Idrogeno come vettore energetico del futuro: disamina completa

Idrogeno: prefazione Oggi illustriamo lo stato dell’arte sulle tecnologie di produzione, trasporto e stoccaggio dell’idrogeno. Concluderemo con una breve valutazione economica sull’idrogeno, per estrapolarne la diffusione nel futuro. Il consumo energetico tende globalmente ad aumentare. Nonostante il progressivo miglioramento dell’efficienza degli impianti, la diffusione dell’industrializzazione ed il miglioramento della qualità della vita nei Paesi in […]

Ottobre 2017
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Idrogeno come vettore energetico del futuro?

Idrogeno: prefazione

Oggi illustriamo lo stato dell’arte sulle tecnologie di produzione, trasporto e stoccaggio dell’idrogeno. Concluderemo con una breve valutazione economica sull’idrogeno, per estrapolarne la diffusione nel futuro.

Il consumo energetico tende globalmente ad aumentare. Nonostante il progressivo miglioramento dell’efficienza degli impianti, la diffusione dell’industrializzazione ed il miglioramento della qualità della vita nei Paesi in via di sviluppo portano ad un incremento della domanda energetica.

Anche nei Paesi sviluppati si tende ad una crescita costante di domanda energetica. Attualmente la produzione di energia è basata principalmente sull’utilizzo dei combustibili fossili, con una percentuale che a livello mondiale si assesta sull’81% del totale.

Il progressivo esaurimento dei giacimenti di più facile accesso e l’aumento della richiesta comportano un incremento dei costi e un incremento dell’impatto sull’ambiente, con l’ulteriore emissione di miliardi di tonnellate di COin atmosfera, rendendo ancora più critico l’impatto umano su quest’ultima, accelerando l’aumento dell’effetto serra che già tanti eventi estremi sta provocando.

In Canada si sta già estraendo petrolio dalle argille bituminose con un impatto pesantissimo sull’ambiente ed il consumo idrico.

Mentre negli Stati Uniti, seguiti a ruota da Russia e Cina, si sta estraendo metano con il sistema del Fraking, ossia la frantumazione delle rocce che lo contengono.

Per completare il quadro è necessario rammentare che lo scioglimento dei ghiacci artici e del permafrost, sta liberando quantità rilevanti di metano, che è un gas serra molto più efficiente dell’anidride carbonica “44 volte di più ma, poiché il suo ciclo temporale dura la metà del tempo rispetto a questa, il suo impatto in atmosfera è “solo” 22 volte maggiore”.

Senza dimenticare che la maggior parte del metano presente sulla Terra si trova sulle scarpate continentali e sul fondo degli oceani sotto forma di idrati di metano, ossia dei clatrati “letteralmente composti di inclusione, in questo caso di ghiaccio, al cui interno si trova il metano”. Se questi si sciolgono il metano, divenuto gassoso, si libera in atmosfera aumentando significativamente l’effetto serra.

Per questi motivi, l’orientamento dei Paesi occidentali e del Giappone è di contabilizzare l’impatto ambientale per mezzo di imposte.

L’alternativa è l’utilizzo dalle fonti rinnovabili, alcune già mature industrialmente, come l’idroelettrico ed il solare termodinamico a concentrazione.

Altre, come il solare termico, il fotovoltaico, l’eolico, vedono nella bassa densità energetica e nell’intermittenza della disponibilità, oltre che nel costo ancora elevato, i principali ostacoli alla loro diffusione.

Inoltre, l’incremento dell’utilizzo di queste tipologie energetiche aumenta i picchi nei momenti di alta produzione, picchi che causano problemi in quanto l’energia elettrica non si presta all’accumulo.

In Italia e in Germania si è arrivati a dare la priorità del dispacciamento all’energia prodotta con queste fonti, con la conseguenza dello spreco della stessa “poiché gli impianti termoelettrici non possono essere spenti ed accesi istantaneamente.”

La soluzione a queste problematiche può derivare dall’utilizzo dell’idrogeno quale vettore energetico.

Idrogeno: il vettore energetico per eccellenza.

L’idrogeno è potenzialmente inesauribile, potendosi ricavare dall’acqua e dal gas naturale, si presta facilmente all’accumulo, anche stagionale. Non subisce economie di scala e, nel lungo periodo, si presta, insieme con l’elettricità, a diventare il vettore energetico per il futuro.

Inoltre, le nuove tecnologie di produzione, accumulo e trasporto, una volta giunte a maturazione industriale, potranno renderne competitivo l’utilizzo. I tempi dipenderanno dalle scelte di politica energetica.

In Italia per anni si è parlato di Carbon Tax e, da alcuni anni, è stata introdotta la sua applicazione, provvedimento che ha senso solamente se si verificano due condizioni:

  • la possibilità di utilizzare fonti energetiche alternative e/o integrative;
  • l’estensione di questa imposta almeno agli altri Paesi della UE, altrimenti si penalizzano le aziende, rendendole meno competitive delle concorrenti.

Negli ultimi tempi, comunque, una spinta verso l’utilizzo di alternative energetiche all’utilizzo massiccio del petrolio si è avuta per la casuale concomitanza di alcuni eventi:

  • il rincaro del petrolio da parte dell’OPEC;
  • l’acuirsi della crisi in Medio Oriente tra Palestinesi ed Israeliani;
  • le guerre in Medio Oriente ed in Nord Africa;
  • il rilancio in alcuni Paesi di programmi energetici ecocompatibili, malgrado la scarsa aderenza ai trattati stipulati per la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Caratteristiche tecniche dell’idrogeno.

L’idrogeno è il più leggero degli elementi, essendo costituito da un solo protone ed un elettrone. In natura esiste anche l’isotopo due, o deuterio, con un neutrone, ma l’idrogeno uno, o prozio, è di gran lunga prevalente costituendo il 99,98 della miscela naturale.

L’idrogeno tre, o trizio, con due neutroni, viene prodotto nelle interazioni nucleari.

L’idrogeno naturale, costituito da molecole biatomiche (H2), non si trova sulla terra poiché, essendo 14,4 volte più leggero dell’aria, non viene trattenuto da questa ma si disperde nello spazio esterno.

Nell’universo è l’elemento più abbondante, rappresenta solo lo 0,9 % della crosta terrestre, eccezionalmente libero, principalmente nei gas vulcanici e come sottoprodotto della fermentazione. E’ tuttavia costituente dell’acqua e degli idrocarburi nonché, in misura minore, presente nel carbon fossile e nei composti organici e si combina facilmente con l’ossigeno formando acqua. La reazione avviene lentamente a bassa temperatura, con andamento esplosivo sopra i 550 °C (gas tonante).

Il limite di infiammabilità è molto ampio. Compreso fra il 4 ed il 75 % in  volume, parimenti al limite di detonabilità, compreso fra il 18,5 ed il 59 % in volume.
Il potere calorifico superiore è di 2.889 kcal/Stmc (kilocalorie per standard metro cubo) quello inferiore di 2.440 kcal/Stmc. Per confronto gli stessi valori per il metano sono rispettivamente 9.019 e 8.120.

Aspetto dell’idrogeno.

Produzione di idrogeno.

Per l’utilizzo è necessario estrarlo dalle molecole che lo contengono. Per questo motivo l’idrogeno deve essere considerato un vettore energetico, piuttosto che una fonte primaria. Attualmente l’idrogeno è prodotto principalmente per l’industria chimica, utilizzando il processo di steam reforming (trasformazione con vapore).

Questo processo viene effettuato, partendo da gas metano o da frazioni leggere di petrolio, con vapore d’acqua in presenza di un catalizzatore (generalmente nickel) alla temperatura di 800 °C.

Il gas risultante è formato anche da monossido di carbonio che, reagendo con il vapore, forma CO2 che viene successivamente allontanata. L’idrogeno si produce anche facendo reagire a 900 °C il vapor d’acqua con carbone coke e successivamente, a 500 °C, con un catalizzatore di ossidi di ferro. Il gas risultante, formato da idrogeno e monossido di carbonio, era un tempo utilizzato come gas di città.

L’utilizzo su vasta scala dell’idrogeno dovrebbe privilegiare la sua estrazione dall’acqua, a meno che, estraendolo da composti del carbonio, quest’ultimo venga accumulato.

Questo è possibile con svariati procedimenti, alcuni maturi industrialmente, come l’elettrolisi, altri ancora oggetto di indagine.

Questi non sono ancora competitivi economicamente con quelli privilegiati dall’industria chimica ma, una volta raggiunta la maturità tecnologica ed una diffusione su ampia scala, dovrebbero divenire competitivi, con ovvi vantaggi dal punto di vista dell’approvvigionamento e della salvaguardia dell’ambiente.

Bisogna anche tener conto del fatto che, dal punto di vista termodinamico e del rendimento, è assolutamente priva di senso l’estrazione dell’idrogeno dai combustibili fossili. Questo, anche senza considerare i costi ed i rischi legati all’accumulo di CO2.

Il processo maggiormente sviluppato è l’elettrolisi dell’acqua, che utilizza 4-5 kWh di energia elettrica per ogni m3 di idrogeno prodotto. Metodo che viene attualmente utilizzato in alcuni grandi impianti in vicinanza di centrali idroelettriche, che producono elettricità a basso costo ed in modo continuativo, utilizzando le ore di basso utilizzo ed ottimizzando in questo modo il rendimento.

Una tecnologia che sembra costituita ad hoc per la produzione dell’idrogeno è quella dei pannelli solari fotovoltaici.

Tutti i sistemi di produzione energetica “alternativi” (solare termico, eolico, geotermico) trarrebbero comunque vantaggio dalla produzione di idrogeno.
Per la produzione elettrolitica dell’idrogeno si possono utilizzare anche le centrali che impiegano fonti primarie, sfruttando i periodi di basso utilizzo (es. ore notturne).
La produzione diretta per termolisi dell’acqua avviene a temperatura molto elevata (3500 K), per cui si preferisce utilizzare cicli termochimici che coinvolgono ossidi metallici o reazioni ossido riduttive.

Sono allo studio cicli termochimici che, si spera, possano servire a produrre idrogeno da fonti di calore ad alta temperatura, come il solare termico ed il fotovoltaico. In questo contesto molta importanza andrebbe riservata al solare termodinamico, come più sotto specificato.

L’idrogeno si può produrre anche nelle centrali nucleari.

In special modo, nel caso dovessero diffondersi i reattori di tipo HTGR (reattore a gas ad alta temperatura) o quelli di quarta generazione, autofertilizzanti, che utilizzano le scorie prodotte dalle centrali delle generazioni precedenti.

Queste centrali sono infatti caratterizzate da una temperatura di lavoro più alta rispetto ai reattori convenzionali. Presentano il vantaggio di un maggior rendimento energetico, facilitando appunto la produzione di idrogeno. Le (poche) scorie rimanenti possono essere trattate con il sistema TRIGA, ideato dal Professor Rubbia, che utilizza un sistema ibrido reattore-acceleratore.

Il motivo per cui si continuano le ricerche di sistemi alternativi di produzione è la speranza di sfruttare maggiormente l’energia. Infatti, la trasformazione di calore in elettricità avviene con un rendimento non superiore al 40 %, il processo elettrochimico non supera il 90 %, per cui, alla fine, il rendimento (massimo ipotizzabile) è del 36 %. Un impianto termico diretto consentirebbe un risultato superiore.

Agli inizi degli anni ’70 due ricercatori giapponesi, Fujishima e Honda, hanno brevettato un procedimento di fotoelettrolisi, impiegando biossido di titanio, o rutilo, come fotoelettrodo. Procedimento che ha dato inizio a numerose ricerche, non ancora sfociate nella realizzazione di un impianto.

La scissione dell’acqua si potrebbe realizzare anche per fotolisi, sfruttando cioè la radiazione solare luminosa.

I ricercatori che perseguono questo metodo sono ancora lontani, anche concettualmente, dalla soluzione.

Allo scopo di abbattere drasticamente i costi di produzione e l’impatto sull’ambiente delle fonti energetiche, Italia e Giappone stanno studiando l’utilizzo di energia solare abbinata a sistemi biologici, come alghe, microorganismi ingegnerizzati, rifiuti organici. In particolare, gli studi sono rivolti all’ingegneria genetica per ottimizzare la produzione di idrogeno da parte di microorganismi fotosintetici.

Molto attivi in questo campo sono stati, negli anni ‘90, i laboratori dell’ENI Ricerche, grazie agli studi effettuati, nel centro di San Donato Milanese, sul Pyrococcus furiosus, un batterio resistente a temperature elevate e considerato molto promettente.
Negli ultimi anni sono stati messi a punto diversi metodi per ottenere idrogeno direttamente da biomasse e/o da Alghe, con rendimenti elevati.

Negli USA da diversi anni, per produrre idrogeno, si sta sperimentando la gassificazione del carbone, effettuata direttamente in miniera.

In tal modo le scorie resterebbero confinate all’interno delle miniere. Tecnologia assai dispendiosa, che potrebbe risultare vantaggiosa, sottraendo i costi relativi al disinquinamento necessario nel caso dell’utilizzo diretto del carbone.

Alcuni anni fa il Professor Rubbia, allora Presidente dell’ENEA, ha perfezionato una convenzione con la Cina per l’estrazione dell’idrogeno dal carbone con l’acqua, l’anidride carbonica risultante viene anche in questo caso sequestrata in miniera.

Un ulteriore metodologia, messa a punto dall’ENEA, sfrutta la concentrazione di energia solare per mezzo di paraboloidi e lenti allo scopo di far reagire ossido di zinco con acqua, scindendola in ossigeno ed idrogeno. Si tratta in questo caso di solare termico abbinato ad una reazione fotochimica. Il rendimento è nell’ordine del 52 %, quindi abbastanza elevato.

E’ attualmente in fase di studio la fattibilità di estrarre idrogeno dagli idrati di metano.

Tali composti sono clatrati, ossia strutture cristalline “a gabbia” (i Geologi mi scuseranno per la badiale semplificazione a scopo didattico) contenenti metano liquido. Questi sono concentrati lungo le scarpate continentali, nel permafrost e nei ghiacci polari. Anche secondo le stime più caute, in quantità superiori di un fattore dieci al tutto il metano gassoso presente dei giacimenti.

Trasporto e stoccaggio idrogeno.

Tra i motivi che hanno frenato la diffusione dell’idrogeno, uno dei più critici è rappresentato dalla difficoltà di trasporto, sia per la bassa densità energetica, sia perché esplosivo, infiammabile ed estremamente volatile. Difficoltà che, grazie allo sviluppo di adeguate tecnologie, possono considerarsi superate.

Il trasporto e lo stoccaggio dell’idrogeno prevedono, in alcuni casi, la liquefazione dello stesso. Dal punto di vista energetico questa non rappresenta la soluzione maggiormente conveniente, anche se, utilizzata in simbiosi con altre tecnologie, potrebbe rivelarsi utile.
Il metodo più diffuso è l’utilizzo di bombole ad alta pressione(200-300 bar).

Le pesanti bombole industriali possono essere vantaggiosamente sostituite con quelle in alluminio a doppia parete, del tipo, ad esempio, sviluppato dall’ENEA nei primi anni ’90, per un progetto di alimentazione ad idrogeno di un Ducato FIAT.
Sono ormai disponibili bombole che presentano un rapporto peso/accumulo ancora maggiore, essendo costruite in fibre sintetiche: vetrose, carboniose, aramidiche (kevlar).

bombole per trasporto idrogeno

Per l’utilizzo presso consumatori fissi come abitazioni e industrie, si possono utilizzare idrogenodotti costruiti ad hoc o metanodotti adattati. Tecnologia già matura in quanto alcuni Paesi, Germania, Belgio e Francia in particolare, hanno sviluppato complessivamente quasi duemila chilometri di idrogenodotti, attualmente utilizzati dall’industria chimica.

Idrogenodotti esistono anche in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Italia meridionale.

Il vantaggio di questo sistema, oltre la continuità, è dato dalla velocità di flusso poiché la velocità con cui un gas fluisce in una tubazione è proporzionale all’inverso della radice quadrata del suo peso molecolare.

Poiché l’idrogeno produce una quantità di energia per unità di peso che è 2,5 volte inferiore del metano, ma è 2,8 volte più veloce di questo, trasporta all’incirca la stessa quantità di energia nell’unità di tempo; richiede però una pressione di pompaggio tre volte superiore a causa della minore densità, per lo stesso motivo, mentre il diametro ideale dei gasdotti è di 1,4 m, quello degli idrogenodotti è di 2 m.

Due tecnologie che potrebbero risolvere con sufficienti garanzie di sicurezza, praticità ed economicità il problema sono lo stoccaggio in caverne (già sperimentato in passato con il metano), pur tenendo conto dei rischi legati alla stratificazione termica e l’utilizzo di sfere di vetro. Quest’ultima tecnologia si basa sullo sfruttamento della caratteristica del vetro di essere impermeabile all’idrogeno a temperatura ambiente, mentre diviene poroso ad alcune centinaia di gradi centigradi.

Finora questa tecnologia è stata studiata a livello teorico, ma sembra che i parametri che la caratterizzano offrano ottime possibilità.
Una tecnologia, particolarmente adatta per essere applicata ai mezzi di trasporto, attualmente in fase di studio, consiste nell’adozione dei “nanotubes” di carbonio, strutture derivate dalla tecnologia dei fullereni.

La terza forma allotropica del carbonio inorganico.

Allo stato dell’arte si possono caricare con dieci litri di idrogeno per ogni grammo di carbonio. Già in un recente passato è stata sviluppata una tecnica di adsorbimento di idrogeno in particolari carboni lavorati per ottenere alta porosità. Questi si caratterizzano per la capacità di adsorbire idrogeno in maniera significativa, a pressioni di qualche decina di bar, se portati a temperatura inferiore a –150 °C.

Recentemente sono stati perfezionati, in Giappone e negli Stati Uniti, dei polimeri in grado di accumulare grandi quantità di idrogeno in sicurezza e con il vantaggio di un peso della matrice polimerica estremamente basso.
Potrebbero anche essere utilizzate grandi campane rovesciate su bacini d’acqua che garantiscono la tenuta ermetica inferiore.

Tali serbatoi, per quanto voluminosi, sono molto affidabili ed erano già utilizzati in passato per il gas di città.
L’idrogeno può essere trasportato allo stato liquido, purché il sistema sia adeguatamente isolato, in quanto la liquefazione dell’idrogeno avviene a -253 °C. Può essere trasportato in contenitori a doppia parete con un intercapedine a vuoto d’aria, per garantire l’isolamento, come nel caso della BMW presentata anni fa.

La bassa reattività chimica dell’idrogeno, a bassa temperatura, elimina il problema dell’infragilimento dei metalli per formazione di idruri.

Sono anche stati sviluppati tubi a doppia parete, ma solo per brevi distanze a causa degli altissimi costi di produzione. Una soluzione è rappresentata dall’utilizzo contemporaneo dei tubi adibiti al trasporto di idrogeno come vettori di energia elettrica.

Si sfrutta il principio della scomparsa della resistenza elettrica nel tubo a bassissima temperatura, che si comporta come un superconduttore. Questo metodo potrebbe forse rendere economicamente conveniente il trasporto dell’idrogeno allo stato liquido.
La tecnologia dell’idrogeno liquido è ampiamente utilizzata nel settore spaziale, pensiamo alle navicelle spaziali Shuttle che utilizzano particolari serbatoi di idrogeno ed ossigeno, rispettivamente come combustibile e comburente.

L’utilizzo dell’idrogeno liquido è stato argomento di un progetto, sviluppato dalla UE in collaborazione con il Governo del Quebec, dal 1990, il Quebec Hydro-Hydrogen Pilot Project, al quale parteciparono per l’Italia l’Ansaldo, la De Nora, il Registro navale (Rina), il Messer Griesheim e la Gestione Navigazione Laghi.

Un metodo per il trasporto e l’accumulo dell’idrogeno sfrutta la proprietà di questo elemento di formare idruri, ossia composti solidi con alcuni metalli. La maggior parte dei metalli elementari, a contatto con l’idrogeno gassoso, porta alla formazione di idruri. La reazione avviene spesso spontaneamente già a temperatura ambiente.

Il fenomeno procede nei due sensi (è cioè reversibile) e dipende essenzialmente dalla pressione dell’idrogeno gassoso.

Se questa è superiore ad una certa soglia (pressione di equilibrio), la reazione evolve verso la formazione dell’idruro, in caso contrario avviene in senso inverso e l’idruro si decompone restituendo l’idrogeno gassoso. Il vantaggio dell’utilizzo degli idruri è rappresentato dalla densità estremamente elevata che permettono di raggiungere. Il motivo è da ricercarsi nell’andamento di formazione degli stessi.

Quando le molecole di idrogeno vengono a contatto con il metallo, alcune si dissociano e l’idrogeno atomico tende ad occupare siti specifici del reticolo cristallino. Aumentando ulteriormente la pressione, un numero limitato di atomi di idrogeno viene forzato all’interno del cristallo. In questo modo tutti i siti disponibili si saturano e tutta la massa metallica viene convertita in idruro.

Per aumentare la capacità di accumulo sono stati proposti serbatoi a polveri metalliche e messe a punto particolari leghe che hanno un elevato rapporto peso/accumulo. La capacità di assorbimento dell’idrogeno da parte degli idruri consente, a parità di volume, un rendimento maggiore rispetto all’idrogeno liquido.

Abbastanza recentemente la H. Power, una Società statunitense, ha brevettato un metodo di accumulo che sfrutta la reazione del ferro con l’acqua.

Utilizzando un particolare catalizzatore questa reazione viene accelerata e viene liberato l’idrogeno.
L’idrogeno può anche essere accumulato combinandolo con alcuni composti organici: ammoniaca, metanolo, metilcicloesano.

In particolare l’utilizzo del toluene, con formazione di metilcicloesano, è promettente poiché sia il toluene che il metilcicloesano sono composti conosciuti, facilmente trasportabili e sicuri. La formazione di metilcicloesano è ottenuta mediante idrogenazione del toluene, reazione esotermica, la successiva deidrogenazione è endotermica (avviene a circa 500 °C), con un consumo del 20 % dell’energia contenuta nell’idrogeno liberato, il restante 80 % può essere utilizzato.

Per il peso e l’ingombro degli impianti questa tecnica si presta per un accumulo stagionale  o per l’utilizzo su mezzi pesanti.

Idrogeno: il suo utilizzo.

L’idrogeno si presta ad essere utilizzato come combustibile o nelle celle a combustibile.
In passato, come più sopra ricordato, veniva già utilizzato l’idrogeno come gas di città.
Qualsiasi idrocarburo addizionato con idrogeno migliora la combustione ed il suo rendimento come emissioni di residui nocivi.

Per questo motivo è stato sviluppato, negli USA, l’utilizzo di metano additivato con il 15 % in peso di idrogeno, corrispondente al 5 % in termini energetici, definito commercialmente “Hythane” dall’azienda che lo ha sviluppato.

La combustione dell’idrogeno non presenta particolari problemi e da luogo ad emissioni inquinanti notevolmente inferiori agli altri combustibili: l’unico prodotto inquinante è rappresentato dagli ossidi di azoto, che si formano a causa della temperatura di combustione e, comunque, in misura minore rispetto ai combustibili fossili.

Ovviamente, nel caso dell’idrogeno, non vi sono idrocarburi incombusti, anidride solforica (come con il gasolio) o anidride carbonica. La combustione avviene con fiamma non luminosa, con temperatura della fiamma a rapporto stechiometrico più alta che nel metano (2400 K contro 2190 K).

In rapporto al gas metano, occorrono quantità volumetriche triple per ottenere lo stesso potere calorifico, in compenso la velocità di flusso è tre volte più veloce. Per cui è necessario apportare modifiche ai bruciatori a fiamma aperta.

L’energia da fornire per ottenere l’accensione dell’idrogeno in aria è notevolmente inferiore al metano, per cui l’idrogeno si presta particolarmente per l’utilizzo in riscaldatori catalitici a bassa temperatura.

L’idrogeno è l’elemento ideale per l’utilizzo nelle pile a combustibile.

Le pile a combustibile (Fuel Cell), inventate nel 1839 da William Grove, sono attualmente oggetto di ricerca, sviluppo e produzione dall’industria; grazie al settore spaziale che le ha riesumate negli anni sessanta, dopo un secolo di oblio, per il programma Apollo. Sono costituite essenzialmente da due elettrodi separati da un elettrolita.

Si differenziano dalle classiche pile in quanto gli elettrodi non subiscono modifiche di struttura nel corso delle reazioni ma, fungono da supporto alle reazioni stesse, visto che i reagenti (idrogeno ed ossigeno) provengono dall’esterno con continuità.

Sia i riscaldatori catalitici che le celle a combustibile presentano il vantaggio di non dar luogo, se non in misura ridotta, alla formazione di ossidi di azoto (NOx), in particolare all’avvio, ossia quando non hanno ancora raggiunto la temperatura di funzionamento.

Stack di celle a combustibile.

Un sistema già commercialmente conveniente per l’accumulo di energia elettrica, sotto forma di idrogeno, è rappresentato dall’impiego delle centrali idroelettriche di generazione e di pompaggio, qualora non siano disponibili bacini di accumulo, come avviene da alcuni anni in Canada.

Anche l’utilizzo di idrogeno nelle celle a combustibile, durante i periodi di basso utilizzo, è economicamente valido, come dimostrerebbero alcune esperienze americane. La costruzione di grosse dighe in Cina ed in Brasile, lontano dai luoghi di utilizzo dell’energia prodotta, trarrebbero giovamento dalla diffusione di queste tecnologie. Essendo troppo onerosa, sia dal punto di vista economico che ambientale, la costruzione di lunghissimi elettrodotti.

Il motivo per cui, generalmente si preferiscono gli elettrodotti, malgrado le perdite di carico, è da ricercarsi nel rendimento permesso da questi. Infatti, dal punto di vista termodinamico, è sempre preferibile energia coerente (elettrica) che incoerente (fluido).

Il campo in cui si sono concentrati maggiormente gli studi e comunque quello dei trasporti.

Da decenni, nel trasporto aereo, viene proposto di utilizzare l’idrogeno, principalmente per il peso, notevolmente inferiore al carboturbo che costituisce parte notevole del carico complessivo dei velivoli. Le prime esperienze in questo campo risalgono al 1957, quando negli USA venne sperimentato un bombardiere B-57 alimentato ad idrogeno. Nel 1988 è stato sperimentato dall’ex Unione Sovietica un Tupolev-154 ad idrogeno liquido.

Attualmente in Giappone si stanno sviluppando progetti per un prototipo di aereo supersonico/ipersonico ad idrogeno da parte di Fuji, Kawasaki e Mitsubishi Heavy Industries.

Il trasporto su gomma rappresenta una voce importante nell’utilizzo dell’energia e, specialmente per le automobili, una voce rilevante del mercato.

Inoltre le pressanti problematiche ambientali coinvolgono pesantemente queste ultime.

Per questo sono commercializzate automobili ad idrogeno (l’Italia è uno dei Paesi leader in questo campo): già nei primi anni settanta un ingegnere torinese, Massimiliano Longo, aveva sviluppato un sistema per utilizzare l’idrogeno nelle automobili.

Nei primi anni novanta, l’ENEA, in collaborazione con la Magneti Marelli e la VM Motori, ha presentato un FIAT Ducato alimentato ad idrogeno, sviluppando degli elettroiniettori, modificati da modelli commerciali, che eliminano definitivamente qualsiasi problema di ritorno di fiamma.

La Germania ha presentato recentemente un’automobile BMW alimentata ad idrogeno liquido, non come prototipo, ma come modello regolarmente in vendita; mentre la Mercedes sta sperimentando dei pulmini, utilizzati come taxi, alimentati ad idrogeno, immagazzinato come idruro di nichel.

Negli USA ed in Canada la Ballard, in collaborazione con varie case automobilistiche, ha sviluppato dei pullman funzionanti con celle a combustibile, attualmente utilizzati in alcune città per il trasporto pubblico (Vancouver).

Anche alcune delle principali industrie automobilistiche giapponesi, Honda, Toyota, Suzuki e Mazda, hanno sviluppato, con vari partner pubblici e privati, autovetture ad idrogeno, così come alcune delle case automobilistiche americane ed europee: Opel, Ford, Daymler Chrysler.

Nei primi anni 2000 anche la FIAT, con il rilevante aiuto di CNR ed ENEA, ha sviluppato un’autovettura ad idrogeno.

Nel settore del cabotaggio, nell’ambito del progetto Euro Quebec, l’Ansaldo ha presentato, il 24 aprile del 1996, un battello funzionante a celle a combustibile, ed adibito al trasporto passeggeri sul Lago Maggiore.

Va sottolineato che, i Paesi più sviluppati tecnologicamente, si stanno impegnando, dal 2015, all’introduzione progressiva nel mercato delle tecnologie legate all’utilizzo dell’idrogeno. Questo ha portato anche l’UE a potenziare in maniera rilevante il comparto anche nei Progetti Europei.

Moto ad idrogeno.

Sicurezza ed impatto ambientale.

L’idrogeno è un combustibile a bassissimo livello di inquinamento. La combustione in aria produce acqua (H2O), e, ad alta temperatura e miscele povere, quantità non trascurabili di NOx, che scompaiono a miscela ricca, ottenendosi in questo caso H incombusto e tracce di ammoniaca (NH3).

La quantità di calore trasferita al mezzo nella combustione di idrogeno è, a parità di peso, un terzo di quella prodotta con gli idrocarburi.
L’utilizzo nelle celle a combustibile riduce drasticamente l’inquinamento, perché non vengono prodotti, se non in misura trascurabile, gli NOx.

La produzione di idrogeno per mezzo di fonti rinnovabili è dà considerarsi la soluzione ottimale.

Questo perché, ne in fase di produzione, ne in fase di utilizzo, si ha la formazione di molecole inquinanti.

Nonostante l’ampiezza delle curve di infiammabilità e di esplosione, l’estrema volatilità dell’idrogeno permette l’eliminazione di rischi. “Purché si prevedano nelle strutture adeguati sfiati che impediscano il ristagno”. La tragedia del dirigibile Hindemburg, come fa notare l’Ingegner Pede dell’ENEA, spesso citata per sottolineare la pericolosità dell’idrogeno, testimonia a favore di questo.

Infatti, su 97 persone presenti a bordo, ben 62 si sono salvate. Il cherosene aeronautico avrebbe bruciato molto più a lungo, impedendo lo scampo dei sopravvissuti. Inoltre, da studi condotti recentemente, pare accertato che l’alimentazione del rogo sia da attribuire al rivestimento del dirigibile, estremamente infiammabile.

Valutazione economica dell’idrogeno.

Non possiamo concludere queste considerazioni senza affrontare il problema più spinoso, ossia una, pur sommaria, valutazione economica.
Il costo di un prodotto è inversamente proporzionale alla sua disponibilità su vasta scala. Per cui, la diffusione di una nuova tecnologia, consente indubbiamente di abbatterne i costi, e questo vale anche nel nostro caso.

Il costo della produzione dell’idrogeno è comunque troppo alto in rapporto al prezzo dei combustibili fossili. Ovviamente dovremmo applicare al petrolio un concetto elaborato da Francisco Castri, uno dei padri del concetto di Biodiversità, ossia interiorizzare le esternalità.

Che vuol dire?

Semplicemente considerare i costi indiretti dovuti all’impatto sulla salute e sull’ambiente del ciclo del petrolio, nonché quelli legati ai problemi geopolitica. Non bisogna dimenticare infatti che il 70% del petrolio e l’80% del gas naturale provengono da cinque Paesi del Golfo Persico.

Dobbiamo inoltre considerare che il petrolio di più facile accesso è sempre più scarso (vedi petroli bituminosi estratti in Canada ). Anche l’estrazione di gas, per mezzo del Fraking, presenta un pesantissimo impatto ambientale/sanitario.

Queste tecnologie portano un rilevante aumento dei costi.

Inoltre, lo sviluppo dei Paesi in via di industrializzazione porterà un incremento della domanda di energia e, quindi, di combustibili.

Se a questo aggiungiamo l’orientamento dei Paesi industrializzati, indirizzato verso un’imposizione fiscale sui danni ambientali (la cosiddetta Carbon Tax, già introdotta nel nostro Paese), ecco che non appare azzardato ipotizzare che, in un futuro prossimo, l’idrogeno possa divenire un’alternativa vincente.

I recenti rialzi sul prezzo del petrolio e le crisi in Medio Oriente ci ricordano la nostra notevole dipendenza energetica da un sistema estremamente instabile. Questo ci rende drammaticamente esposti a crisi economiche. Senza contare i costi indiretti derivanti dall’utilizzo massiccio del petrolio.

Nel caso dell’Italia, un notevole miglioramento ambientale è rappresentato dalla metanizzazione del paese.

Infatti, il metano è il meno inquinante degli idrocarburi ed è quello da cui più facilmente si può ottenere l’idrogeno con Steam reforming.

Non dimentichiamo, comunque, che il prezzo del metano è legato indirettamente a quello del petrolio. I Paesi da cui lo acquistiamo rendono il “sistema Paese” estremamente critico economicamente.

Altro elemento da considerare è la progressiva diffusione delle centrali energetiche alternative (in particolare geotermico, eolico, fotovoltaico e solare termico), e lo sviluppo della tecnologia delle celle a combustibile.

Per alcuni decenni i combustibili fossili rappresenteranno ancora la fonte energetica maggiormente utilizzata. Anche a causa dell’azione lobbystica che le multinazionali esercitano sui governi, con cospicue emissioni di CO2 ed altri inquinanti, seguita dall’energia idroelettrica e dalla fissione nucleare.

Quest’ultima è stata sconsideratamente eliminata dal mix italiano, grazie a due referendum svolti in spregio all’Art. 75 della Costituzione, che vieta esplicitamente di sottoporre a quesito referendario materie frutto di accordi internazionali (l’Art. che ha precluso agli italiani la scelta dell’euro).

In seguito, si incrementerà in misura crescente il ricorso alle fonti definite alternative. In particolare il nucleare di quarta generazione, ossia compatibili con la conservazione dell’ambiente e sostenibili nel tempo (ossia rinnovabili).

Questo farà decollare l’utilizzo su vasta scala dell’idrogeno.

Un sistema che l’ENEA aveva ipotizzato durante la presidenza Rubbia è rappresentato da accordi che l’Europa potrebbe fare con Paesi Nord Africani. “Per produrre cospicue quantità di energia, sotto forma di idrogeno, con il solare termodinamico, importabili tramite idrogenodotti o nani idrogeniere.”

Un’ultima considerazione concerne la fusione nucleare.

Recentemente, sono state sviluppate tecnologie che rendono ipotizzabile una sua realizzazione commerciale entro una quarantina di anni. In questo caso, oltre l’alimentazione degli elettrodotti, sarebbe possibile produrre idrogeno nelle ore di basso utilizzo e/o negli impianti siti lontano dai luoghi di utilizzo dell’energia prodotta.

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