Sherlock Holmes: il coraggio di Guy Ritchie

Sherlock Holmes: undici anni fa, il regista inglese si prendeva un rischio enorme. Guy Ritchie, anche con il suo ultimo Gentlemen, ha diviso critica e pubblico. Ma di certo non si può negare che in lui vi sia una forte dose di talento, originalità e capacità di stupire sempre e comunque di osare. E probabilmente […]

Dicembre 2020
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Sherlock Holmes: undici anni fa, il regista inglese si prendeva un rischio enorme.

Sherlock Holmes: undici anni fa, il regista inglese si prendeva un rischio enorme.

Guy Ritchie, anche con il suo ultimo Gentlemen, ha diviso critica e pubblico. Ma di certo non si può negare che in lui vi sia una forte dose di talento, originalità e capacità di stupire sempre e comunque di osare. E probabilmente nessun altro film è stato così coraggioso come il suo Sherlock Holmes, che undici anni fa, ci mostrò in modo totalmente nuovo e inaspettato, le imprese del grande investigatore di Baker Street, creato dal geniale Arthur Conan Doyle.

Lo script fu elaborato partendo da ciò che Lionel Wigram aveva creato con la sua graphic novel, ed in effetti ad un fumetto Sherlock Holmes assomigliava sul serio, per ritmo, estetica e per come i suoi protagonisti erano legati a caratteristiche anche fisiche di grande espressività.

Sherlock Holmes: Trailer ufficiale.

Un inno all’anticonformismo.

Robert Downey Jr. fece qualcosa di simile eppure diverso da ciò che solo l’anno prima ci aveva regalato sol suo Iron Man, si legò ad un altro genio istrionico, imprevedibile, un uomo narciso ma che qui non aveva nulla del fascino consumista e playboy di Anthony Stark.

Il suo Holmes era una sorta di artista ingovernabile, un uomo curioso, dotto, ammantato di un senso dello humor sovente infantile, di una capacità di improvvisazione quasi divina.

A perfetto contraltare invece, Ritchie costruì sul Watson di Jude Law l’archetipo apparente del gentiluomo vittoriano ansioso di abbracciare la dimensione borghese, ma ancora dilaniato internamente da un profondo desiderio di libertà ed avventura.
La stessa che era rappresentata dalla Irene Alder di un’adorabile Rachel McAdams, avventuriera con un debole per gli spiriti anarchici come il nostro Sherlock Holmes.

Sherlock Holmes univa thriller e dimensione paranormale.

La nemesi era un bravissimo Mark Strong, nei panni di un vanaglorioso (ed in ultima analisi parecchio inconsistente) Lord Blackwood, sanguinario ed ambiziosissimo massone, simbolo di quell’aristocrazia che in breve sarebbe stata strangolata dal XX secolo, con le sue società segrete, la sua altezzosità e mal riposta sicurezza.

In breve avrebbe trascinato Holmes e Watson, dentro un intrigo dove sovente si aggirava lo spettro dell’irrazionale, del soprannaturale, di quelle forze oscure che leggende e dicerie resero tutt’uno in quei decenni con i vicoli di una Londra fumosa, diroccata, confusionaria e bellissima.

Guy Ritchie, con il suo Sherlock Holmes, si prese un rischio non da nulla. Perché in fin dei conti si staccò da ogni altra versione mai vista, rese il Detective per eccellenza, un tipo molto “RocknRolla”, quasi uno dei tanti sbandati e reietti che hanno popolato i suoi film fin dagli esordi.

Guy Ritchie: i lati meno noti di Sherlock Holmes.

Un ribelle, un disadattato, un uomo al di fuori delle corsie imposte dalla società. Questo era il suo Sherlock Holmes. Era l’anomalia di quella Matrix ottocentesca, e per questo era virtualmente imbattibile, anche per un astuto lestofante come Blackwood. Sul finale, si capiva che in realtà una vera competizione non c’era mai stata tra i due, casomai era una gara tra Holmes e sé stesso, tra Holmes ed i suoi limiti.

Ritchie si concentrò sugli aspetti meno noti al grande pubblico: il suo essere un cultore di arti marziali, un uomo dedito anche a vizi non proprio salutari, insicuro più che misogino con l’altro sesso, abilissimo nei travestimenti, sardonico, e che senza un enigma da svelare non sapeva che fare nella vita.

Da certi punti di vista, il film più riuscito di Ritchie.

Con una colonna sonora bellissima e una regia capace di rendere dinamico anche una fogna o un severo salone nobiliare, Sherlock Holmes può rivendicare l’aver proposto un modello alternativo, nuovo e sfavillante per il cinema d’intrattenimento, dove più che effetti CGI o esplosioni, dominavano dialoghi frizzanti, colpi di scena e creatività.

Il tutto senza mai correre il rischio di rendere i suoi personaggi perfetti o infallibili, così come di restare ingabbiato dento il suo stesso stile, la sua ricerca esasperata di una dimensione esteticamente ammaliante che potesse ridimensionare il contenuto.
Errore commesso con King Arthur o lo stesso Operazione UNCLE ma non con questo gioiello, forse il suo film più riuscito, anche più di Snatch o Lock & Stock.

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