami è stata di circa 14 metri; 4 reattori nucleari si trovavano su un terrapieno di 10 metri, altri 2 su un terrapieno alto 13 metri. I reattori nucleari, come previsto dal progetto, si sono spenti in 20 (venti) secondi; i reattori 4, 5 e 6 erano già spenti per manutenzione. A questo punto la circolazione dell’acqua di raffreddamento doveva essere garantita dai generatori di emergenza, alimentati da motori diesel ma quelli ubicati sotto il livello raggiunto dall’acqua sono stati resi inattivi da questa che li ha sommersi.

L'onda di tsunami colpisce la centrale.
L’onda di tsunami colpisce la centrale.

I generatori ubicati al di sopra del livello raggiunto dall’acqua hanno funzionato regolarmente, ma lo tzunami ha travolto i grandi serbatoi di gasolio, oltre a distruggere tutti i collegamenti con la rete elettrica.

I grandi serbatoi di gasolio sono stati spazzati via e spostati a decine di metri di distanza.
I grandi serbatoi di gasolio sono stati spazzati via e spostati a decine di metri di distanza.
La distruzione della rete elettrica.
La distruzione della rete elettrica.

Nei reattori 1, 2 e 3, ormai privi del raffreddamento di emergenza, la temperatura è salita fino a 900-1000 gradi e le barre di zircalloy (la lega di cui sono fatti gli elementi di combustibile contenitori del pellet radioattivo di uranio e plutonio, che continuava ad emettere prodotti di decadimento), hanno iniziato ad ossidarsi liberando grandi quantità di idrogeno. In condizioni normali l’acqua si scinde in idrogeno ed ossigeno a 3500 gradi ma, in presenza del catalizzatore zirconio, la scissione è avvenuta alla temperatura appunto di 800 gradi.

Per contenere l’aumento della pressione nel contenitore del nocciolo dei reattori i tecnici hanno deciso di liberare il vapore contenente idrogeno ed anche i prodotti di fissione più volatili. L’idrogeno è 14,4 volte più leggero dell’aria e in condizioni normali si sarebbe disperso ma in questo caso si è raccolto nella parte superiore degli edifici dei reattori, dove si è ricombinato con l’ossigeno. Come sappiamo già dai tempi del liceo, quando tale ricombinazione avviene sopra i 550 gradi, si verifica in maniera esplosiva, infatti si parla di gas tonante.

Le esplosioni che si sono verificate, sono state dunque esplosioni chimiche e non nucleari.

La parte superiore dell'edificio di uno di reattori, prima e dopo l'esplosione.
La parte superiore dell’edificio di uno di reattori, prima e dopo l’esplosione.

Questo ha portato alla distruzione della parte superiore degli edifici 1, 3 e 4 ed alla liberazione di una rube radioattiva che ha reso critica una zona di circa 22 km di diametro. La nube si è espansa sopra l’Oceano Pacifico, verso il Nord America e l’Atlantico. Il massimo registrato in Italia, misurato presso il Centro Ricerche Ambiente Marino dell’ENEA (Pozzuolo di Lerici SP), è stato di un quinto della radiazione di fondo che ci colpisce ogni giorno.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nella zona dei 22 km, gli effetti a lungo termine (neoplasie) imputabili alle dosi ricevute risultano non rilevabili rispetto alle fluttuazioni statistiche di “fondo” delle patologie oncologiche. Tra gli oltre 33mila lavoratori della centrale ed impegnati a Fukushima nei mesi successivi all’incidente, non sono stati registrati casi di sindrome acuta da radiazioni; vi è un rischio ipotetico di tiroiditi autoimmuni ed ipotiroidismo in 13 lavoratori con elevata esposizione alla tiroide; sono assenti i rischi di patologie cardiovascolari da radiazioni (forse da stress).

Ad oggi nessun caso di neoplasia imputabile a radiazioni si è verificato; tra i 174 lavoratori esposti a più di 100 mSv (il doppio di quanto è consentito in un anno dalla normativa), potrebbe esserci un rischio, ma è difficilmente correlabile. Per quanto concerne il riversamento in mare, causato in gran parte da errori della TEPCO (ossia la società che gestisce gli impianti), la quantità di liquidi radioattivi corrisponde a quella riversata ogni anno a Southampton (il cosiddetto dumping: ossia il riversamento in mare, praticato fino ad alcuni anni fa, dei liquidi di scarto provenienti dalle centrali inglesi, dalle coste della cittadina di Southampton.), ossia 60mila tonnellate di acqua.

Considerando che espressi in volume sono 60mila metri di acqua, se divisi in contenitori di 2m di altezza occuperebbero non molto di più di 3 ettari. Per confronto l’Oceano Pacifico occupa un terzo del Pianeta come superficie ed ha una profondità media di 4000 metri. Per quanto i danni nei pressi delle coste della regione di Fukushima siano stati significativi, e dove le perdite continue impediscono la pesca e l’allevamento, l’acqua radioattiva si disperde nell’oceano Pacifico; qualunque notizia di oceani contaminati e radiazione che giunge sino in America, con tonni e salmoni radioattivi è completamente falsa:

  • l’aumento di radioattività nell’oceano è trascurabile ed inferiore alla radioattività del carbonio 14 e potassio 40 naturalmente presenti in mare. Anche considerando solo la regione in prossimità delle coste della Prefettura di Fukushima, le perdite dei reattori ammontano a meno di una parte su 100mila della radioattività presente. 

È vero che alcuni reattori si sono fusi parzialmente, ma i danni, sia pur rilevantissimi, sono confinati all’interno degli impianti. In conclusione, mi sembra il caso di sottolineare che, specialmente nel caso di Fukushima, per rispondere allo stato di ansia della popolazione, addirittura di vero terrore delle radiazioni, in questo fomentata dai mass media, si sono estese le norme di sicurezza, rendendo illegali quantità di radiazioni al di sotto della soglia del pericolo, spostando forzatamente una parte della popolazione stessa.

Ciò ha causato stati di ansia tra i cittadini allontanati per lunghi periodi dalle loro abitazioni ed ha provocato malattie psicosomatiche e morti da depressione e da stress nella parte più sensibile della popolazione, ossia anziani e persone affette patologie, a causa di un meccanismo che gli psicologi definiscono da rafforzamento. Anche quanto riportato dai mass media riguardo i rifiuti delle centrali non corrisponde allo stato dell’arte, in quanto la tecnologia volta al confinamento è matura e solo per motivi politico-elettorali non è ancora stata stabilita l’ubicazione del sito nazionale in Italia.

Inoltre, le centrali autofertilizzanti, già in costruzione (la prima è stata il Superphoenix di Cres Melville, frutto di una cooperazione franco-italo-tedesca, che ha completato il suo ciclo vitale senza problemi, comunque superata come tecnologia, quelle attualmente disponibili sono raffreddate a piombo e dotate di sistemi di sicurezza basati su leggi fisiche, quindi a sicurezza intrinseca) porteranno ad una significativa riduzione dei rifiuti a più lunga emivita.

Inoltre, è in avanzata fase di realizzazione un progetto partito quando il professor Rubbia era presidente dell’ENEA, volto alla distruzione dei rifiuti restanti. Questo progetto, in estrema sintesi, prevede il “bombardamento”, effettuato con un miniacceleratore, dei rifiuti radioattivi provocando il rilascio di energia dagli stessi ed abbassandone nel contempo la radioattività. La sua realizzazione sta avvenendo nel Centro Ricerche Casaccia dell’ENEA.

Per concludere, è necessario sottolineare che, oltre a fornire una ricostruzione degli eventi perlomeno distorta, i mass media hanno portato la popolazione dei Paesi occidentali a ritenere pericoloso il nucleare ed a sottovalutare i danni sanitari ed ambientali causati dall’utilizzo massivo dei combustibili fossili che causano morti e malati accertati. In Europa, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2016 le morti causate dall’inquinamento sono state calcolate in 3, 7 milioni, la metà per il carbone. 

Leggi anche: La rinascita del nucleare nel mondo

*ETTORE RUBERTI è Ricercatore dell’ENEA, Dipartimento FSN-FISS-SNI, I suoi campi di ricerca sono l’evoluzione biologica e l’entomologia applicata. Dal ’91 si occupa anche di idrogeno come vettore energetico e di fenomeni nucleari collettivi nella materia condensata. Rappresenta l’ENEA al Forum Italiano dell’Idrogeno ed è coautore del libro bianco sull’idrogeno “Linee guida per la definizione di un piano strategico per lo sviluppo del vettore energetico idrogeno”. Dal ’97 Professore a contratto di Biologia generale e molecolare all’Università Ambrosiana. Dal 25 settembre 2012 con qualifica accademica di Licentia Docenti ad Honorem per merito di chiara fama nella disciplina. E’ Direttore del Dipartimento di Biologia ed Ecologia di UNISRITA. Ha sviluppato una nuova ipotesi sul ruolo svolto da un debole campo elettromagnetico in argille di origine magmatiche (le montmorilloniti) nella formazione delle prime macromolecole biologiche, ipotesi che sta sottoponendo a verifica sperimentale. Ha sviluppato, in collaborazione con il Rettore dell’Università Ambrosiana, un progetto di ricerca, volto l’interruzione del ciclo del Plasmodium della Malaria nella Zanzara Anopheles, attualmente in fase di realizzazione attraverso una collaborazione ENEA/Università Ambrosiana.

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Ettore Ruberti

Naturalista, giornalista scientifico. Professore di Biologia, Chimica, Fisica e Geografia fisica presso il Liceo Scientifico e Linguistico “Maroni” di Varese dal 1983 al 1989. Giornalista free lance, dal 1977, con collaborazioni con le seguenti testate: La Prealpina, Il Giorno, La Stampa, Inquinamento, Il Medico e il paziente, Oasis, Geodes, Migratori Alati, Le Scienze, Petrolieri d’Italia, Ambiente, ecc. Redattore da luglio 1988 a febbraio 1990 presso la rivista Acqua & Aria. Attualmente scrive, per conto dell’ENEA e come attività intellettuale su 21mo Secolo, MuseoEnergia, L’Eco dei Laghi, ecc. Collaborazioni con Enti ed Istituti di ricerca nel campo zoologico, in particolare inserito nel Gruppo di Lavoro Uccelli Migratori dell’Organizzazione Ricerche Ornitologiche dell’RGF dal 1978 al 2010, in cui curava anche l’informatizzazione e l’elaborazione statistica dei dati validati dall’INFS di Bologna e dall’IWT di Slimbridge. Partecipazione gratuita e svolta fuori dall’orario di lavoro, dal 2011, con la Fondazione Gianfranco Realini per la valorizzazione del territorio che si occupa di Zone Umide (paludi, canneti rivieraschi, torbiere, ecc.), in relazione alla possibile partecipazione (in collaborazione con due gruppi di lavoro dell’ENEA Casaccia) ad un progetto LIFE. Collaborazione con l’Università di Pavia, in seguito ad una richiesta ufficiale di quest’ultima all’ENEA, volta alla classificazione di Aracnidi ed Insetti. Collaborazione portata a termine. Collaborazioni con vari Editori per opere editoriali nei campi suddetti e per la referizzazioni di studi e ricerche. I campi in cui ha acquisito le maggiori competenze sono: Entomologia, Aracnologia, Erpetologia, Evoluzionismo, Gestione delle Risorse naturali, Fotografia e Cinematografia Scientifica, Microscopia (sia ottica che elettronica), oltre naturalmente all’elaborazione e gestione dell’informazione, sia a livello divulgativo che scientifico Dipendente dell’ENEA dal 9 aprile 1990, Assunto per concorso per assunzione in prova, con qualifica di giornalista scientifico (7° livello) (Gazzetta Ufficiale – IV Serie Speciale – “Concorsi ed Esami” – n. 103 del 30 dicembre 1988) approvata dal presidente dell’ENEA con delibera n. 24/89/G del 21/12/89, cui si richiedevano almeno otto anni di esperienza nei settori giornalistico scientifico e didattico (provati con ampia documentazione), con graduatoria 95/100. Assunzione divenuta a tempo indeterminato dopo sei mesi (sempre al 7° livello). Inserito nella Divisione Relazioni Esterne, sede di Milano, si è occupato di diffusione dell’informazione, con interventi anche in ambito scolastico ed universitario, organizzazione di Convegni, Conferenze, ecc., spesso ha anche coadiuvato il personale della sede, in particolare Dr. Sani, Dr. Gavagnin, Prof. Bordonali, Sig. Griffini, Dr. Valenza, Prof. De Murtas. Ha pubblicato vari articoli sulla problematica relativa agli OGM sulla rivista “AgriCulture”, aprile 2003, su Migratori alati nel 2001, 2002, 2003, 2004, su La Padania nel 2005, 21mo Secolo. Dal 1991 segue le problematiche relative allo sviluppo dell’Idrogeno come vettore energetico, per conto della Divisione Tecnologie Energetiche Avanzate, che rappresenta ufficialmente al Forum Italiano dell’Idrogeno, inserito nel Consiglio Direttivo e all’AIDIC dove, dal 1993 al 1997, era stato costituito un gruppo di lavoro “CO2: riduzione, contenimento della produzione e riuso” che ha cessato la sua attività nel 1997. Nel contesto di questo incarico ha organizzato vari Convegni e tenuto Conferenze in Italia e all’estero, ha inoltre pubblicato vari articoli su riviste Scientifico-divulgative, tra cui: un articolo interno su “Le Scienze” (edizione italiana di Scientific American) del settembre 2000: “Idrogeno: energia per il futuro” N° 385, settembre 2000, pag. 90/98; un articolo concernente il sistema idrogeno sul numero monografico del 1996 dell’Organo ufficiale degli Ingegneri della Svizzera italiana, pubblicato come Atti di un Convegno sull’argomento; un numero, quasi monografico, di “Petrolieri d’Italia”, 2001; alcuni articoli su 21mo Secolo dal 1994 al 2006; ha inoltre effettuato vari interventi su televisioni italiane e svizzere; .ha partecipato, nel l’ambito del Forum, in qualità di Docente al Corso sulla sicurezza del sistema idrogeno, tenutosi nel 2002 presso l’Istituto Superiore Antincendio dei Vigili del Fuoco, sotto l’egida del Ministero degli Interni. E’ coautore del libro bianco sull’idrogeno “Linee guida per la definizione di un piano strategico per lo sviluppo del vettore energetico idrogeno”, scritto dai membri del Forum. Ha presentato, primo in Italia, un lavoro concernente l’utilizzo di nanotubi di carbonio per l’accumulo ed il trasporto dell’idrogeno (sotto forma di poster), al SolarExpo di Verona nel dicembre 2000. Nell’ambito degli incarichi portati a termine, ha seguito, per conto del Professor Umberto Colombo, gli sviluppi delle ricerche sulla Fusione Fredda, campo in cui ha anche pubblicato alcuni articoli, ed è in corso di stampa un libro che ha scritto sull’argomento. Lavorando in questo ambito, ha acquisito una significativa conoscenza della meccanica quantistica e dei fenomeni nucleari ed elettromagnetici nella materia condensata. Per questo motivo, nel 2004 è stato eletto Membro dell’International Society For Condensed Matter Nuclear Science. E’ Autore di diverse pubblicazioni concernenti la produzione energetica per mezzo della fissione dell’atomo ed i relativi problemi legati alla sicurezza ed all’impatto ambientale. Dal giugno 1996 al giugno 2010 Ricercatore nella Divisione GEM (1996-2001) e BIOTEC (2001-2010) inserito nel Board di Direzione, anche se ha continuato a dedicare una parte del tempo (valutabile al 20% del totale) all’idrogeno. In questo ambito ha lavorato in sinergia con il Professor De Murtas, con il quale collaborava anche precedentemente. Ha pubblicato, sulla rivista Energia Ambiente e Innovazione, n° 6/1997, una monografia sull’Evoluzione Biologica, campo in cui è uno specialista. Ha sviluppato una nuova ipotesi sul ruolo svolto da un debole campo elettromagnetico in argille di origine magmatiche (le montmorilloniti) nella formazione delle prime macromolecole biologiche, ipotesi che sta sottoponendo a verifica sperimentale. In particolare, la parte sperimentale sarà sviluppata presso il laboratorio del Dr. Francesco Celani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Laboratori Nazionali di Frascati. Sta sviluppando un sistema per la riconnessione di tessuto nervoso reciso, attualmente sui Molluschi Gasteropodi Polmonati (Limax ruber), ma con l’obiettivo di applicarlo ai Vertebrati e, quindi, all’Uomo (si tenga presente che non vi è nessuna differenza rilevante fra il tessuto nervoso dei Molluschi e quello dei Vertebrati). Ha sviluppato, in collaborazione con il Prof. Brera (Rettore dell’Università Ambrosiana), un Progetto di ricerca (Progetto Against Malaria) volto all’interruzione del ciclo del Plasmodio che causa la malaria nel ciclo biologico delle Zanzare del genere Anopheles. Progetto per cui ha proposto all’ENEA una collaborazione. Insieme con il Professor De Murtas, nel 1977, ha scritto un libro sulla Biodiversità. Attualmente è impegnato ad una revisione della classificazione animale, ai livelli superiori, in relazione ai principi della Nuova Sintesi, con gli apporti derivati dalla biochimica (non cladista, di cui rifiuta la teoria, i metodi e le finalità); sta realizzando un atlante di Anatomia degli Insetti, per cui ha elaborato una nuova tecnica di lavoro. Relatore, nel 2011, di una Tesi di Laurea concernente l’utilizzo del Batterio Ralstonia detesculanense per il sequestro dei metalli pesanti. Tesi presentata presso l’Università La Sapienza di Roma da Laura Quartieri che si è laureata con un punteggio di 107/110. Tale tesi è stata in seguito oggetto di pubblicazione su una rivista della Elsevier. Dal ’97 Professore a contratto di Biologia generale e molecolare all’Università Ambrosiana. Dal 25 settembre 2012 con qualifica accademica di Licentia Docenti ad Honorem per merito di chiara fama nella disciplina. Associato alla Società Italiana di Scienze Naturali, alla Società Entomologica Italiana, alla Società Herpetologica Italica, alla Società Italiana di Fisica ed alla Società Italiana di Biologia Evoluzionistica di cui è Socio fondatore. In passato associato all’Associazione Italiana di Cinematografia Scientifica e all’Associazione Fotografi Naturalisti Italiani.

1 Comment
  1. Credo che parlare di nucleare oggi, abbia molto più senso rispetto a una fonte come il metano, infatti il metano non è affatto un energia pulita, in quanto (anche se in quantità inferiori rispetto ad altri combustibili), emette Co2 in atmosfera.

    Per quanto riguarda Chernobyl, aggiungo che il tipo di reattore, proprio per le grandi dimensioni del nocciolo, non aveva un edificio di contenimento, come nei reattori occidentali, ma solo zone compartimentate, già questo fu uno dei motivi per cui il materiale radioattivo venne proiettato a centinaia di metri oltre la centrale,causando un enorme fuoriuscita di radiazioni.
    Inoltre, l`impianto nasceva già con un grave difetto fisico, ovvero il famoso effetto del coeficente del vuoto, che in particolari condizioni si poteva sviluppare alle basse potenze, per questo vi era già all`epoca la procedura di esercizio che evidenziava un numero minimo di barre di controllo da non estrarre dal nocciolo, (sono le barre che permetto la regolazione della potenza del reattore, assorbendo neutroni). L`errore fu che durante l`esperimento per far risalire la potenza fuorono rimosse tutte le barre, sviluppando un calore talmente elevato da deformare le guide delle barre, difatti quando gli operatori si risero conto di cosa stesse accadendo, attivarono lo scram, un sistema automatico che inserisce tutte le barre di controllo del nocciolo, una sorta di spegnimento rapido, ma le barre si inerirono solo per metà, causando poi quello che tutti noi abbiamo tristemente conosciuto.

    Le mie conclusioni sono coerenti con il Dr. Ruberti, aggiungendo che è politicamente scorretto, indire un referendum a valle di un disatro, senza un analisi a 360 gradi, per fare un esempio, è come fare un referendum sull`idroelettrico a valle della strage del Vajont.,non avremo piu centrali idroelettriche? RIcordiamo che l`Italia era all`avanguardia nella ricerca e nell`esercizio degli impianti nucleari, aveva studiato e ideato con un prototipo che giace in abbandono a borgo sabotino, la fliera CIRENE, un reattore simile al CANDU, che utilizzava uranio naturale non arricchito.

    Spero di poter leggere in futuro altri articoli come questo, trattati con intelligenza senza inutili speculazioni politiche o propagandistiche.

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