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La verità sui disastri nucleari di Chernobyl e su Fukushima

La verità sui disastri nucleari di Chernobyl e su Fukushima

Le cause oggettive delle catastrofi di Chernobyl e Fukushima.

Tutti gli specialisti ed i tecnici conoscono quanto è effettivamente accaduto al quarto reattore di Chernobyl il 26 aprile 1986 e la dinamica di quanto verificatosi a Fukushima in seguito allo tsunami del 2011 (approfondimento sullo scarico di acque radioattive trattate contenute nelle cisterne della centrale di Fukushima nell’Oceano Pacifico causate dallo tsunami del 2011).

Malgrado sui siti ufficiali delle più importanti organizzazioni internazionali (OMS, WHO, IAEA, ecc.) riportino con chiarezza i dati sugli eventi suddetti, gli articoli divulgativi spesso riportano notizie inesatte. Ritengo quindi utile riassumere brevemente quanto è accaduto effettivamente a Chernobyl ed a Fukushima, anche se questa rivista ha già trattato estesamente l’argomento.

Il Reattore DBMK di Chernobyl.

Schema di un reattore RBMK 1000. Licenza Creative Commons©

Figlio della scelta di una tecnologia nata per fini militari, in quanto adatta a produrre plutonio per testate nucleari, il reattore protagonista del drammatico incidente di Chernobyl era del tipo RBMK (acronimo dal russo Reaktor Bolshoi Moshchnosty Kanalny che significa “reattore di grande potenza a canali”).

Questo tipo di reattore era impiegato solo all’interno dell’Unione Sovietica (e nel 1968 l’Ucraina ne faceva ancora parte), mentre nei Paesi satelliti dell’URSS venivano utilizzati impianti di tipo VVER (Vodo-Vodyanoy Energetichesky Reaktor) a bassa potenza, simili a quelli occidentali ad acqua pressurizzata.

Il reattore RBMK 1000, a tubi in pressione, moderato a grafite e refrigerato ad acqua leggera bollente, ha una potenza termica complessiva di 3200 MW termici che permettono di produrre 1000 MW elettrici. Il disaccoppiamento delle funzioni di moderatore, affidate alla grafite, da quelle del refrigerante, affidate all’acqua leggera (che, contenendo idrogeno, funge da assorbitore di neutroni) può generare instabilità intrinseca nel senso che alla mancanza d’acqua si accoppia un aumento della reattività del sistema.

I reattori di tipo occidentale BWR (ad acqua bollente: Boiled Water Reactor) e PWR (ad acqua pressurizzata: Pressured Water Reactor) affidano invece all’acqua entrambe le funzioni (moderazione e raffreddamento) tanto che in mancanza d’acqua la reazione nucleare si arresta.

L’erogatore di energia nucleare – o “nocciolo” – del reattore RBMK è costituito da un grande cilindro in blocchi di grafite che ha un diametro di 12 metri ed un’altezza di 7 metri. Nella matrice in grafite sono disposti, secondo un reticolo regolare, i canali per l’inserimento delle barre di controllo ed i canali di potenza, tubi in lega di zirconio nei quali sono contenuti gli elementi di combustibile.

Negli elementi di combustibile, costituiti da fasci di barrette cilindriche in lega di zirconio, contenenti pasticche (pellets) di biossido di uranio arricchito al 2%, ha luogo la reazione di fissione a catena dell’uranio, con produzione di neutroni veloci e di calore. L’acqua, spinta dalle pompe di circolazione, scorre nei canali di potenza dal basso verso l’alto alla pressione di circa 70 kg/cm2 affluendo nel nocciolo alla temperatura di 270° C.

Uscendo dal medesimo, l’acqua è inviata a quattro grandi separatori di vapore dai quali la frazione liquida ritorna a fluire nei canali di potenza mediante le pompe di circolazione, mentre il vapore è convogliato ad azionare due gruppi turbina-alternatore da 500 MW ciascuno.

Il vapore esausto, scaricato dalle turbine, viene condensato e l’acqua risultante, preriscaldata, è rinviata al separatore di vapore tramite le pompe di alimento. Quando il reattore è a regime, la grafite ha una temperatura media di 600°C e punte di 700°C, valori inspiegabilmente elevati in quanto superiori alla soglia di reazione aria-carbonio e prossimi alla soglia di reazione acqua-carbonio.

Le caratteristiche costruttive di questo tipo di reattore rendono possibile il ricambio degli elementi combustibili con il reattore in funzione attraverso una gigantesca macchina di carico e scarico alta 35 metri ubicata nella hall superiore del reattore. Tale hall è coperta da una struttura a capriata, che ovviamente non può essere considerata un sistema di contenimento.

Al contrario, le centrali occidentali dispongono di un edificio di contenimento formato da strati di cemento al boro e acciaio ed in condizione di resistere anche alla caduta di un aereo o ad un terremoto.

Quanto avvenuto nella notte fra il 25 ed il 26 aprile 1986 all’unità 4 della centrale nucleare di Chernobyl accadde nel corso di un esperimento (gli specialisti parlano infatti di “esperimento di Chernobyl”), appunto volto a verificare la possibilità di alimentare i sistemi di sicurezza durante il rallentamento del turbogeneratore, successivo al distacco dalla rete.

Tale prova fu affidata ad un tecnico non specializzato. Inoltre, durante la fase sia preparatoria dell’esperimento che nel corso della sua realizzazione sono stati commessi numerosi errori di manovra e gravi violazioni a precise norme procedurali.

Va comunque chiarito che, malgrado gli errori di manovra e la volontà di terminare l’esperimento siano stati le cause iniziali del disastro, lo svilupparsi in maniera incontrollabile e le gravissime conseguenze di questo furono dovute alle caratteristiche di instabilità intrinseca a questa tipologia di reattore – particolarmente a bassa potenza – determinata da un elevato coefficiente positivo di reattività e dalla mancanza di un edificio di contenimento.

Il reattore era stato portato ad una situazione di massima instabilità in quanto le barre di controllo non erano nella loro posizione prescritta (cioè 6-8 barre inserite contro il numero minimo di 30 previsto), d’altra parte, in tutto il circuito di raffreddamento si erano determinate condizioni prossime alla saturazione.

L’improvviso arresto di quattro pompe di circolazione, nel momento di attuazione dell’esperimento, determinò una produzione di vapore molto rapida e, conseguentemente, un fulmineo aumento di potenza del reattore dovuto alla sua instabilità intrinseca (coefficiente di vuoto positivo).

La produzione di vapore in alcune zone del nocciolo causò l’introduzione di una forte quantità di reattività positiva tale da portare il reattore “pronto critico” alla rottura di alcuni canali di raffreddamento ed a far sbalzare di posizione la piastra-schermo superiore. Quest’ultimo evento, in seguito documentato dalle fotografie scattate dagli elicotteri, impedì alle barre di controllo di inserirsi e, tranciando tutti i canali di potenza, generò una nuova iniezione di reattività.

In seguito a questa serie di esplosioni, si verificarono distruzioni delle strutture circostanti il reattore, l’espulsione di blocchi di grafite e di pezzi di combustibile, l’innesco di una serie di incendi nell’area degli edifici di centrale e l’incendio della grafite del reattore esploso.

La combustione della grafite (ne bruciò il 10%) produsse una colonna di fumo che si elevò fino a 1200 metri di quota dove i venti, sempre presenti a quelle altezze, contribuirono a disperdere la radioattività sull’Europa.

Cause delle catastrofi di Chernobyl
Esposizione alle radiazioni. Cortesia ENEA.

Lo tsunami e Fukushima.

Vediamo di riassumere quanto accaduto a Fukushima, quali danni lo tsunami abbia provocato e quali sono state le conseguenze.

E’ necessario preliminarmente conoscere che cosa è uno tsunami. Al centro degli oceani si ergono le dorsali medio oceaniche, lunghissime catene da cui erutta continuamente nuovo magma (roccia fusa) che “spinge” sotto i continenti il fondo oceanico, fenomeno (qui descritto molto semplicemente a scopo didattico) che viene definito subduzione della litosfera (esistono anche altre modalità di subduzione, come ad esempio quella che avviene nel Mediterraneo, causata dall’avvicinarsi delle coste europee e nordafricane, ma questo esula da quanto qui discusso).

Come nel caso dei terremoti, causati dalla dislocazione delle zolle (deriva dei continenti) spesso l’attrito fra le masse si accumula e si libera attraverso onde d’urto. Quando l’onda d’urto si verifica sott’acqua (tsunami), essendo l’acqua molto più densa dell’aria, si forma un’onda di dimensioni rilevanti.

Come nel caso dei terremoti, sappiamo dove possono verificarsi, ma non quando. Basandosi sui dati storici elaborati statisticamente, i giapponesi avevano eretto barriere alte sedici metri, l’onda è stata di ventiquattro! Ciò ha causato un disastro significativo:

  • il numero di morti e dispersi rasenta i 30.000;
  • è scoppiata una diga per l’aumento improvviso della pressione, provocando la maggior parte di morti e dispersi;
  • sono esplose due centrali turbogas;
  • è bruciata una raffineria (ricordate il fumo nero che era possibile vedere nei telegiornali).

Le centrali nucleari, come previsto dal progetto, si sono spente in 20 (venti) secondi. A questo punto, la circolazione dell’acqua di raffreddamento, doveva essere garantita dai generatori di emergenza alimentati da motori diesel, ma quelli ubicati sotto il livello raggiunto dall’acqua sono stati resi inattivi da questa, che li ha sommersi (infatti, i generatori ubicati al di sopra del livello raggiunto dall’acqua hanno funzionato regolarmente ed i reattori serviti da questi non hanno riportato problemi).

Questo ha causato un aumento di temperatura, a causa delle barre di zircaloy (la lega di cui sono fatti i contenitori del pellet radioattivo di uranio e plutonio) che continuavano ad emettere prodotti di decadimento. Ciò ha causato l’aumento di temperatura sino ad 800 gradi centigradi.

In condizioni normali l’acqua si scinde in idrogeno ed ossigeno a 3500 gradi ma, in presenza del catalizzatore zirconio, la scissione è avvenuta alla temperatura appunto di 800 gradi. L’idrogeno è 14,4 volte più leggero dell’aria e in condizioni normali si sarebbe disperso ma, in presenza delle cupole dei reattori, si è ricombinato con l’ossigeno.

Come sappiamo già dai tempi del liceo, quando tale ricombinazione avviene sopra i 550 gradi, si verifica in maniera esplosiva, infatti si parla di gas tonante. Le esplosioni che si sono verificate, sono state dunque esplosioni chimiche e non nucleari. Questo ha portato al danneggiamento delle cupole ed alla liberazione di una rube radioattiva che ha reso critica una zona di circa 22 KM di diametro.

La nube si è espansa sopra l’Oceano Pacifico, il Nord America e l’Atlantico. Il massimo registrato in Italia, misurato presso il Centro Ricerche Ambiente Marino dell’ENEA (Pozzuolo di Lerici SP), è stato di un quinto della radiazione di fondo che ci colpisce ogni giorno.

Secondo le organizzazioni internazionali, IAEA ed OMS in testa, nella zona dei 22 km, nel corso di cinquant’anni, rispetto alla media, vi sarà un aumento di casi di cancro ipotizzabili da 250 a 500. Per un parallelo, una centrale a carbone di circa 1000 Megawatt termici (quindi 400 elettrici), ogni anno fa quattromila morti, secondo l’OMS, a causa delle emissioni e delle ceneri, senza contare le morti in miniera.

Per quanto concerne il riversamento in mare, causato in gran parte per gli errori grossolani della TEPCO (ossia la società che gestisce gli impianti), la quantità di liquidi radioattivi corrisponde a quella riversata ogni anno a Southampton (il cosiddetto dumping), ossia 60mila tonnellate di acqua.

Considerando che espressi in volume sono 60mila metri di acqua, se divisi in contenitori di 2m di altezza occuperebbero non molto di più di 3 ettari, per confronto l’Oceano Pacifico occupa un terzo del Pianeta come superficie ed ha una profondità media di 4000 metri. Inoltre, il materiale radioattivo disperso nel Pacifico in seguito all’evento ammonta a 20mila miliardi di Bq.

Per quanto i danni nei pressi delle coste della regione di Fukushima siano significativi, e dove le perdite continue impediscono la pesca e l’allevamento, l’acqua radioattiva si disperde nell’oceano Pacifico.

Qualunque notizia di oceani contaminati e radiazione che giunge sino in America, Tonni e Salmoni radioattivi è completamente falsa.

L’aumento di radioattività nell’oceano è trascurabile ed inferiore alla radioattività del carbonio 14 e potassio 40, naturalmente presenti in mare. Anche considerando solo la regione in prossimità delle coste della Prefettura di Fukushima, le perdite dei reattori ammontano a meno di una parte su 100mila della radioattività presente.

Se comprendiamo l’intero Oceano Pacifico, la radioattività aggiunta costituisce meno di un 100 milionesimo del totale.

E’ vero che, grazie soprattutto all’incompetenza dei tecnici della TEPCO, alcuni reattori si sono fusi parzialmente ma i danni, sia pur rilevantissimi, sono confinati all’interno degli impianti.

In conclusione, mi sembra il caso di sottolineare che, specialmente nel caso di Fukushima, per rispondere allo stato di ansia della popolazione, addirittura di vero terrore delle radiazioni, in questo fomentata dai mass media, si sono estese le norme di sicurezza, rendendo illegali quantità di radiazioni al di sotto della soglia del pericolo, spostando forzatamente una parte della popolazione stessa. Ciò ha causato stati di ansia che hanno provocato malattie psicosomatiche e morti da stress nella parte più sensibile della popolazione, ossia anziani e persone affette patologie, a causa di meccanismo che gli psicologi definiscono da rafforzamento.

Leggi anche: Radioattività ambientale e disinformazione

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Ettore Ruberti

Naturalista, giornalista scientifico. Professore di Biologia, Chimica, Fisica e Geografia fisica presso il Liceo Scientifico e Linguistico “Maroni” di Varese dal 1983 al 1989. Giornalista free lance, dal 1977, con collaborazioni con le seguenti testate: La Prealpina, Il Giorno, La Stampa, Inquinamento, Il Medico e il paziente, Oasis, Geodes, Migratori Alati, Le Scienze, Petrolieri d’Italia, Ambiente, ecc. Redattore da luglio 1988 a febbraio 1990 presso la rivista Acqua & Aria. Attualmente scrive, per conto dell’ENEA e come attività intellettuale su 21mo Secolo, MuseoEnergia, L’Eco dei Laghi, ecc. Collaborazioni con Enti ed Istituti di ricerca nel campo zoologico, in particolare inserito nel Gruppo di Lavoro Uccelli Migratori dell’Organizzazione Ricerche Ornitologiche dell’RGF dal 1978 al 2010, in cui curava anche l’informatizzazione e l’elaborazione statistica dei dati validati dall’INFS di Bologna e dall’IWT di Slimbridge. Partecipazione gratuita e svolta fuori dall’orario di lavoro, dal 2011, con la Fondazione Gianfranco Realini per la valorizzazione del territorio che si occupa di Zone Umide (paludi, canneti rivieraschi, torbiere, ecc.), in relazione alla possibile partecipazione (in collaborazione con due gruppi di lavoro dell’ENEA Casaccia) ad un progetto LIFE. Collaborazione con l’Università di Pavia, in seguito ad una richiesta ufficiale di quest’ultima all’ENEA, volta alla classificazione di Aracnidi ed Insetti. Collaborazione portata a termine. Collaborazioni con vari Editori per opere editoriali nei campi suddetti e per la referizzazioni di studi e ricerche. I campi in cui ha acquisito le maggiori competenze sono: Entomologia, Aracnologia, Erpetologia, Evoluzionismo, Gestione delle Risorse naturali, Fotografia e Cinematografia Scientifica, Microscopia (sia ottica che elettronica), oltre naturalmente all’elaborazione e gestione dell’informazione, sia a livello divulgativo che scientifico Dipendente dell’ENEA dal 9 aprile 1990, Assunto per concorso per assunzione in prova, con qualifica di giornalista scientifico (7° livello) (Gazzetta Ufficiale – IV Serie Speciale – “Concorsi ed Esami” – n. 103 del 30 dicembre 1988) approvata dal presidente dell’ENEA con delibera n. 24/89/G del 21/12/89, cui si richiedevano almeno otto anni di esperienza nei settori giornalistico scientifico e didattico (provati con ampia documentazione), con graduatoria 95/100. Assunzione divenuta a tempo indeterminato dopo sei mesi (sempre al 7° livello). Inserito nella Divisione Relazioni Esterne, sede di Milano, si è occupato di diffusione dell’informazione, con interventi anche in ambito scolastico ed universitario, organizzazione di Convegni, Conferenze, ecc., spesso ha anche coadiuvato il personale della sede, in particolare Dr. Sani, Dr. Gavagnin, Prof. Bordonali, Sig. Griffini, Dr. Valenza, Prof. De Murtas. Ha pubblicato vari articoli sulla problematica relativa agli OGM sulla rivista “AgriCulture”, aprile 2003, su Migratori alati nel 2001, 2002, 2003, 2004, su La Padania nel 2005, 21mo Secolo. Dal 1991 segue le problematiche relative allo sviluppo dell’Idrogeno come vettore energetico, per conto della Divisione Tecnologie Energetiche Avanzate, che rappresenta ufficialmente al Forum Italiano dell’Idrogeno, inserito nel Consiglio Direttivo e all’AIDIC dove, dal 1993 al 1997, era stato costituito un gruppo di lavoro “CO2: riduzione, contenimento della produzione e riuso” che ha cessato la sua attività nel 1997. Nel contesto di questo incarico ha organizzato vari Convegni e tenuto Conferenze in Italia e all’estero, ha inoltre pubblicato vari articoli su riviste Scientifico-divulgative, tra cui: un articolo interno su “Le Scienze” (edizione italiana di Scientific American) del settembre 2000: “Idrogeno: energia per il futuro” N° 385, settembre 2000, pag. 90/98; un articolo concernente il sistema idrogeno sul numero monografico del 1996 dell’Organo ufficiale degli Ingegneri della Svizzera italiana, pubblicato come Atti di un Convegno sull’argomento; un numero, quasi monografico, di “Petrolieri d’Italia”, 2001; alcuni articoli su 21mo Secolo dal 1994 al 2006; ha inoltre effettuato vari interventi su televisioni italiane e svizzere; .ha partecipato, nel l’ambito del Forum, in qualità di Docente al Corso sulla sicurezza del sistema idrogeno, tenutosi nel 2002 presso l’Istituto Superiore Antincendio dei Vigili del Fuoco, sotto l’egida del Ministero degli Interni. E’ coautore del libro bianco sull’idrogeno “Linee guida per la definizione di un piano strategico per lo sviluppo del vettore energetico idrogeno”, scritto dai membri del Forum. Ha presentato, primo in Italia, un lavoro concernente l’utilizzo di nanotubi di carbonio per l’accumulo ed il trasporto dell’idrogeno (sotto forma di poster), al SolarExpo di Verona nel dicembre 2000. Nell’ambito degli incarichi portati a termine, ha seguito, per conto del Professor Umberto Colombo, gli sviluppi delle ricerche sulla Fusione Fredda, campo in cui ha anche pubblicato alcuni articoli, ed è in corso di stampa un libro che ha scritto sull’argomento. Lavorando in questo ambito, ha acquisito una significativa conoscenza della meccanica quantistica e dei fenomeni nucleari ed elettromagnetici nella materia condensata. Per questo motivo, nel 2004 è stato eletto Membro dell’International Society For Condensed Matter Nuclear Science. E’ Autore di diverse pubblicazioni concernenti la produzione energetica per mezzo della fissione dell’atomo ed i relativi problemi legati alla sicurezza ed all’impatto ambientale. Dal giugno 1996 al giugno 2010 Ricercatore nella Divisione GEM (1996-2001) e BIOTEC (2001-2010) inserito nel Board di Direzione, anche se ha continuato a dedicare una parte del tempo (valutabile al 20% del totale) all’idrogeno. In questo ambito ha lavorato in sinergia con il Professor De Murtas, con il quale collaborava anche precedentemente. Ha pubblicato, sulla rivista Energia Ambiente e Innovazione, n° 6/1997, una monografia sull’Evoluzione Biologica, campo in cui è uno specialista. Ha sviluppato una nuova ipotesi sul ruolo svolto da un debole campo elettromagnetico in argille di origine magmatiche (le montmorilloniti) nella formazione delle prime macromolecole biologiche, ipotesi che sta sottoponendo a verifica sperimentale. In particolare, la parte sperimentale sarà sviluppata presso il laboratorio del Dr. Francesco Celani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Laboratori Nazionali di Frascati. Sta sviluppando un sistema per la riconnessione di tessuto nervoso reciso, attualmente sui Molluschi Gasteropodi Polmonati (Limax ruber), ma con l’obiettivo di applicarlo ai Vertebrati e, quindi, all’Uomo (si tenga presente che non vi è nessuna differenza rilevante fra il tessuto nervoso dei Molluschi e quello dei Vertebrati). Ha sviluppato, in collaborazione con il Prof. Brera (Rettore dell’Università Ambrosiana), un Progetto di ricerca (Progetto Against Malaria) volto all’interruzione del ciclo del Plasmodio che causa la malaria nel ciclo biologico delle Zanzare del genere Anopheles. Progetto per cui ha proposto all’ENEA una collaborazione. Insieme con il Professor De Murtas, nel 1977, ha scritto un libro sulla Biodiversità. Attualmente è impegnato ad una revisione della classificazione animale, ai livelli superiori, in relazione ai principi della Nuova Sintesi, con gli apporti derivati dalla biochimica (non cladista, di cui rifiuta la teoria, i metodi e le finalità); sta realizzando un atlante di Anatomia degli Insetti, per cui ha elaborato una nuova tecnica di lavoro. Relatore, nel 2011, di una Tesi di Laurea concernente l’utilizzo del Batterio Ralstonia detesculanense per il sequestro dei metalli pesanti. Tesi presentata presso l’Università La Sapienza di Roma da Laura Quartieri che si è laureata con un punteggio di 107/110. Tale tesi è stata in seguito oggetto di pubblicazione su una rivista della Elsevier. Dal ’97 Professore a contratto di Biologia generale e molecolare all’Università Ambrosiana. Dal 25 settembre 2012 con qualifica accademica di Licentia Docenti ad Honorem per merito di chiara fama nella disciplina. Associato alla Società Italiana di Scienze Naturali, alla Società Entomologica Italiana, alla Società Herpetologica Italica, alla Società Italiana di Fisica ed alla Società Italiana di Biologia Evoluzionistica di cui è Socio fondatore. In passato associato all’Associazione Italiana di Cinematografia Scientifica e all’Associazione Fotografi Naturalisti Italiani.

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