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INTERVALLO di Fabio Bix

INTERVALLO di Fabio Bix: nei luoghi inusitati d'Abruzzo, Marche e Molise, tra i crateri sismici del 2009 e 2016 che hanno coinvolto 200 Comuni.
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INTERVALLO di Fabio Bix: nei luoghi inusitati d’Abruzzo, Marche e Molise, tra i crateri sismici del 2009 e 2016 che hanno coinvolto 200 Comuni.

Un’incrinatura ineluttabile sul vetro dell’esistenza, il terremoto, provoca quel senso di spaesamento tra realtà e irrealtà. Quando posi lo sguardo sulle amputate architetture e sugli strati di polvere e “cose”, nella mente incombe l’astrazione, lo smarrimento, la desolazione metafisica, l’estraniamento surreale, la stupefazione rara che s’avvinghia all’animo e alle sue de-costruzioni interiori ed esteriori.

Basta poco, solo attimi, per raccogliere il disfacimento anacronistico del terremoto come farebbe un fotoreporter asettico e asciutto; ma la potenza dell’artista visivo Fabio Bix sta nel ribaltare la visione, e per certi versi, la lettura di quei crolli e di quelle rovine ormai abbandonate, quando v’innesta le sue impalpabili sculture che donano un senso d’epifanico chiarore, immaginifico e visionario, in cui l’estrema bellezza di quelle movenze morbide contrasta con la devastazione delle estreme ambientazioni se non fosse a giunger salvifica la fuorviante “illusione”.

Se la forza dell’artista contemporaneo è quella di far passare per “Arte” anche le provocazioni, l’artista F. Bix intende confondere il mondo del reale da quello illusorio, e lo fa manipolando un fazzolettino di carta, di 15 cm, creando stravaganti sculture di gusto estetico marcatamente barocco. Sono sculture “leggere” che vengono innestate in spazi aperti di significativi scorci metropolitani e le intriganti ingerenze restituiscono nella foto verità altre – lavoro che l’artista titola OMNIA ALIA SUNT-.

Si tratta di un progetto iniziato due anni or sono ed espresso in giro per il mondo. Mentre INTERVALLO, sorge come evoluzione di quella indagine fotografica e assume significati altri quanto F. Bix va incontro a quelle mete devastate dal terremoto d’Abruzzo, Marche e Molise nell’estate 2020. Ecco, in questi luoghi e spazi, l’indagine si fa meno errante, pur mantenendo le premesse scultoree di OMNIA ALIA SUNT, ma segue l’itinerario suggestionato dal paesaggio e inevitabilmente cambia lo stato d’animo.

L’artista si trova di fronte ad una realtà disfatta, snaturata, dove ad ogni passo si svelano pareti mutilate, memorie architettoniche, spazi desolanti in cui impera l’angoscia. Nondimeno quei borghi svuotati gli suggeriscono atmosfere suscettibili di stuzzicanti fondali per il plasticismo delle sue sculture perennemente in bilico tra realtà e finzione. Semplice, perfino irriverente sarebbe innestare solo la bellezza là dove ogni cosa è perduta, e suona quasi retorico cercare di eludere lo sguardo dalle macerie per incentrarlo sul fazzolettino modellato.

Ma Fabio Bix cerca proprio dai resti degli accadimenti e dalla sua posticcia scultura di suscitare la persuasione tout court e fa il punctum dando una connotazione estetica senza fuggire dai dilemmi etici e morali di cui la foto è pregna. Non si tratta di un’anomalia o di una distrazione dalla tragedia, basti pensare al Grande Cretto di Alberto Burri costituito di macerie del terremoto a Gibellina.

È un’ “opera” INTERVALLO che non desidera mistificare i mattoni e la malta disfatti poiché conservano seco le azioni dei viventi e non, piuttosto vuole cogliere il paradosso o l’ossimoro tra sprazzi di bellezza nella desueta bruttezza e ancora porre l’attenzione al “guasto”… . E nel frame dei rimandi evocativi la composizione dell’immagine ci trasferisce messaggi coinvolgenti, ci induce a vivere quei borghi antichi, oramai in frammenti, per ricordarci il “valore” palpitante/pulsante dell’essere e delle sue appartenute “cose”.

Gli scatti di INTERVALLO, non s’esplicitano nel nomadismo e non rubano alla città vetrina il luccichio vezzoso e intrigante come giusta cornice di esuberanti corpi mossi come lo era stato per OMNIA ALIA SUNT a New York, a Israele, a Parigi, a Roma ecc.; INTERVALLO questa volta si muove con cautela e introspezione tra i divieti delle zone rosse, tra i calcinacci caduti, tra le finestre aperte sul nulla, tra i gradini pericolanti, tra le crepe che squarciano le pareti e molto altro ancora.

E nella fissità di quel minuto in cui la vita si è fermata come un intervallo, imprevisto e imprevedibile, come il guasto delle trasmissioni in TV, i resti delle case divengono quinte pronte a ri-creare una realtà estrapolata che tradisce, inganna e integra il male.

L’occhio si fa sedurre dall’effimero, dall’apparenza, cerca l’armonia, ma si suggestiona di fronte alla stramberia della composizione, e inciampa sulla teatralità delle sculture sinuose, come detto, modellate ad hoc dalla mano abile di Bix, che ri-anima l’inquadratura con quelle statue femminili e maschili le quali, come nel Seicento, sono interessate dal movimento libero con andamenti serpeggianti, a curva e contro curva, a torsione e a fiamma, dai panneggi generosi sostituiti dal fazzolettino ampio e gonfio di vento.

Il dinamismo degli effimeri corpi, scavati dalla spazio circostante e dalla luce, ottiene ingerenze ottiche ed è cifra di come un “oggetto” possa indurre a soluzioni stilistiche fuorvianti, di come possa contraffare, artefare, mistificare. Se da una parte il terremoto è l’inenarrabile, brutto da vedere e orribile da vivere, la fittizia scultura è l’oggetto che desidera attrarre l’attenzione, proprio in quel contesto per sottolineare quel che rimane, ma lo fa col fascino dell’eleganza mai stridente perfino nell’inedito debutto.

E il tutto avviene senza nulla togliere alla fissità di quelle pareti monche e agli sguardi dispersi, anzi semmai s’aggiunge e rafforza, con enfatica narrazione, il dramma. Là dove l’ “intervallo” di un minuto è stato individuato da Bix come il “guasto delle trasmissioni televisive”, come pausa e sospensione, quel tempo im-possibile della scossa, del tremore, racconta una realtà sfatta di un quotidiano spaventoso e soverchiante in cui solo l’illusione della insinuante scultura può effondere un barlume di anelata speranza.

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Mariaimma Gozzi

Mariaimma Gozzi è un critico d'arte di raffinato senso estetico. Elegante ed estroverso il linguaggio che la contraddistingue nell'indagine concentrata sul mondo dell'Arte Contemporanea. Eclettica e sensibile vive a stretto contatto con gli artisti nei loro studi in modo da conoscere sin dalla fase embrionale il processo creativo che risiede nell'opera d'arte. Autrice di numerosi articoli, testi critici e interviste a personaggi di spicco dell'arte, della cultura e della politica per la Rivisita d'Arte, Cultura e Scienza EQUIPèCO, per Il PROGRESSO Magazine e per la rivista MONDO ARTE. Numerose sono le Curatele di Mostre in Italia e all'Estero e di curatele per Gallerie prestigiose e di peso internazionale. Inizialmente intraprende una carriera votata all’architettura, in cui determinate è la vicinanza allo zio - l' ingegnere Barnaba Gozzi - edificante modello di professionalità, già Cavaliere del Lavoro. La personalità ecclettica la conduce a viaggiare per lavoro e a frequentare l'ambiente culturale europeo del teatro, della letteratura, della musica e dell'arte sviluppando proprio verso quest'ultima una passione esclusiva. Preziosa è la formazione all’Accademia Belle Arti di Roma; allieva di docenti protagonisti dell’arte del ‘900: Maria Teresa Benedetti, Giovanna Dalla Chiesa, Armando Nobili, Francesco Cosentino. E più avanti nel tempo emerge irruente la passione in particolare per la Storia dell’Arte, approfondisce gli studi frequentando la facoltà di Storia dell’Arte all’Ateneo di Tor Vergata, conseguendo la Laurea Magistrale. Allieva di docenti protagonisti dell’arte del XXI sec.: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Simonetta Prosperi Valenti, Franco Gallo; Attualmente vive a Roma.Formazione :Università Tor Vergata, Roma - Laurea Magistrale di Storia dell’Arte Accademia Belle Arti di Roma - Laurea di Scenografia Liceo Artistico - RomaContatti : e-mail : [email protected] Sito Uff. : www.mariaimmagozzi.it

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